Mano a mano che nelle parrocchie di tutta Italia vengono distribuiti i calendari d’Avvento e i volantini degli avvisi, i cattolici italiani realizzano che quest’anno la c.d. “Messa di Mezzanotte” sarà anticipata. Lungi dall’essere un cedimento ad (anzi deprecabili) ingerenze della politica, questa è anzi una misura di responsabilità per il bene comune e per la salute pubblica – cosa in cui i cristiani si sono sempre distinti. L’occasione è però anche propizia per scoprire (o riscoprire) che la “Messa di Mezzanotte” non esiste neanche, in punta di rubriche, e che il suo senso più profondo può essere recuperato ottemperando alle raccomandazioni del Messale.
Vediamo cosa dicono le norme a tal riguardo:
Non esiste alcuna “Messa di Mezzanotte”
La cosiddetta “Messa di Mezzanotte”, in effetti, è già stata sdoppiata, ma quasi non ci si fa più caso e – anzi – nei giorni scorsi abbiamo assistito ad ardite discettazioni su elementi ben più basilari: per esempio qualche vaticanista ha provato a spiegare che la “Messa di Mezzanotte” si sarebbe potuta anticipare previo permesso della CEI. In realtà non serve alcun permesso, né della CEI né della Santa Sede né dell’Ordinario del Luogo, e in giro per il mondo fioccano Direttorî Pastorali che invitano i preti a discernere l’opportunità secondo prudente giudizio.
Sì, perché in realtà – e fatto salvo il fiabesco incanto della mezzanotte – non esiste alcuna “Messa di Mezzanotte”, anche se è generalmente invalsa l’usanza di celebrarla attorno alle ore 24 (e l’edizione italiana dell’Editio Typica II, cioè quella usata dal 1983 a oggi, la prescriveva ). È però vero – l’abbiamo pure accennato e siamo in debito di una spiegazione in merito – che essa è stata già sdoppiata: i riti del Messale Romano per il Natale conoscono infatti formularî distinti non solo per le messe dell’Alba e del Giorno, ma anche per le messe della Vigilia e della Notte. Quattro in tutto. Quelle del 25 si celebrano all’alba (o di buon mattino) e nel corso della mattinata; quelle del 24 si celebrano alla sera, prima o dopo del vespro (dunque dalle 17 alle 18:30/19, considerando che il Vespro si colloca convenzionalmente alle 18), e alla notte (senza alcuna ulteriore precisazione). Vale appena la pena di ricordarci che la parola “mezzanotte” individua l’ora in cui la metà oscura del ciclo quotidiano è al suo culmine, e dunque che la “notte” – parlando con proprietà di linguaggio liturgico – va dalle 18 alle 6.
Dunque è dal Messale stesso che si ricava – e non per deroga – la licenza di celebrare la messa “della Notte” verso le 21 o anche verso le 20: quella celebrata immediatamente a ridosso del Vespro, infatti, prima o dopo che sia, è comunque la Messa della Vigilia. Ha ben compendiato la situazione padre Antonio Spadaro in un corsivo pubblicato ieri su Il Fatto Quotidiano:
Il dato simbolicamente importante per la celebrazione della notte non è dunque l’orario esatto – che sia la mezzanotte o qualunque altra ora – ma il fatto che si celebri quando non c’è luce, quando è buio. E questo proprio per rendere evidente il senso simbolico della festa.
