Di quei sei/sette milioni di italiani che vanno a messa la domenica, almeno cinque sono di cristiani che non sono frati né suore né soci di alcuna associazione cattolica, che non sono personalmente attivi in nessuna delle istituzioni della Chiesa, che non sono membri di un movimento ecclesiale, che non sono teologi né lettori abituali di pubblicazioni religiose cattoliche, né fanno parte di alcuno dei vari circoli di intellettuali cattolici, che si ritrovano a riflettere sulle cose della Chiesa. Sono cristiani e basta. I religionisti li classificherebbero fra “le grandi masse religiose”. Io li definirei semplicemente come “il popolo delle parrocchie”.
È lo zoccolo duro del corpo cristiano sparso nel mondo. Sono cristiani che credono e pregano, anche se spesso a modo loro, relativamente osservanti delle buone regole dell’ortodossia, ma che cercano di vivere onestamente e di praticare, anche se a volte in misura minima, la carità evangelica, che battezzano i figli e li indirizzano a vivere da cristiani.
Bisogna dire che, fra di loro, ci sono anche protagonisti di fatto importanti della missione della Chiesa, soggetti rilevanti nella società, nell’esercizio di particolari professioni o per un loro ruolo pubblico eminente.
Ascoltati per la prima volta
Il Foglio di lavoro (Instrumentum laboris) del prossimo Sinodo dei vescovi rileva la felice sorpresa di molti cristiani per essere stati «ascoltati dalla comunità, in alcuni casi per la prima volta, ricevendo così un riconoscimento del proprio valore che testimonia l’amore del Padre per ciascuno dei suoi figli e delle sue figlie» (IL 22).
È un’esperienza che, rilevandone i limiti, non dev’essere sottostimata. Si pensi che è, in assoluto, la prima volta nella storia della Chiesa che si intraprende una simile impresa.
A dire il vero, è la prima volta dopo l’età apostolica, della quale gli Atti degli apostoli raccontano l’evento di Paolo e Barnaba che, per la questione dell’ammissione dei pagani, «a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani», e che in questa riunione plenaria fu presa una decisione di enorme importanza per il futuro del cristianesimo.
Allora probabilmente furono coinvolti tutti i cristiani esistenti al mondo, nelle due comunità di Antiochia e di Gerusalemme. Oggi, l’ambizione di coinvolgere tutti i fedeli che conservano un sia pur minimo rapporto con la Chiesa in un Cammino sinodale, ovviamente, va ridimensionata.
Nell’avvicinarsi alla mèta è importante, però, rilevarne i limiti, non per diminuirne la portata storica, ma perché, nella prospettiva che l’evento determini per il futuro della Chiesa un costume abituale e la canonistica ne inserisca le regole nell’ordinamento canonico, si possa pervenire alla forma ideale di una Chiesa effettivamente sinodale.
Nella Seconda sessione bisognerebbe…
Uno dei limiti del quale bisognerebbe tenere conto non è quello numerico in senso quantitativo, ma quello del suo senso qualitativo. Che genere di cristiani è quello che è stato effettivamente coinvolto nel Cammino sinodale? Per citare il caso della Chiesa italiana, il testo della Sintesi nazionale, pubblicato dalla Cei, segnala i 50.000 “gruppi sinodali” nei quali si sono incontrate e hanno dialogato tra loro, più o meno, un mezzo milione di persone.
Data la diversa potenza dell’appeal, di cui poteva godere la chiamata del papa e dei vescovi a incontrarsi, è pur sempre un numero rilevante. Anche paragonandolo con l’evento che raggruppa, di gran lunga, il massimo numero degli italiani, le partite di calcio della serie A, che hanno visto riempirsi gli stadi, nel totale delle prime sette giornate del 2022, di due milioni di spettatori.
La questione più delicata non è quindi quella del numero, ma quella dell’aspetto qualitativo dei gruppi e delle persone che hanno risposto agli inviti ai diversi incontri del Cammino sinodale. La parte rimasta più estranea all’evento è, infatti, quel “popolo delle parrocchie”, che non partecipa abitualmente alle iniziative proposte lungo la settimana e che si fa parte della vita della Chiesa solo alla messa della domenica. Fra costoro ci sono anche fedeli che rendono buona testimonianza al Vangelo nel mondo ma che, per particolari situazioni familiari, non possono partecipare in altre occasioni.
Non mancano, inoltre, persone che difficilmente possono farsi parte attiva della vita parrocchiale, proprio perché assorbite in ruoli pubblici rilevanti al di là dei confini della Chiesa locale e che, proprio per questo, sarebbe utile fossero consultate.
Anche fra i più di 80 non vescovi che daranno vita alla Prima sessione del Sinodo dei vescovi, “il popolo delle parrocchie” non ha una sua propria rappresentanza, né vi sono formalmente rappresentati i parroci, cioè i suoi più diretti pastori.
Saranno certamente i vescovi a farsi portavoce delle istanze di questa massa di cristiani senza aggettivi, che molto avrebbero da dire a proposito della missione della Chiesa nel mondo di oggi.
Ma è anche auspicabile che, fra le due sessioni, le ulteriori possibilità di ascolto del popolo di Dio vengano indirizzate soprattutto a loro e che i parroci vengano coinvolti in maniera specifica.
La Seconda sessione del Sinodo dovrebbe poter intrecciare alla voce dei vescovi, al di là di quella dei cristiani più attivi nella vita delle comunità, la voce «di tutto il popolo santo di Dio», che nella partecipazione «alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, … cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri» costituisce la “praecipua”, cioè «la più importante manifestazione della Chiesa» (SC 41).
Severino Dianich