A) Nel Messale Romano,
il sabato si riduce a questa annotazione: “ Il Sabato Santo, la Chiesa sosta presso il sepolcro del Signore, meditando la sua passione e morte, astenendosi dal celebrare il sacrificio della Messa (la mensa resta senza tovaglia e ornamenti) fino alla solenne Veglia o attesa notturna della risurrezione. L’attesa allora lascia il posto alla gioia pasquale, che nella sua pienezza si protrae per cinquanta giorni. In questo giorno si può dare la santa comunione soltanto sotto forma di viatico “. Di solito si dice che il Sabato Santo è un giorno “ aliturgico “. La terminologia non è esatta, perché il Sabato Santo, nel triduo pasquale, è una celebrazione nel profondo, e non solo per la Liturgia delle Ore, ma per altri elementi misterici che sono una vera celebrazione. Non è il digiuno un culto per il Signore? Il restare in silenzio vicino al sepolcro del Signore, o stare a casa come la sante donne, non è una celebrazione mistica della speranza, che impregna questa fase del triduo pasquale?
Ma Qual’è il significato del sabato santo?
Il sabato santo è giorno in cui la Chiesa non celebra l’eucaristia, ma “sosta presso il sepolcro del Signore, meditando la sua passione e morte” in attesa della celebrazione della “madre di tutte le veglie”, la Veglia pasquale.
Questo giorno è scandito unicamente dalla celebrazione della liturgia delle ore ed è particolarmente significativa al riguardo la seconda lettura dell’Ufficio delle letture, tratta da un’antica Omelia sul sabato santo (III secolo), in cui l’anonimo autore, con grande talento letterario e fervida immaginazione, descrive il dialogo tra Gesù, entrato nel regno dei morti, ed Adamo: “Oggi sulla terra c’è grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi….Svegliati, tu che dormi! Infatti io non ti ho creato perché rimanessi prigioniero dell’inferno.
Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura”. L’evento qui descritto, la discesa agli inferi di Cristo, in cui alcuni padri della Chiesa hanno scorto il punto estremo della kenosi del Figlio di Dio, presuppone per una sua adeguata comprensione la fede nella resurrezione. Infatti – come ha scritto il teologo francese C. Duquoc – “la discesa agli inferi nel Credo apostolico non si separa dalla risurrezione, ma sottolinea al contrario la verità della vita nuova in Gesù poiché sottolinea la verità della sua morte”. Per Cristo dunque discendere agli inferi significa affrontare la morte sperando che questa sarà vinta dal Padre a vantaggio non solo del Figlio ma di tutta l’umanità, significa in altri termini “sperare contro ogni speranza che Dio affronterà l’irrimediabile”. Tale discesa “indica tanto la realtà della morte di Gesù quanto l’inaugurazione della sua vittoria sulla morte”. Difatti, proprio la “rappresentazione della discesa di Gesù nel regno della morte, non l’uscita dal sepolcro come in Occidente, è per le chiese orientali l’autentica icona pasquale.
Nella discesa fra i morti e nella conseguente eliminazione di tutta la mancanza di relazioni dell’oscuro regno dei morti si manifesta, infatti, tutta la forza della potenza della risurrezione di Cristo. Anzi, per il grande teologo, Hans Urs von Balthasar questa discesa di Gesù nel regno della morte è addirittura il motivo più profondo della speranza universale. Il Figlio di Dio, essendo, infatti, penetrato proprio lì dove è il posto il peccatore, cioè nel luogo della mancanza di relazioni, della solitudine e della lontananza da Dio, abbraccia con il suo amore anche coloro che sono più lontani da Dio. In tal modo le pote degli inferi si spalancano, sono costrette ad aprirsi alla forza di Cristo che comunica una nuova vita e un nuovo futuro”(G. Greshake). Cristo ha sconfitto la morte mediante la sua morte che è essenzialmente solidarietà con la condizione dell’uomo fino alla condivisione del suo stato di morte. Secondo Karl Rahner “Gesù ha gustato il nostro stato di morte. Vi è disceso, ha toccato il fondo del nostro essere e si è sprofondato nel suo abisso incommensurabile. Poiché egli vi si lasciò andare abbandonandosi nelle mani del Padre suo, sperimentò l’ingresso nel mistero infinito di questo amore eterno come uno sprofondarsi in maniera anonima nelle tenebre della morte, nel vero stato di morte”.