Un po’ di storia della Liturgia
Perché allora la “Messa della Notte” è gradualmente diventata la “Messa di Mezzanotte”? Il Messale Romano tradotto in italiano nel 1983 parlava di «tradizione costante delle Chiese in Italia»: a che cosa la si deve? “Per lasciare tempo al cenone della Vigilia”, obietterà qualcuno forse con sarcasmo. È possibile che il Cenone abbia effettivamente riempito un vuoto di cui non si coglieva più il significato (del resto, chi va sia alla messa della Vigilia sia a quella della Notte?), ma lo sdoppiamento della notte e quello del giorno – che producono i quattro rituali natalizî della liturgia romana – risalgono a un uso peculiare che storicamente si è sviluppato nella sola Urbe e che successivamente è stato esportato/importato altrove (con successo disomogeneo). Ci rifacciamo all’autorevole (e classica) sintesi di Mario Righetti:
Il duplice Ufficio Natalizio che, come dicemmo, si cantava rispettivamente a S.M. Maggiore e a S. Pietro, durò nell’Urbe per molto tempo. L’Antifonario di S. Pietro ne riporta i testi relativi, e ancora nel sec. XIII era in vigore presso la Basilica del | Laterano. Però, intorno al sec. XI-XIII, trasferita da S. Pietro alla basilica Liberiana anche la solenne stazione diurna, entrambi gli Uffici furono celebrati in quest’ultima basilica, uno dopo l’altro, interrotti soltanto dalla Messa papale. Secondo l’OR XI, composto fra il 1140 e il 1143 dal Can. Benedetto di S. Pietro, il Papa si recava a S.M. Maggiore fin dal mattino, presente cum scholis clericorum et familia palatii, per cantarvi dopo nona la messa della vigilia. Alla sera, incipiente nocte, si iniziava la prolissa veglia notturna con il canto del primo Ufficio Dominus dixit ad me, eseguito dal clero urbano senza invitatorio e senza la presenza del Pontefice. […]
Poco dopo la mezzanotte, adpropinquante gallorum cantu, mentre il popolo si radunava in massa nella basilica, il Papa scendeva all’Oratorio del Presepe per cantarvi la Messa e assistere alle Lodi, finite le quali, intonava il secondo Ufficio che s’apriva con l’invitatorio Christus natus est nobis… ed era l’Ufficio natalizio propriamente detto.
[…] | Fuori di Roma, i due Uffici di Natale, che si presentavano in veste di duplicato, ebbero scarsa diffusione. Più tardi, con qualche modifica aggiuntiva, essi vennero separati, e assegnati, quello di S. Pietro, alla festa natalizia, l’altro, di S.M. Maggiore, alla sua Ottava o Circoncisione. Il Breviario della Curia (sec. XII) ne accolse e mantenne la distribuzione, che, sostanzialmente resta tuttora nell’uso liturgico.
Mario Righetti, L’anno liturgico – Capo III – Il Ciclo liturgico natalizio, 81-83 passim
Come spesso avviene, dunque, la liturgia ci conserva le vestigia di pratiche per noi remotissime (e abbiamo omesso di riferirvi del rito “dello stocco e del berrettone”!) che vengono necessariamente ri-significate dall’uso: evidentemente non in ogni città ci sono San Pietro, San Giovanni e Santa Maria Maggiore, né si è giudicato sensato dare in ogni città questi titoli a tre chiese eminenti che vi si trovassero. Si è però voluta conservare la distinzione delle celebrazioni, e due cose macroscopiche saltano all’occhio leggendo la pagina di Righetti riportata:
- la prima è che la Vigilia è “giornata da passare in famiglia” (fin dal mattino il Papa si recava sull’Esquilino e passava l’ultima giornata di attesa del Natale di Cristo in compagnia del clero cittadino e della “familia palatii”);
- la seconda è che il Natale “sentito dalla gente” era quello che cominciava quando il Papa si avvicinava al presepe di Arnolfo di Cambio, ed effettivamente “cominciava” (nel senso che la gente arrivava intorno a quell’ora) poco dopo la mezzanotte.
Erano celebrazioni lunghissime, ricche di riti (alcuni dei quali di primo acchito riterremmo perfino poco perspicui o non pertinenti), canti, letture, e coprivano letteralmente decine di ore, tanto che lo stesso papa non presenziava a tutte le loro fasi, e tantomeno le presiedeva tutte.
In difesa della “Messa di Mezzanotte”
Dopo quanto s’è detto possiamo ritenere due osservazioni, che ci sembrano bilanciarsi e sostenersi a vicenda:
- da un lato è bene ricordare che la liturgia romana non prevede alcuna “Messa di Mezzanotte”;
- dall’altro è pur vero che ab immemorabili il concorso di popolo nella Notte Santa si anima proprio intorno alla mezzanotte, e che questa usanza “scomoda” e caratteristica si sia mantenuta nei secoli è pur sempre un dato di cui tener conto.
