“Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario.”
Sal 26
Ricorre oggi il IV anniversario della morte di don Giovanni Marceddu, presbitero Arborense.
Nel rileggere, dopo quattro anni la testimonianza che scrissi in occasione della sua morte, grazie anche a don Daniele Quartu, che proprio oggi mi ha segnalato questo anniversario, sento di ricordare (riportare al cuore), questa significativa figura del nostro presbiterio diocesano.
Ho avuto la grazia di conoscere don Giovanni nel 1994 quando mons. Tiddia, allora arcivescovo, mi inviò come seminarista nella Parrocchia di S. Sofia vergine e martire a San Vero Milis, per l’attività pastorale. Ho condiviso con lui l’ultimo tratto della mia formazione e da don Giovanni sono stato accompagnato al diaconato e presbiterato.
Il rapporto iniziale è stato caratterizzato da una diffidenza reciproca: da parte sua per avermi accolto con molta riserva nella sua Parrocchia, per il mio percorso di formazione molto variegato e non secondo l’itinerario standard. Da parte mia, invece, per i suoi modi a volte rudi, spigolosi e a tratti intolleranti.
Ci siamo incontrati.
Gradualmente, nel tempo, è sopravvenuta una crescente curiosità in entrambi, curiosità che ci portava non solo a studiarci a vicenda ma anche ad ascoltarci. Un ascolto, il nostro, che ho sperimentato come un dono dello Spirito non solo per noi due ma, posso dire, anche per la Comunità di San Vero, che è stata testimone dell’affetto di un padre verso un figlio e di un figlio verso un padre. Posso dire che don Giovanni, in quegli anni e anche in seguito, ha saputo esercitare una paternità sacerdotale non comune.
Sono tanti gli insegnamenti che mi ha trasmesso con la testimonianza della sua vita: la figura di un presbitero di solidità umana e integrità spirituale inusuali. In lui ho potuto vedere che, si è credibili, nella misura in cui si è esigenti prima con se stessi e si diventa veri testimoni, quando nell’esercizio delle proprie responsabilità, si vive in prima persona ciò di cui si è convinti. E questo avviene a prescindere dalle fragilità umane. Don Giovanni ha vissuto il senso dei suoi limiti come uomo interiormente pacificato, con serenità e umiltà e confidando sempre nella comprensione di Dio ma anche dei fratelli.
Per due giorni alla settimana, stavo con lui e con la sorella Caterina, che lo ha assistito con discrezione e affetto per tanti anni, nelle diverse parrocchie in cui don Giovanni ha svolto il suo ministero. Ho avuto modo di scoprire la sua profonda umanità, lavorata misteriosamente dalla Grazia e di cui Dio si è servito. Il suo ministero, caratterizzato, spesso, da inquietudine e ricerca sincera del Signore, è stato guidato dalla misteriosa azione dello Spirito Santo.
Sono tanti gli aspetti della pastorale parrocchiale in cui don Giovanni, con semplicità e senza alcuna pretesa, ha operato tanto bene. Penso al suo rapporto con i giovani, apparentemente fallimentare, ma fortemente provocatorio ed efficace. Gli adolescenti e i giovani di quel tempo sono gli adulti di oggi e lo ricordano con gratitudine, come un presbitero che ha reso testimonianza alla Verità, con la vita, innanzitutto.
Penso al suo rapporto libero con i soldi: don Giovanni è stato un prete libero dall’attaccamento al denaro, dalla bramosia del successo pastorale e dall’ottenere facile consenso. Uomo di contrasto, impulsivo ma fortemente ricercatore e amante del bene e della verità per sé stesso e per gli altri. Figlio del suo tempo e della sua formazione, mi ha insegnato a guardare con fiducia le novità della “Chiesa in uscita” che in quegli anni si percepiva come ricerca di nuova identità.
Critico contro le forme stereotipate dell’associazionismo ecclesiale, del ritualismo e del clericalismo, avvertiva il desiderio, come uomo e come presbitero, di nutrirsi di nuove proposte di fraternità e formazione umana e sacerdotale.
Uomo di azione e di contemplazione, non trascurava il tempo della preghiera, anche se sovraccarico di impegni. Mi capitava, ogni tanto, di trovarlo addormentato sulla scrivania della sacrestia con il breviario in mano. Conservo nel cuore questa tenera immagine, ripresa di recente da Papa Francesco.
Attento ai poveri della Parrocchia, era sensibile alle complesse situazioni familiari di cui veniva a conoscenza e delle quali spesso, condivideva con me, con estrema umiltà, la sensazione di impotenza e inadeguatezza su come intervenire. Più di una volta, mi ha coinvolto in situazioni particolari dicendomi: tu sei giovane e certe cose le capisci meglio di me, vedi come sia meglio intervenire… Posso dire che aver vissuto i primi due anni di ministero come suo viceparroco è stato un grande dono sotto tanti aspetti.
Mi ha aiutato a crescere accordandomi fiducia e accompagnandomi al sacerdozio, ripetendomi spesso: da prete, farai tanto bene…
Refrattario e diffidente alle dinamiche politiche e partitiche del suo tempo nel rapporto con la Chiesa, don Giovanni stava alla larga da circuiti che puzzano di compromesso, favoritismo e falsi e pericolosi equilibri.
Il sincero amore per le comunità che ha servito negli anni del ministero è la testimonianza più concreta e più chiara di come Dio agisce, nonostante i nostri limiti, lasciandoci spesso nell’ombra. Don Giovanni ha vissuto la sua vocazione presbiterale, tenendosi lontano dal desiderio di successi e gratificazioni umane e camminando alla ricerca del riconoscimento più grande, la luce appagante della verità di Dio e degli uomini!
Ha condiviso ogni cosa con le persone incontrate nel suo percorso e lui, che di case e chiese ne aveva restaurato e costruito diverse, ha scelto di non possederne neppure una per sé.
A conclusione del suo ministero, si è ritirato con i fratelli e la sorella nel suo paese natio e, visitato dal mistero della sofferenza, ha portato a compimento la sua vita terrena.
Riposa in pace, caro don Giovanni e il tuo ricordo sia benedizione per tutti noi!
don Alessandro Enna