«Celebrare l’Avvento significa saper attendere; l’attendere è un’arte che il nostro tempo impaziente ha dimenticato. Il nostro tempo vuole cogliere il frutto maturo non appena ha piantato il germoglio, ma gli occhi avidi sono ingannati in continuazione, perché il frutto, all’apparenza così prezioso, al suo interno è ancora acerbo e mani irrispettose gettano via con ingratitudine ciò che le ha deluse. Chi non conosce l’acre beatitudine dell’attesa, cioè della mancanza nella speranza, non sperimenterà mai nella sua interezza la benedizione dell’adempimento».
Dietrich Bonhoeffer ha magistralmente riassunto così il significato dell’Avvento ed è da queste parole che inizia la riflessione su questo tempo dell’anno liturgico di dom Stefano Brina, monaco dell’abbazia di San Miniato al Monte. Tra le sofferenze causate dalla pandemia e dalle guerre, l’essere umano si trova in un momento di grande smarrimento e paralisi, amplificato in peggio dalla paura. Spesso si sente in una condizione che sembra di non poter controllare, ma solo subire. Allora, che attendere?
Per far maturare i frutti è necessario vivere questo periodo con speranza, con una beatitudine che, anche se segnata dalla mancanza, ci farà provare a pieno il compimento. L’attesa, dunque, diventa attiva, per cercare nel deserto le oasi invece di perdersi in un orizzonte sterile. Così, attendere significa mantenere ferma la possibilità dell’avveramento di un senso che supera l’evidenza di un presente che pare annichilente, significa stare aperti alla prospettiva di essere attesi e non solamente buttati nel mondo. «Non potendo fare ciò che voleva, volle fare ciò che poteva», diceva san Bruno di Querfurt. Allora, cosa fare?
«Celebrare l’Avvento non significa altro che parlare con Dio come ha fatto Giobbe. Significa guardare francamente in faccia tutta la realtà e tutto il peso della nostra esistenza e presentarli davanti al volto giudicante e salvante di Dio, e ciò anche quando non abbiamo come Giobbe alcuna risposta da dare a essi, bensì non ci rimane altro che lasciare che sia Dio stesso a dare la risposta e dirgli come siamo senza risposte nella nostra oscurità».
Seguendo questo pensiero dell’allora don Jozeph Ratzinger, nel periodo di Avvento possiamo prenderci un attimo di tempo e, nel silenzio, aprirci alla presenza di Dio. Staccando dai soliti pensieri per ascoltare il proprio cuore, proviamo, partendo dalla realtà così come la viviamo, a valutarla e vederne il senso e la verità ipotizzando il Suo sguardo su di essa. Strumenti utili sono le letture e il Vangelo del giorno, che ci offrono, anche concentrandosi su un solo versetto o poche parole, significati che si possono collegare alla nostra vita. Queste piccole ma profonde consapevolezze vanno ripescate in ogni circostanza che affrontiamo nelle occupazioni quotidiane, consci che stiamo scavando un pozzo nel nostro cuore da cui raccogliere acqua viva per il cammino.