Da tale punto di vista il sabato santo è il giorno della speranza, poiché “confessare che Gesù è disceso agli inferi equivale a confessare un evento salvifico che illumina anche oggi la situazione dell’uomo davanti a Dio e lo distoglie dalla perdizione” (C. Duquoc). La liturgia bizantina invita in questo giorno al silenzio: “resti muto ogni mortale e stia con timore e tremore; non mediti alcunché di terreno”. Allora il sabato santo è per tutti noi un richiamo all’essenziale, alla contemplazione, fuggendo la chiacchiera quotidiana e l’affaccendamento mondano in cui non c’è posto per il silenzio dove rientrare in se stessi per consegnare la propria fragilità all’amore di Dio. Il sabato santo è traversato dalla domanda sul futuro, nel crollo di tutte le certezze, nell’apparente trionfo del male con la morte in croce di Gesù. Siamo dunque sollecitati in questo giorno ad una profonda riflessione sul senso del vivere e del morire.
La morte è un evento che oggi si tende ad esorcizzare, a non prendere in considerazione. E’ la paura che spesso ci afferra di fronte alla percezione bruciante della finitudine umana, insuperabile dentro lo spazio della potenza manipolativa dispiegata dalla tecno-scienza e che si accompagna spesso all’incapacità di pensare un’ulteriorità rispetto all’ambito dell’empirico. Solo il mistero pasquale può aprire alla speranza, proprio quella speranza che in una società dominata dal mito dell’efficienza e in cui tutto è misurato sul metro del fare, del conseguire qualcosa, del produrre, è ritenuta inutile, vuota. Solo la fede nella risurrezione può illuminare le notti oscure della vita, la disperazione che finisce per sovrastarci quando ci scontriamo non solo con la caducità inscritta nella nostra carne ma anche con il male (politico, sociale, economico etc) che sembra dominare la scena del mondo.
La disperazione mortale non può essere l’ultima parola sull’uomo, così come la violenza del potere non può essere il sigillo definitivo sul corso della storia. La memoria della Passione del Signore ci dona uno sguardo diverso sulle vicende umane, spingendoci alla solidarietà con gli uomini e i popoli crocifissi dall’impero del denaro e facendoci entrare nella loro passione fino al dono della vita, con la certezza che la notte del peccato è vinta dalla luce della Pasqua di Cristo e che il silenzio di Dio prelude alla Gloria della Parusia.
B) LA VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA .
Per antichissima tradizione questa notte è “in onore del Signore” (79) e la veglia che in essa si celebra commemorando la notte santa in cui Cristo è risorto è considerata come “madre di tutte le sante veglie”. (80) In questa veglia infatti la chiesa rimane in attesa della risurrezione del Signore e la celebra con i sacramenti dell’iniziazione cristiana. (81)
1. Significato della caratteristica notturna della veglia pasquale.
“L’intera celebrazione della veglia pasquale si svolge di notte; essa quindi deve o cominciare dopo l’inizio della notte o terminare prima dell’alba della domenica”. (82) Tale regola è di stretta interpretazione. Gli abusi e le consuetudini contrarie, che talvolta si verificano, così da anticipare l’ora della celebrazione della veglia pasquale nelle ore in cui di solito si celebrano le messe prefestive della domenica, non possono essere ammessi. (83) Le motivazioni addotte da alcuni per anticipare la veglia pasquale, come ad es. l’insicurezza pubblica, non sono fatte valere nel caso della notte di natale o per altri convegni che si svolgono di notte.
La veglia pasquale, in cui gli ebrei attesero di notte il passaggio del Signore che li liberasse dalla schiavitù del faraone, fu da loro osservata come memoriale da celebrarsi ogni anno; era la figura della futura vera pasqua di Cristo, cioè della notte della vera liberazione, in cui “Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro”. (84)
Fin dall’inizio la chiesa ha celebrato la pasqua annuale, solennità delle solennità con una veglia notturna. Infatti la risurrezione di Cristo è fondamento della nostra fede e della nostra speranza e per mezzo del battesimo e della cresima siamo stati inseriti nel mistero pasquale di Cristo: morti, sepolti e risuscitati con lui, con lui anche regneremo. (85) Questa veglia è anche attesa escatologica della venuta del Signore. (86)
2. La struttura della veglia pasquale e l’importanza dei suoi elementi e delle sue parti
La veglia si svolge in questo modo: dopo il “lucernario” e il “preconio” pasquale (prima parte della veglia), la santa chiesa medita “le meraviglie” che il Signore ha compiuto per il suo popolo fin dall’inizio (seconda parte o liturgia della parola), fino al momento in cui, con i suoi mèmbri rigenerati nel battesimo (terza parte), viene invitata alla mensa, che il Signore ha preparato al suo popolo, memoriale della sua morte e risurrezione, in attesa della sua venuta (quarta parte). (87). Questa struttura dei riti non può da nessuno essere cambiata arbitrariamente.
