Nella sua ultima catechesi pubblica papa Francesco ha distinto astinenza e castità sorprendendo non pochi. Ma come? Non sono la stessa cosa? Fare “voto di castità” non significa “astenersi” da ogni relazione sessuale? E poi, seconda obiezione: non sarebbe meglio che la Chiesa smettesse di fare la morale agli altri in materia sessuale, visto che la pedofilia del clero è diffusa dai semplici preti ai cardinali in tutto il pianeta? I temi quindi sono due: 1) astinenza e castità; 2) legittimità della morale sessuale ecclesiastica.
Sul primo aspetto il Papa non ha fatto altro che riprendere una distinzione tradizionale, già il concilio Vaticano II infatti dichiarava che «gli atti con i quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onorevoli e degni» (Gaudium et spes, 49). Si può dare quindi unione sessuale (cioè assenza di astinenza) e “insieme” castità. La castità non coincide sempre con l’astinenza. Vi coincide per coloro che hanno fatto voto di castità, ma per gli altri essa indica lo stile con cui praticare l’unione sessuale, praticata non all’insegna dello sfruttamento e della rapina ma di quella donazione reciproca da cui deriva “casta intimità”.
Il dato di fatto, invece, è che si possono avere rapporti intimi senza che vi sia intimità. Ve ne sono a milioni, forse sono la maggioranza: due corpi si uniscono e due anime rimangono completamente estranee. Il corpo sente, il sentimento non c’è. Calore esteriore, gelo interiore. E la castità, ben lungi dal coincidere sempre con l’astinenza, designa quindi lo stile per giungere alla reale intimità. Lo indica già l’etimologia dell’aggettivo “casto” che in latino significa anzitutto “integro, onesto, leale”. La castità insomma più che il corpo riguarda il cuore. E infatti si può dare anche il caso, purtroppo non così raro, di persone che praticano sì l’astensione da ogni rapporto sessuale ma non sono per nulla caste, perché non lo è la loro interiorità e quindi neppure i loro pensieri e i loro sguardi. Insomma la pratica della sessualità riguarda sia il corpo sia l’anima (o in qualunque altro modo si voglia chiamare l’interiorità di un essere umano), e solo a queste condizioni si può parlare di amore e si fa veramente l’amore, e non della mera ginnastica sessuale in cui il corpo dell’altro ha lo stesso valore di un attrezzo di una palestra.
Per quanto attiene alla legittimità della Chiesa di insegnare in materia di etica sessuale, il discorso va preso un po’ più alla larga. Occorre infatti essere anzitutto convinti del fatto che noi umani abbiamo bisogno di un’etica sessuale che ci indichi quale sia la modalità migliore di vivere la sessualità. Ne abbiamo veramente bisogno? Io penso di sì, ma constato che oggi la posizione dominante pensa di no. Vince infatti l’amoralità. Ho detto “amoralità”, non immoralità: ciò che viene sostenuto non è infatti il comportarsi in modo immorale (nel senso che la vita sessuale sarebbe tanto più ricca quanto più vi siano atti turpi e persino violenti), ma piuttosto l’assenza di ogni indicazione morale perché l’unico codice riconosciuto è il massimo del piacere. Ma è veramente così? Vorrei ricordare Kant: «Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua sia nell’altrui persona, sempre come fine e mai solo come mezzo». Questo imperativo categorico non vale solo per la sfera economica e sociale dell’esistenza, ma anche per la vita sessuale, nella quale anzi gli esseri umani sono di solito più esposti e più indifesi. Per questo io sono convinto della necessità dell’etica anche in ambito sessuale.
