Letture: Siracide 15,16-21 (NV); Salmo 118; Prima Lettera ai Corinzi 2,6-10; Matteo 5, 17-37
Vi fu detto, ma io vi dico. La dirompente novità portata da Gesù non è rifare un codice, ma il coraggio del cuore, il coraggio del sogno di Dio. Agendo su tre leve maestre: la violenza, il desiderio, la menzogna. Fu detto: non ucciderai; ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, chi nutre rancore è nel suo cuore un omicida. Gesù va diritto al movente delle azioni, al laboratorio interiore dove si formano. L’apostolo Giovanni afferma una cosa enorme: “Chi non ama suo fratello è omicida”(1 Gv 3,15). Chi non ama, uccide. Il disamore non è solo il mio lento morire, ma è un incubatore di omicidi. Chiunque si adira con il fratello, o gli dice pazzo, o stupido, è sulla linea di Caino… Gesù mostra i primi tre passi verso la morte: l’ira, l’insulto, il disprezzo, tre forme di omicidio.
L’uccisione esteriore viene dalla eliminazione interiore dell’altro. “Chi gli dice pazzo sarà destinato al fuoco della Geenna”. Geenna non è l’inferno, ma quel vallone, alla periferia di Gerusalemme, dove si bruciavano le immondizie della città, da cui saliva perennemente un fumo acre e maleodorante. Gesù dice: se tu disprezzi e insulti l’altro tu fai spazzatura della tua vita, la butti nell’immondizia; è ben di più di un castigo, è la tua umanità che marcisce e va in fumo. Ascolti queste pagine che sono tra le più radicali del vangelo e capisci che, per paradosso, diventano le più umane, perché Gesù parla solo del cuore e della vita, e lo fa con le parole proprie della vita: custodisci il tuo cuore e non finirai nell’immondezzaio della storia.
Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio. Ma io vi dico: se guardi una donna per desiderarla sei già adultero. Non dice semplicemente: se tu desideri una donna; ma: se guardi per desiderare, con atteggiamento predatorio, per conquistare e violare, sedurre e possedere, se la riduci a un oggetto da prendere o esibire, tu commetti un reato contro la grandezza di quella persona. “Adulterio” viene dal verbo a(du)lterare che significa alterare, falsificare, rovinare. Adulterio non è un reato contro la morale, ma un delitto contro la persona, contro il volto alto e puro dell’uomo. Terza leva: Non giurate affatto; il vostro dire sia sì, sì; no, no. Dal divieto del giuramento, Gesù arriva al divieto della menzogna. Di’ sempre la verità, e non servirà più giurare; non avrai bisogno di mostrarti diverso da ciò che sei nell’intimo, cura il tuo cuore e potrai curare tutta la vita attorno a te. Custodisci il cuore perché è la sorgente della vita, “Custodiscilo tu, Signore, questo fragile, contorto, splendido dono che ci hai dato: questo cuore che è di carne, ma che sa anche di cielo”.
P. Ermes Ronchi
In queste prime domeniche del Tempo ordinario la liturgia ci sta facendo ascoltare quello che, a partire da sant’Agostino, siamo abituati a definire il Discorso della montagna, con il quale Gesù, nel Vangelo secondo Matteo, inaugura la sua proclamazione del Regno dei cieli. Ne abbiamo già ascoltato l’apertura, con l’annuncio sconvolgente delle beatitudini (IV Domenica), le quali consentono al discepolo di essere sale della terra e luce del mondo (V Domenica). In questa domenica entriamo in quella sezione del discorso solitamente chiamata delle antitesi: «avete inteso che fu detto agli antichi… ma io vi dico…». La liturgia non può farci leggere il discorso di Gesù che in questo modo, sezionandolo in piccoli brani, con il rischio tuttavia di perdere il respiro unitario del testo, che ne consente anche la più piena comprensione. Forse vale la pena, più che commentare le singole affermazioni di Gesù, gettare anzitutto uno sguardo complessivo sul loro insieme, per comprendere meglio la prospettiva fondamentale della legge superiore, diversa da quella degli scribi e dei farisei, che Gesù propone al discepolo del Regno dei cieli (cfr. Mt 5,20). Diversa e superiore, eppure tale da non abolire neppure uno iota o un solo trattino della Legge di Mosè, ma da condurli al loro compimento (cfr. vv. 17-19).
Suonano paradossali, se non contraddittorie, queste affermazioni di Gesù; ci aiutano però a intuire che la legge superiore del discepolo non consiste tanto in un contenuto differente, ma in un atteggiamento di fondo – del cuore, si potrebbe dire – con il quale egli deve accogliere e vivere la parola di Dio rivelata nella Legge e nei Profeti, e che ora giunge a compimento in Gesù. Non un cuore preoccupato semplicemente della scrupolosa osservanza dei precetti, ma teso a cercare in ogni realtà e in ogni gesto della vita il volto del Padre e la relazione con lui. Ciò esige la conformazione a quel suo volere che si manifesta in un amore per tutti i suoi figli, tale da far sorgere «il suo sole sui cattivi e sui buoni», e da far «piovere sui giusti e sugli ingiusti» (5,44), come ascolteremo domenica prossima. Non si tratta di osservare diligentemente dei comandamenti, ma di lasciarsi istruire dalla parola di Gesù per diventare sempre più simili alla perfezione del Padre che è nei cieli, che consiste proprio nella qualità straordinaria del suo amore per tutti i suoi figli. La legge superiore di cui parla Gesù non è quella del servo, preoccupato con il suo agire di meritare la ricompensa del suo padrone, ma quella del figlio, grato di poter accogliere nella propria vita l’amore gratuito e preveniente del Padre. Ciò che fa non mira a conquistare un premio o a meritare un salario, ma ad accogliere e a far fruttificare in sé un dono che sempre lo precede. Quindi, non si tratta di fare cose diverse, ma di vivere con un cuore diverso.