La prima parte comprende azioni simboliche e gesti, che devono essere compiuti con una tale ampiezza e nobiltà, che i fedeli possano veramente apprenderne il significato, suggerito dalle monizioni e dalle orazioni liturgiche. Per quanto possibile, si prepari fuori della chiesa in luogo adatto il rogo per la benedizione del nuovo fuoco, la cui fiamma deve essere tale da dissipare veramente le tenebre e illuminare la notte. Nel rispetto della verità del segno, si prepari il cero pasquale fatto di cera, ogni anno nuovo, unico, di grandezza abbastanza notevole, mai fittizio, per poter rievocare che Cristo è la luce del mondo. Venga benedetto con i segni e le parole indicati nel messale o altri approvati dalle conferenze episcopali. (88)
La processione, con cui il popolo fa ingresso nella chiesa, deve essere guidata dalla sola luce del cero pasquale. Come i figli di Israele erano guidati di notte dalla colonna di fuoco, così i cristiani a loro volta seguono il Cristo che risorge. Nulla vieta che a ciascuna risposta “Rendiamo grazie a Dio” si aggiunga qualche acclamazione in onore di Cristo. La luce del cero pasquale viene propagata gradualmente alle candele, opportunamente portate in mano da tutti, con le lampade elettriche ancora spente.
Il diacono annunzia il “preconio” pasquale, che in forma di grande poema lirico proclama tutto il mistero pasquale inserito nell’economia della salvezza. Se necessario, in mancanza del diacono, qualora anche il sacerdote celebrante non possa proclamarlo, venga affidato a un cantore. Le conferenze episcopali possono apportare adattamenti a questo “preconio” per mezzo di alcune acclamazioni del popolo in esso inserite. (89)
Le letture della sacra Scrittura formano la seconda parte della veglia. Esse descrivono gli avvenimenti culminanti della storia della salvezza, che i fedeli devono poter serenamente meditare nel loro animo attraverso il canto del salmo responsoriale, il silenzio e l’orazione del celebrante. Il rinnovato rito della veglia comprende sette letture dell’Antico Testamento prese dai libri della legge e dei profeti, le quali per lo più sono state accettate dall’antichissima tradizione sia dell’oriente che dell’occidente; e due letture dal Nuovo Testamento, prese dalle lettere degli apostoli e dal Vangelo. Così la chiesa “cominciando da Mosè e da tutti i profeti” (90) interpreta il mistero pasquale di Cristo. Pertanto tutte le letture siano lette, dovunque sia possibile, in modo da rispettare completamente la natura della veglia pasquale, che esige il tempo dovuto. Tuttavia dove le circostanze di natura pastorale richiedono di diminuire ulteriormente il numero delle letture, se ne leggano almeno tre dall’Antico Testamento, cioè dai libri della legge e dei profeti; non venga mai omessa la lettura del cap. 14 dell’Esodo con il suo cantico. (91)
Il significato tipologico dei testi dell’Antico Testamento si fonda nel Nuovo, e si rende manifesto con l’orazione pronunciata dal sacerdote celebrante dopo le singole letture; gioverà anche introdurre i fedeli, con una breve monizione, a comprenderne il significato. Tale monizione può essere fatta o dallo stesso sacerdote o dal diacono. Le commissioni liturgiche nazionali o diocesane avranno cura di preparare gli opportuni sussidi in aiuto ai pastori. Dopo la lettura segue il canto del salmo con la risposta data dal popolo. In questo ripetersi delle parti si conservi un ritmo, che possa favorire la partecipazione e la devozione dei fedeli. (92) Si eviti con attenzione di introdurre canzoncine popolari al posto dei salmi.
Terminate le letture dell’Antico Testamento si canta l’inno “Gloria a Dio”, vengono suonate le campane secondo le consuetudini locali, si pronuncia l’orazione colletta e si passa alle letture del Nuovo Testamento. Si legge l’esortazione dell’apostolo sul battesimo come inserimento nel mistero pasquale di Cristo. Quindi tutti si alzano; il sacerdote intona per tre volte l’“Alleluia”, elevando più in alto gradualmente la voce, mentre il popolo a sua volta lo ripete. (93) Se necessario, il salmista o un cantore intona l’“Alleluia”, che il popolo prosegue intercalando l’acclamazione tra i versetti del salmo 117, tante volte citato dagli apostoli nella predicazione pasquale. (94) Finalmente si annuncia con il Vangelo la risurrezione del Signore, quale culmine di tutta la liturgia della Parola. Non si ometta di fare l’omelia, per quanto breve, dopo il Vangelo.