Ma la Chiesa è legittimata a parlare in questo ambito? La sua dottrina ufficiale è ritenuta concretamente impercorribile anche dalla gran parte dei cattolici, come dimostra questa affermazione del cardinal Walter Kasper: «Dobbiamo essere onesti e ammettere che tra la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute di molti cristiani si è creato un abisso». La genesi di tale abisso si spiega alla luce del fatto che lungo la storia il cattolicesimo ha messo in rilievo soprattutto l’aspetto negativo della sessualità, stabilendo regole e divieti spesso mortificanti per le ragioni del corpo e del piacere, con il risultato che oggi, tra tutte le grandi tradizioni spirituali, nessuna come il cattolicesimo ha urgenza di una svolta rinnovatrice in materia di morale sessuale. Io penso che anche così si spieghi la piaga purulenta della pedofilia del clero: per l’incapacità della dottrina ufficiale di comprendere veramente le ragioni e le pulsioni del corpo. Persino le suore, non solo denunciano di subire abusi dal clero maschile, ma sono denunciate esse stesse per averne commessi verso bambine e bambini indifesi.
Se si considera la morale sessuale cattolica nel suo insieme come guardandola dall’alto, l’aspetto che più colpisce è il profilo intransigente. Oltre ai no per così dire scontati (allo stupro, all’incesto, all’aborto, alla prostituzione, alla pornografia, all’adulterio), ve ne sono altri oggi per nulla scontati: no ai rapporti prematrimoniali tra fidanzati, no alla masturbazione, no all’esercizio della sessualità tra persone omosessuali e soprattutto no a ogni forma di contraccezione (sia prima, sia durante, sia dopo il rapporto sessuale).
L’etica della Chiesa cattolica in materia sessuale si presenta come basata sull’oggettività di una presunta “legge naturale” su cui il soggetto dovrebbe normare la propria particolare situazione. Alla prova dei fatti però essa risulta un peso troppo gravoso da portare: lo è a livello pratico, per l’impossibilità di attuarla con efficacia, come risulta dal fatto che la stragrande maggioranza dei cattolici la ignora; e lo è a livello intellettuale, per il massiccio ricorso a ciò che il teologo tedesco Karl Rahner chiamava «cattiva argomentazione in teologia morale». Tutto questo ha condotto la gran parte dei cattolici a non osservare la norma ecclesiastica. Per questo i responsabili della Chiesa hanno il dovere di rivedere profondamente la dottrina in questo ambito, aggiornandola in modo da poter essere di vero aiuto alla vita concreta delle persone. È quanto auspicava il cardinal Martini ed è quello che papa Francesco sta cercando di fare, come dimostra il riconoscimento delle coppie omosessuali come unioni reali di amore.
Solo se intraprende un profondo percorso di rinnovamento in materia di etica sessuale, la Chiesa riuscirà a mettere ordine in casa sua e tornerà a risultare legittimata nel prendere la parola al riguardo. Si tratta di applicare nell’ambito dell’etica sessuale il rinnovamento compiuto nell’ambito dell’etica sociale, dove la Chiesa è passata dal ragionare sulla base di un astratto criterio oggettivo (i diritti della verità) a un più concreto criterio soggettivo (i diritti della persona), decisivo cambio di prospettiva che l’ha condotta dai roghi dell’Inquisizione al rispetto della libertà di coscienza. Il medesimo criterio applicato all’etica sessuale porterebbe la Chiesa alla prima indispensabile apertura consistente in un esplicito sì alla contraccezione (la quale peraltro è lo strumento più efficace per evitare l’aborto).
Qualcuno a questo punto si chiederà se si possa ancora parlare di etica “cattolica”. In realtà non esiste una specifica etica cattolica: l’etica è la scienza del bene, e il bene, per definizione, è universale (è un trascendentale dell’essere, insegna la filosofia scolastica). Non esiste un bene cattolico, così come non esistono una bellezza cattolica e una verità cattolica. Se sono veramente tali, sia il bene sia la bellezza sia la verità sono universali. Quindi l’etica è una e unica, vale per tutti, e la retta coscienza la riconosce immediatamente. Ne consegue che non si tratta di preoccuparsi di salvaguardare lo specifico dell’etica cattolica, ma piuttosto di proporre veramente il bene degli uomini e delle donne di oggi, in questi giorni così difficili che hanno un urgente bisogno di morale, ma non di moralismo.