La rilettura dei giorni trascorsi a Lisbona non solo per la Gmg ma anche di una interessante proposta, la settimana precedente a Phalais, col gruppo Alpha Italia, a cui hanno partecipato alcuni ragazzi della nostra parrocchia, è ancora oggetto di diverse riflessioni.
In attesa di poterla condividere insieme al nostro gruppo, ai primi di settembre, proponiamo la riflessione di Luca.
Luca Colacino è stato uno degli animatori della proposta ed è riuscita a catturare l’attenzione dei nostri ragazzi per l’immediatezza del suo linguaggio e la freschezza delle sue riflessioni. Classe 1999, è nato a Bad Urach, vicino a Stoccarda, in Germania. Laureato in Filosofia, Politica ed Economia all’Università di Manchester in Inghilterra, è vincitore di una borsa di studio per un master di due anni a Princeton negli Stati Uniti dove attualmente studia Teologia. Ha uno spiccato interesse per l’unità dei cristiani, per il rinnovamento della Chiesa e per l’importanza esistenziale del Cristianesimo nei confronti dell’uomo post-moderno.
Sembra che i venti della nostra generazione stiano per cambiare. Di questo ne è testimone l’aria che si respirava a Lisbona la prima settimana di agosto, in occasione della 37ª Giornata mondiale della gioventù (GMG). La GMG è un raduno internazionale di giovani voluto ed istituito nel 1985 da papa Giovanni Paolo II. Da subito si è rivelato un evento di particolare rilevanza per i giovani partecipanti, per le nazioni che lo ospitavano e per tutta la Chiesa. Quest’ultima edizione di Lisbona, però, arriva in un momento cruciale per le giovani generazioni. In un tempo segnato dall’intensificarsi delle guerre nei continenti, dall’antagonismo e dalla polarizzazione sociale, da una crisi ecologica e climatica, dal moltiplicarsi di ansie, depressioni e altri problemi di salute mentale. Un tempo in cui il mondo sembra stia perdendo la sensibilità tipicamente umana nei confronti della sacralità della vita altrui, e sembra essersi dimenticato l’insegnamento terenziano «homo sum, humani nihil a me alienum puto».
Proprio in questo tempo di grande scoraggiamento che vacilla tra insensibilità verso il presente e ansia per il futuro, le strade di Lisbona pullulavano con più di un milione e mezzo di giovani provenienti da tutto il mondo. Tra questi ragazzi di Lisbona si respirava un’aria diversa. Erano giovani pellegrini. Sì, pellegrini che facevano risuonare un grido forte di resurrezione tra i vicoli e le superstrade che portavano alla Collina dell’Incontro e al Campo di Grazia in cui si sarebbero svolte le messe, la Via Crucis e le feste principali della Giornata mondiale della gioventù. Giovani pellegrini che intonando in lingue diverse il loro Alleluia ricevevano il caldo benvenuto di anziani e anziane che germogliavano dai balconi rispondendo con applausi e canti di gioia.
Lisbona era diventata un mare di vita nuova che accoglieva fiumi di ragazzi e ragazze in viaggio verso un qualcosa di santo, pellegrini in ricerca di qualcosa che potesse dare alla loro giovane vita un significato, in cammino per incontrare qualcuno che li ascoltasse, li capisse e li supportasse. Pellegrini in viaggio verso un Dio che potesse dare loro la libertà di scegliere una vita diversa, la speranza di un futuro nuovo.
Questi erano i pellegrini provenienti da tutto il mondo che camminavano insieme e facevano amicizia con i loro coetanei di ogni nazione. Insieme. Camminavano insieme. Gioivano insieme e piangevano insieme. Cantavano di gioia ognuno nella propria lingua per poi cadere in preghiera nel più sacro silenzio che univa un milione e mezzo di cuori in adorazione davanti alla presenza di Gesù nell’eucarestia. Quest’aria di Lisbona era aria di fraternità, di unione e di condivisione. Un’aria così ricca di speranza che nel suo primo discorso a Lisbona, papa Francesco si è rivolto ai giovani dicendo di sognare che loro diventassero una generazione di maestri: «Maestri di umanità. Maestri di compassione. Maestri di nuove opportunità per il pianeta e i suoi abitanti. Maestri di speranza».