La terza parte della veglia è costituita dalla liturgia battesimale. Ora viene celebrata nel sacramento la pasqua di Cristo e nostra. Ciò può essere espresso in maniera completa in quelle chiese che hanno il fonte battesimale, e soprattutto quando avviene l’iniziazione cristiana di adulti o almeno si celebra il battesimo dei bambini. (95) Anche nel caso che manchino i battezzandi, nelle chiese parrocchiali si faccia almeno la benedizione dell’acqua battesimale. Quando questa benedizione non si celebra al fonte battesimale ma nel presbiterio, in un secondo momento l’acqua battesimale sia portata al battistero, dove sarà conservata per tutto il tempo pasquale. (96) Dove invece non vi sono i battezzandi ne si deve benedire il fonte, la memoria del battesimo si fa nella benedizione dell’acqua, con cui si asperge il popolo. (97)
Segue quindi la rinnovazione delle promesse battesimali, introdotta con una monizione dal sacerdote celebrante. I fedeli m piedi, e con le candele accese in mano, rispondono alle interrogazioni. Poi vengono aspersi con l’acqua: in tal modo gesti e parole ricordano loro il battesimo ricevuto. Il sacerdote celebrante asperge il popolo passando per la navata della chiesa, mentre tutti cantano l’antifona “Ecco l’acqua” o un altro canto di carattere battesimale. (98)
La celebrazione dell’eucaristia forma la quarta parte della veglia e il suo culmine, essendo in modo pieno il sacramento della pasqua, cioè memoriale del sacrificio della croce e presenza del Cristo risorto, completamento dell’iniziazione cristiana, pregustazione della pasqua eterna.
Si raccomanda di non celebrare in fretta la liturgia eucaristica; al contrario conviene che tutti i riti e tutte le parole raggiungano la massima forza di espressione: la preghiera universale, mediante la quale i neofiti, divenuti fedeli, esercitano per la prima volta il loro sacerdozio regale; (99) la processione offertoriale, con la partecipazione dei neofiti, se questi sono presenti; la preghiera eucaristica prima, seconda o terza fatta in canto, con i rispettivi embolismi; (100) infine la comunione eucaristica, come momento di piena partecipazione al mistero celebrato. Alla comunione è opportuno cantare il salmo 117 con l’antifona “Cristo nostra pasqua”, o il salmo 33 con l’antifona “Alleluia, alleluia, alleluia”, o un altro canto di giubilo pasquale.
È desiderabile che sia raggiunta la pienezza del segno eucaristico con la comunione della veglia pasquale, ricevuta sotto le specie del pane e del vino. Gli ordinali dei luoghi sapranno valutare l’opportunità di questa concessione e le circostanze che l’accompagnano (101).
3. Alcune avvertenze pastorali
La liturgia della veglia pasquale sia compiuta in modo di poterne offrire al popolo cristiano la ricchezza dei riti e delle orazioni; è importante che sia rispettata la verità dei segni, che sia favorita la partecipazione dei fedeli, che venga assicurata nella celebrazione la presenza dei ministranti, dei lettori e della “schola” dei cantori.
È auspicabile che talvolta venga prevista la riunione nella stessa chiesa di più comunità, quando per la vicinanza delle chiese o per lo scarso numero dei partecipanti non possa aversi una celebrazione completa e festiva. Si favorisca la partecipazione dei gruppi particolari alla celebrazione della veglia pasquale, in cui tutti i fedeli, riuniti insieme, possano sperimentare in modo più profondo il senso di appartenenza alla stessa comunità ecclesiale. I fedeli che a motivo delle vacanze sono assenti dalla propria parrocchia, siano invitati a partecipare alla celebrazione liturgica nel luogo dove si trovano.
Nell’annunziare la veglia pasquale si abbia cura di non presentarla come ultimo momento del sabato santo. Si dica piuttosto che la veglia pasquale viene celebrata “nella notte di pasqua”, come un unico atto di culto. Si avvertono i pastori di insegnare con cura nella catechesi ai fedeli l’importanza di prendere parte a tutta la veglia pasquale. (102).
Per una migliore celebrazione della veglia pasquale si richiede che gli stessi pastori acquisiscano una conoscenza più profonda sia dei testi che dei riti, per poter impartire una vera mistagogia.
Da: CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Lettera circolare Paschalis solemnitatis, del 16 gennaio 1988.Osservatore Romano 21.2.Preparazione e celebrazione delle feste