Maria Maddalena, ovvero l’elogio del desiderio

Il 22 luglio si è celebrata la festa di Santa Maria Maddalena. Papa Francesco qualche anno fà ha elevato questa ricorrenza liturgica dal grado di memoria obbligatoria al grado di festa.
In Occidente la Maddalena è considerata “Apostola degli apostoli”, mentre in Oriente, (specialmente nella tradizione orientale bizantino-slava) “Prima tra gli apostoli”.
Un riconoscimento, quello del papa, che ha un solido fondamento biblico e patristico.
Il profilo di questa straordinaria figura femminile fa emergere come la fede è una questione che si libra dalle fibbre più profonde della nostra umanità con l’apparente contraddizione di tutti gli opposti possibili. Oserei dire che la vera fede o si coniuga, in modo misterioso con queste contraddizioni o semplicemente non é!
Grazie a Papa Francesco di questo riconoscimento che educa la nostra fede e la porta ad esprimere e coltivare una spiritualità meno ancestrale e più umana.

don Alessandro

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Nella processione che ogni giorno, da settecento anni, si tiene nel Santo Sepolcro di Gerusalemme, una statio è nel luogo che, a due passi dall’edicola della tomba vuota, ricorda la prima apparizione del Risorto, a Maria Maddalena. L’inno previsto dalla liturgia è uno dei più belli: «Cristo volle manifestare a tutti il suo glorioso trionfo, sed prima ferunt gaudia qui plus ardebant ceteris – ma gustano per primi la gioia quelli che ardevano più degli altri».

Maria di Magdala, dunque, ardeva più degli altri. Bruciava, di desiderio, più degli altri. É per questo che, prima degli altri, merita di ritrovare l’Amato. Pur nella difficoltà di rintracciare un profilo evangelico unitario, Maria è davvero, senz’altro, la donna del desiderio che arde.

Non sapremo con esattezza quali sono i sette demoni da cui era stata guarita (Lc 8,2), ma è probabile che l’espressione si riferisse (anche) ad una esperienza di peccato incancrenito, reiterato. Nulla ci dà certezza che si trattasse di peccati di natura sessuale – storie di desideri disordinati –, ma nulla ci dà neanche la certezza che non si trattasse (anche) di questo.

Allo stesso modo, non siamo certi che la tradizione abbia ragione nel riconoscere in lei la donna che a casa di Simone il fariseo «stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo» (Lc 7,38), eppure – come insegnava Martini – «se questo non è storicamente vero, di certo lo è in riferimento al cuore: Maria di Magdala era così, aveva un cuore totalmente dedito» (C.M.Martini, Maria Maddalena, 2018, 25-26). E il gesto di quella donna – anche oggi, ma ancor più in quel contesto – è un gesto scandalosamente sensuale, un gesto potente di desiderio. Altrimenti non si capirebbe lo scandalo dei presenti.

Assolutamente certo – e in fondo basterebbe solo questo – è invece il ruolo di Maria al mattino della resurrezione (Gv 20,1-18). Tre particolari parlano ancora del suo desiderio, che qui, nella condizione di privazione dell’oggetto desiderato, appare in tutta la sua forza. Maria esce per andare al sepolcro «quando era ancora buio» (Gv 20,1): in un’ora per nulla raccomandabile ad una donna, come se avesse passato tutta la notte insonne, e alla fine non ce l’avesse fatta più ad attendere la prima luce. È il suo pianto poi a parlare del desiderio che scoppia in cuore: un pianto così rotto, da non riuscire neanche a riconoscere il Signore, e a confonderlo per il custode del giardino (Gv 20,15). E poi c’è quella parola del Maestro – «Non mi trattenere» (Gv 20,17) –, così netta, così improvvisa, pronunciata come a frenare uno slancio di Maria a stringerlo. Si può forse pensare che Gesù conoscesse bene Maria, la sua fisicità, la forma del suo desiderio, ed è per questo che la ferma subito, conoscendo quale avrebbe potuto essere la sua reazione nel vederlo e riconoscerlo dopo la paura di averlo perso per sempre.

Eppure, se è vero che Gesù ferma questa fisicità per segnare il passaggio ad una nuova economia, il Maestro non ne sembra infastidito. Alle donne che piangevano su di lui a Gerusalemme, chiede, con un certo distacco, uno sguardo sovrannaturale (Lc 23,28-31); ma niente del genere accade con Maria. Agli apostoli che non lo riconoscono risorto, egli rimprovera la mancanza di fede – «stolti e tardi di cuore» (Lc 24,25); ma non c’è alcun rimprovero per gli occhi gonfi di lacrime di Maria e per la sua lentezza a capire.

