Prima del IV secolo, la festa di natale non era celebrata: essa non ha alle spalle una festività ebraica, come invece l’hanno le celebrazioni più antiche (la festa settimanale, pasqua e pentecoste), ma una solennità pagana, il “natale del Sole invitto”, del dio che riemerge luminoso dalla oscurità del solstizio invernale.
Rappresenta dunque, se non la prima, la più vistosa iniziativa non biblica della chiesa dei gentili, e può essere paragonata alla cristianizzazione delle basiliche e dei templi, o della filosofia. Ma proprio l’antefatto pagano, la cui sostituzione o consacrazione potrebbe essere stata dettata da preoccupazioni pastorali o da propositi di opposizione, forniva un tema, quello della luce, che permetteva a sua volta un reinserimento della festa cristiana nella tradizione biblica.
Non si può dire se a ciò abbia contribuito qualche ricordo della chiesa giudeo-cristiana relativo alla festa giudaica di Hanukkà (dedicazione), detta anche “festa delle luci” (Giuseppe Flavio, Antichità XII,7,7), che cade press’a poco nello stesso periodo di natale, commemora la riconsacrazione del tempio a opera di Giuda Maccabeo (1 Maccabei 4,36 ss.) e si celebra con una grande luminaria del tempio.
Il tema della luce, nella liturgia natalizia, è legato a tre fonti, in parte intrecciate: le letture di Isaia, i vangeli di Luca, e l’idea giovannea del Verbo, associata a quella di “gloria” (ebraico kavod) o manifestazione di Dio, già giudaica, e da Giovanni inserita in una vera teologia della luce.
La combinazione di questi elementi in una liturgia che, nella sistemazione di natale datate da Leone I papa, rispondeva a diverse preoccupazioni dogmatiche, che, nella recente riforma, ha avuto qualche ritocco, non è schematizzabile facilmente: si potrebbe ulteriormente precisare che la luce è accompagnata dall’uso di termini come “apparire” e “vedere”.
Le letture di Isaia hanno dunque il significato di adempimento messianico culminato nell’apparizione di colui che illumina gli uomini. L’opposizione luce-ombra, che si legge per esempio nella prima lettera della prima messa, ha la caratteristica unica, in confronto alle religioni e alle filosofie dualistiche, di essere finita e superata proprio nel mistero del natale.
I cristiani partecipanti al culto natalizio sapevano che, come dice Giovanni (I lettera 1,5) “Dio è luce”, e (Giovanni 1,9 e 2,12) Cristo era la luce vera del mondo: perciò i testi di Isaia suonavano loro come un esplicito e gioioso annuncio di Cristo. Tra gli oracoli del Deuteroisaia ce c’è uno, non usato a natale ma ripreso dall’Apocalisse (21,23), che permette di capire il significato più autentico che hanno le odierne letture profetiche (a cui si devono aggiungere i responsori della seconda e terza messa e l’alleluia della terza):
“Per te non sarà più il sole luce di giorno,
né lo splendore della luna ti illuminerà:
ma il Signore ti sarà luce sempiterna,
è il tuo Dio sarà il tuo splendore.
Non tramonterà più il tuo sole
E la luna non scomparirà:
perché il Signore ti sarà luce sempiterna
e avranno fine i giorni del tuo lutto”. (Isaia 60,19-20)
E’ il rovesciamento delle parole dette da Dio a Mosè: “Nessuno può vedere me e vivere” (Esodo 33,20), compiuto dall’apparizione della Gloria che, come riferisce il vangelo della prima messa parlando dei pastori, “li avvolse di luce”.
Gli altri due nuclei di Isaia sono la nascita di un pargolo (prPaolo De Benedetti