Tale è anche la sapienza di cui ci parla il libro del Siracide nella prima lettura, che consiste nel discernere la via della vita da quella della morte, ben sapendo che Dio «a nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare» (Sir 15,20), non perché sia un giudice inflessibile pronto a punire il trasgressore, ma perché è un Padre buono che desidera che ogni suo figlio viva, e viva un’esistenza libera e responsabile, da figlio appunto, non da servo né tantomeno da schiavo. Tale è anche la sapienza di cui scrive l’apostolo Paolo alla comunità di Corinto, riversata nei nostri cuori dallo Spirito, che ci introduce nella profondità di Dio, in una comunione d’amore che trasforma la nostra vita, consentendole di accogliere tutto ciò che Dio ha preparato «per coloro che lo amano» (1Cor 2,9). Gesù, dunque, non è venuto ad abolire, ma a dare compimento. Nella tradizione rabbinica, “compiere” o “abolire” la Legge lo si dice in rapporto a tre atteggiamenti fondamentali: compie la Legge chi la interpreta bene, mentre la abolisce chi la interpreta male; compie la Legge chi le obbedisce, mentre la abolisce chi le disobbedisce; infine, compie la Legge chi fa più di quello che il precetto prescrive, mentre la abolisce chi fa meno.
Questi tre atteggiamenti ricordati dalla tradizione rabbinica li ritroviamo tutti nel modo con cui Gesù si è rapportato alla Torah di Mosè. Innanzitutto egli ha compiuto la Legge in quanto le ha obbedito integralmente: infatti, in lui si è realizzata pienamente la volontà salvifica di Dio, custodita e rivelata dalla Legge e dai Profeti. In secondo luogo Gesù ha compiuto la Legge in quanto ha indicato il di più che c’è in ogni precetto. Ha cioè interpretato ogni precetto con radicalità, risalendo sempre alla radice della volontà del Padre che in quel precetto si esprimeva. Questo atteggiamento emerge in modo limpido proprio nella sezione delle antitesi. Uccidere non è solamente togliere la vita a qualcuno. Anche adirarsi con lui, o insultarlo, o calunniarlo significa ucciderlo. Infatti, adirarsi o insultare il fratello ha proprio questo significato: esprime il desiderio che l’altro non ci sia.
Questo esempio sulla prima antitesi relativa all’omicidio aiuta a comprendere anche un secondo modo con cui Gesù radicalizza la Legge: egli non solo risale alla radice della volontà di Dio, ma scende alla radice del cuore dell’uomo. La giustizia o l’ingiustizia non riguardano soltanto la sfera delle azioni, ma anche quella più profonda delle intenzioni e dei desideri del cuore. Uccido l’altro non soltanto quando lo elimino dalla faccia della terra, ma inizio già a ucciderlo quando lo espello dallo spazio del mio cuore; quando anche con una sola parola offensiva esprimo il desiderio che egli non esista o che almeno non abbia nulla a che fare con la mia vita. Infine, Gesù ha compiuto la Legge perché l’ha interpretata bene, indicando quale sia il suo giusto criterio ermeneutico: ricondurre tutti i numerosi precetti a un unico centro costituito dal primato dell’amore, fondato sulla stessa perfezione del Padre. Amore dunque radicato in un “come”: «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (5,48). Un “come” che dice non imitazione, ma fondazione, secondo la logica che pervade l’intero discorso del monte: la relazione, o la comunione d’amore con il Padre, fonda e trasforma il nostro modo di essere e di agire.
«Diventa importante, allora, capire l’anima profonda di queste norme del Signore. È un’anima contemplativa. […] La novità introdotta da Gesù consiste soprattutto nello sguardo rivolto al Padre. La novità vera è la comunione di Gesù con l’amore del Padre, la conoscenza profonda che Gesù ha del Padre. Siamo qui nel cuore della morale cristiana che non è norma, precetto, legge, ma è comunione di vita, è Spirito Santo, come dice Paolo nella lettera ai Romani nel cap. 8: «La legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù». Il cristiano è senza legge, purché abbia l’occhio rivolto verso Dio. Quando il cristiano, guidato dallo Spirito, è figlio; quando diventa sempre più figlio, allora non ha bisogno di legge, perché questo sguardo rivolto verso Dio gli permette di entrare in tutte le legislazioni di questo mondo per far emergere dal di dentro un cammino di amore che tende alla massimalità, a quella pienezza di amore che è stata svelata dallo sguardo di Dio» (don Luigi Serenthà).