Commenta sempre Martini: «Maria Maddalena certamente cercava Gesù in maniera imperfetta, dal punto di vista della fede non era pienamente all’altezza, però aveva un amore grandissimo, una passione intensissima per Gesù e Lui premia questo suo amore, va al di là di tutte le imperfezioni teologiche per arrivare al cuore di questa donna e rivelarsi per primo a lui» (Maria Maddalena, 92-93).

In Maria il desiderio non è di ostacolo all’incontro con il Risorto, ma anzi lo mette in moto, lo provoca. È la sua storia (forse) di desideri disordinati, che le allarga gradualmente l’anima a qualcosa di più grande. È il suo desiderio – per nulla sovrannaturalizzato, trasfigurato, tanto meno angelicato, ma pienamente umano e sensuale – che la porta a compiere quel gesto di eccesso, ai piedi del Maestro. È il suo desiderio che, lungi dall’essere teologicamente perfetto è tutto cuore, a farla correre al sepolcro al mattino, per cercare il suo corpo e tornare a profumarlo e baciarlo, ed incontrare lì il Risorto. Nella storia di Maria di Magdala c’è la verità della nostra vita: che, cioè, di desiderio in desiderio il nostro cuore è dilatato e preparato all’Incontro.

C’è un versetto assai oscuro del Cantico dei Cantici, che recita così: «Senza che me ne accorgessi, il desiderio mi ha posto sul cocchio del principe del mio popolo» (Ct 6,12). Forse così avviene anche con noi, come è avvenuto per la Maddalena: sono i nostri desideri – anche quelli che diremmo sbagliati, ma che restano sempre nostri – a portarci, ad un certo punto, quasi senza accorgercene, all’Incontro, quasi per una pedagogia inconscia. Come se scavassero, allargassero, affamassero, e alla fine non potessimo far altro che arrivare a Lui, «Tu che odoravi nella carne, / Tu celato in ogni desiderio, / o Infinito, che pesavi sugli abbracci» (D.M.Turoldo, Amore e Morte, in O sensi miei…).

Commenta Divo Barsotti a proposito del gesto della donna a casa di Simone il fariseo: «Si comprende perché Gesù accoglie così facilmente i peccatori dell’amore, cioè coloro che hanno scambiato una donna o un uomo per Dio; perché in fondo in questo scambio essi vivono ancora una certa ricerca di amore, una certa volontà di donarsi, una certa volontà di ricevere l’altro. Abbiamo sbagliato nel cercare chi può amarci, ma cerchiamo ancora l’amore» (D.Barsotti, Dio è misericordia, 2022, 26).

Forse Maria di Magdala, per un po’ di tempo, aveva sbagliato nel cercare chi poteva amarla; forse aveva amato Gesù con tutto il suo desiderio umano, ancora carico di sensualità; forse non lo aveva amato di un amore teologicamente perfetto; eppure, molto le è perdonato – e molto le è donato – perché molto ha amato, perché molto ha desiderato (cfr. Lc 7, 47).

È per questo che Maria Maddalena ci può insegnare a non avere paura del nostro desiderio – c’è un solo peccato, scriveva Lacan: indietreggiare sul proprio desiderio (J.Lacan, Seminario VII) – ma a lasciare piuttosto che sia Lui a servirsene, con i suoi tempi, con la sua pedagogia, per portarci, senza che ce ne accorgiamo, sul cocchio del principe, preparandoci – desiderio dopo desiderio – all’Incontro.

Maria di Magdala può esserci maestra, soprattutto in quel suo pianto, la mattina della domenica, quando era ancora buio, e le sembrava di essere ancora, di nuovo, prigioniera dell’ennesimo desiderio tradito – come la sposa impazzita del Cantico.

«Non dirmi delle tue tenerezze, / non dirmi dei suoi occhi come colombe / lungo ruscelli di acque; / delle sue labbra voraci, / dei suoi denti bagnati nel latte; / e le sue gambe colonne d’alabastro / su piedistalli d’oro, non dirmi / non dirmi del suo corpo divino… / Parlami invece dei tuoi assolati meriggi, / quando Lui non c’era, né sapevi / dove andava a pascere il gregge. / Parlami delle tue arsure e come / anche tu te ne andavi randagia / quando non si faceva trovare (…) / Parlami delle tue notti desolate, / delle buie notti, quando dal letto / lo chiamavi invano, o andavi / per tutta la città, e cercavi, / cercavi senza trovarlo: / oh, questo infinito e furioso / cercare…» (D.M.Turoldo, La sublime allegoria, in Canti ultimi).

Luigi Testa