XXXII domenica del Tempo Ordinario; commento al vangelo

Letture:
Primo libro dei Re 17,10-16; Salmo 145;
Ebrei 9,24-28; Marco 12,38-44

In quel tempo, Gesù, seduto di fronte al tesoro [nel tempio], osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Non è proprio quella che definiremmo una brava massaia la vedova di oggi; non ha risparmiato, non ha messo da parte nemmeno uno spicciolo per comprare il pane per l’indomani o un pesciolino per la sera. Ha compiuto un gesto di pura follia: tutto quel che aveva lo ha dato, ma ci avrà pensato su? Ha capito bene quel che stava facendo e che niente le sarebbe rimasto nel borsellino? Cosa le è passato nella testa per dare le sue ultime due monete al tempio? Oppure, cosa le è passato per il cuore? Non sappiamo il nome di questa donna, non conosciamo la sua età né se aveva figli piccoli o grandi, sappiamo solo che era vedova e
si trovava in condizioni di povertà, come la maggior parte delle vedove di quel tempo. Sappiamo anche però che lo sguardo di Dio l’ha baciata. Quello stesso sguardo che non si era lasciato impressionare dalla quantità delle monete lanciate dai ricchi, che risuonavano con fragore nel tempio. Che rumore fanno invece due spiccioli? Me la immagino quella povera donna che, quasi vergognandosi di fronte a tutta l’ostentazione dei ricchi, lascia la sua elemosina cercando di non farsi vedere, di non far sentire quel nulla di rumore delle sue monetine. La vedo a testa bassa, volendo subito scomparire, sprofondare nella sua povertà: si sa, i ricchi fanno presto a deridere, i ricchi non conoscono la vergogna della miseria. Ma Gesù era là a spiegare ai suoi discepoli che per Dio non solo il metro, ma anche la bilancia è diversa dalla nostra e che il peso di ciò che si dona non viene misurato dalla quantità, ma dal come. È questo che lo rende indimenticabile, che gli dà un peso diverso, un peso specifico d’infinito. Quel misero soldo vale più di tutto l’oro, vale molto di più perché è stato affidato al Dio amato, al Dio in cui si spera, follemente. «So che non mi abbandonerai, per questo ti dò tutto, ci penserai Tu a me: mi fido di Te, a te affido il mio destino»: queste le parole nascoste nel cuore della vedova, parole bisbigliate dai suoi battiti, ma che fanno scoppiare di gioia il cuore di Dio. Non ha bisogno Dio del nostro superfluo, non pesa la quantità, ma la vita che metto dentro la vita, l’essenza nascosta e invisibile di una speranza, di una fiducia, di un amore. Non conosciamo il nome di questa donna, né l’età o il colore dei suoi occhi, sappiamo però che quel gesto pazzo d’amore l’ha resa eterna, che quel suo dare tutto le ha fatto anche ricevere tutto; così fa Dio, l’incalcolabile Dio. E quel giorno, al tempio, è avvenuto ancora un miracolo, evidente stavolta solo ai discepoli ai quali si era rivolto Gesù: il miracolo della trasformazione di una povera vedova in una gran signora. Le sue vesti saranno rimaste stracciate e rattoppate, alle mani non saranno comparsi anelli o bracciali, ma di certo quella piccola donna risplendeva più di tutto l’oro del tempio: su di lei c’era la luce commossa degli occhi di Dio. «Il destino aspetta nella mano di Dio, formando ciò che ancora dev’essere formato: io ho visto queste cose dentro un raggio di sole» (G. Raboni).

Luigi Verdi