Questa sembra essere la Chiesa voluta dai giovani di Lisbona: la speranza di una nuova umanità. Un’umanità pienamente vissuta e modellata da Gesù Cristo, quel Gesù che chiama tutti a seguirlo con la promessa di vita in abbondanza (Giovanni 10, 10). Una Chiesa in cui, nelle parole umili e chiare di papa Francesco a Fatima, c’è posto per tutti, tutti, tutti. Una Chiesa nella quale l’unico momento in cui è lecito guardare una persona dall’alto verso il basso è per aiutarla ad alzarsi, non per giudicarla. Una Chiesa che si prende cura del creato e dei poveri, per il bene del pianeta e dei suoi abitati. Questa è la comunità sognata dai giovani cristiani di tutto il mondo riuniti a Lisbona insieme al pontefice. Questa è la speranza di una nuova umanità che operi con criteri diversi di progresso e di successo: un’umanità più santa, più umana.
In mezzo ai ragazzi della GMG, ho percepito la santità di Dio sulla mia pelle in una maniera molto tangibile. Talmente tanto tangibile che tutti insieme abbiamo sentito la chiamata di Gesù a vivere una vita santa e piena di gioia. Sì, la gioia della santità vissuta insieme, in amicizia. La gioia della santità stessa di Dio che ci rende partecipi della sua vita eterna piena d’amore. Una santità così straordinaria eppure umile. Una santità che si nasconde dietro le sembianze di un pezzo di pane e vino per diventare cibo di vita vera e bevanda di vita eterna. Una santità che ci mette in moto verso i nostri amici, le nostre parrocchie, i nostri Paesi e il mondo intero.
Al rientro da questa GMG, sento ancora il profumo dell’aria di Lisbona sulla mia pelle e mi vengono in mente le parole di una grande mamma della gioventù cristiana in Italia, che condivido pienamente: «Sulla porta di casa e della parrocchia ora ritroviamo non i reduci di una bella esperienza giovanile a sfondo religioso, ma i cercatori del futuro di tutti». La GMG non è un evento fine a se stesso, ma una tappa del cammino in cui la gioventù cattolica mondiale si riunisce per incontrare Gesù, la forza che anima il suo cammino verso un futuro diverso e pieno di speranza.
«La GMG ha mostrato a tutti che è possibile un altro mondo» ha detto papa Francesco durante la prima udienza generale al rientro da Lisbona, «un mondo di fratelli e sorelle, dove le bandiere di tutti i popoli sventolano insieme, una accanto all’altra, senza odio, senza paura, senza chiusure, senza armi! Il messaggio dei giovani è stato chiaro: lo ascolteranno i “grandi della terra”? Mi domando, ascolteranno questo entusiasmo giovanile che vuole pace? È una parabola per il nostro tempo, e ancora oggi Gesù dice: “Chi ha orecchie, ascolti! Chi ha occhi, guardi!”. Speriamo che tutto il mondo ascolti questa Giornata della Gioventù e guardi questa bellezza dei giovani andando avanti».
Queste parole mi ricordano di un signore più anziano di me al quale un giorno chiesi quale fosse la sua più grande paura: mi rispose che aveva paura di non riconoscere il tempo in cui Dio lo avrebbe visitato.
Sono rimasto molto sorpreso nel notare che il più grande raduno di giovani degli ultimi anni, un evento così ricco di speranza, dai risultati così significativi, sia stato quasi ignorato dalle piattaforme di informazione di massa. Questo ha spinto alcuni miei colleghi a riconoscere che il bene non fa notizia, e che forse viviamo in un mondo che non è pronto a ricevere l’ondata di aria fresca e ricca di speranza dei giovani di Lisbona.
Io, invece, sono più ottimista. Penso che forse questa possa essere proprio la via del Signore, un Dio che non va in cerca di visualizzazioni e acclamazioni. Il Dio cristiano è un Dio della periferia, della Galilea, di Nazareth, un Dio che nell’umile silenzio dell’ordinarietà trasforma la storia dell’umanità un cuore alla volta. Forse questo è il significato profondo di grazia; forse questo è il segreto della santità; forse quest’aria di Lisbona è la speranza vera di un nuovo inizio per la nostra generazione.
Luca Colacino