Che senso dare oggi a quest’affezione del popolo di Dio per la “Mezzanotte di Natale”, oltre che per la Notte Santa tutta? Lo spiegava nel 2002 Giovanni Paolo II, il quale cominciò l’omelia nella notte a partire dall’antifona al Magnificat del 26 dicembre:
«Dum medium silentium tenerent omnia… – Mentre il silenzio avvolgeva ogni cosa e la notte era a metà del suo corso, la tua Parola onnipotente, o Signore, venne dal tuo trono regale» (Ant. al Magn. 26 Dicembre).
In questa Notte Santa si compie l’antica promessa: il tempo dell’attesa è finito, e la Vergine dà alla luce il Messia.
Gesù nasce per l’umanità che va in cerca di libertà e di pace; nasce per ogni uomo oppresso dal peccato, bisognoso di salvezza e assetato di speranza.
All’incessante grido dei popoli: Vieni, Signore, salvaci!, Dio risponde in questa notte: la sua eterna Parola d’amore ha assunto la nostra carne mortale. «Sermo tuus, Domine, a regalibus sedibus venit». Il Verbo è entrato nel tempo: è nato l’Emmanuele, il Dio-con-noi.
Nelle cattedrali e nelle basiliche, come nelle chiese più piccole e sperdute di ogni parte della terra, si leva commosso il canto dei cristiani: “Oggi è nato per noi il Salvatore” (Salmo resp.).
[…]
La notte di Natale diventa così scuola di fede e di vita.
Nella seconda Lettura, poc’anzi proclamata, l’apostolo Paolo ci aiuta a comprendere l’evento-Cristo, che celebriamo in questa notte di luce. Egli scrive: «È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini» (Tt 2,11). […]
Ciò detto, resta il fatto che il giusto senso di responsabilità per il bene comune e per la salute pubblica richiede che i cristiani non offrano col loro culto un pretesto e una copertura ad atti irresponsabili. O insomma con le parole che più brevemente ed efficacemente ha scelto la mia fruttivendola…
Dunque che fare quest’anno (e da quest’anno)?
Possibile allora che tanta attenzione e tanto approfondimento debbano restare frustrate in un appuntamento all’anno prossimo? In realtà forse c’è qualcosa che possiamo già fin da quest’anno fare per vivere più appieno la Notte Santa:
- Visto che la Messa della Notte verrà anticipata in molti luoghi anche alle 21 o alle 20, si potrebbe lasciare in caldo la cena per dopo la messa, prolungando anche nel digiuno (che altrimenti rischierebbe d’essere compromesso) le ultime ore dell’Avvento;
- Visto che la Celebrazione eucaristica giungerà dopo il tramonto del sole, sì, ma quando si sarà ancora tutti lucidi e svegli, si potrebbe finalmente ottemperare alla rubrica del Messale Romano che raccomanda caldamente di far precedere l’Ufficio delle Letture alla Messa.
Un po’ al contrario che nella veglia di Pasqua, dunque: lì chi va alla Grande Veglia è dispensato dall’Ufficio; qui proprio premettendo l’Ufficio alla Messa si può ricostruire qualcosa di quell’atmosfera di lunga vigilia tanto tipica dell’antica liturgia romana da essere imposta ed accolta ben oltre le Mura Aureliane.
Sarà un Natale più raccolto, più intimo, più orante, o perlomeno potrà esserlo. E ancora una volta si vedrà che – benché pretestuosamente battuti da Erode – i cristiani, discepoli dell’Agnello di Dio, offrono la loro vita per addossarsi ed espiare il peccato del mondo.
«Crastina die – è l’acclamazione al Vangelo del 24 dicembre – delebitur iniquitas terræ»: «Nel giorno di domani verrà distrutta l’iniquità della terra». E così sia: «Gloria a Dio in cielo e pace in terra agli uomini raccolti dalla sua buona volontà».
Giovanni Marcotullio