XVII domenica del Tempo Ordinario; commento al Vangelo

Nel lezionario dell’annata B, la liturgia ci fa fare a questo punto in una digressione: tralasciando il vangelo secondo Marco, per alcune domeniche mediteremo il capitolo sesto di Giovanni. La collocazione di questa inserzione non è casuale. Domenica scorsa abbiamo letto l’episodio che precede e prepara la prima moltiplicazione dei pani. Il capitolo sesto di Giovanni narra il segno dei pani e dei pesci, seguito però da un ampio discorso che Gesù tiene nella sinagoga di Cafarnao, sul pane di vita. Nei primi quindici versetti, che costituiscono il brano di questa domenica, abbiamo dunque la narrazione del “segno”.

Il racconto inizia con la collocazione spazio-temporale e la presentazione dei personaggi (vv. 1-4). Siamo lungo “il mare di Galilea, cioè di Tiberiade” (v. 1), in una non meglio precisata località che l’evangelista designa come “l’altra riva”. Altra rispetto a Cafarnao, che Gesù raggiungerà poco oltre compiendo una nuova traversata (6,17). Specifica quindi il momento dell’anno: “Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei” (v. 4); precisazione che getta una luce particolare sia sul segno sia sul discorso che segue, dedicato al pane, con vari riferimenti al dono della manna nel deserto e alla celebrazione della Pasqua. Gli attori in campo sono: Gesù; “la grande folla” che lo seguiva, attratta dai “segni che compiva sugli infermi” (v.2); e i discepoli radunati intorno al Maestro (v. 3).

Ancora nei versetti iniziali, l’evangelista si sofferma a descrivere la scena fornendo dettagli significativi per l’interpretazione: “Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli” (v. 3). Tutto rimanda chiaramente a un contesto di insegnamento: il monte è il luogo della rivelazione (vi anche un possibile riferimento a Mosè e alla Torah); Gesù è seduto, dunque nella posizione del maestro; i discepoli sono disposti intorno a lui, come si addice a chi si pone in ascolto.

Gesù è il Maestro in procinto di insegnare, e da quella posizione, “alzati gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui” (v. 5). Ritorna l’espressione “grande folla” già impiegata al v. 2. Una folla di cui Gesù avverte un bisogno dal quale si lascia interpellare, e dal quale muoverà per interrogare quanti erano seduti intorno a lui in ascolto.

Diversamente dai Sinottici, dove sono i discepoli a intuire la necessità e invitano Gesù a congedare la folla perché vada a procurarsi del pane (cf. Mc 6,35-36), qui è il Maestro che vede, proprio mentre si accinge a dispensare il suo insegnamento. Mostra così di essere un vero maestro, preoccupato più della fame dell’uditorio che dell’insegnamento che intende offrire.

Pone allora a uno dei discepoli una domanda, che l’evangelista chiarisce essere a loro beneficio, in quanto Gesù “sapeva quello che stava per compiere” (v. 6). Non si tratta di una domanda retorica: con essa Gesù vuole “mettere alla prova” (v. 6); e non per far cadere ma per spingere a comprendere; altro riferimento al deserto e alle prove con cui Dio aveva istruito il suo popolo.

La risposta costituisce il caso serio dell’insegnamento cristiano: “Da dove (póthen) compreremo i pani?” (v. 5). Un’espressione che nel quarto vangelo era già risuonata in altri momenti cruciali, sempre a proposito di alimenti. A Cana, colui che dirigeva il banchetto ignora “da dove (póthen)” veniva il vino (2,9). La samaritana al pozzo chiede a Gesù “da dove (póthen)” gli viene l’acqua viva che promette (4,11). Il vino, l’acqua e ora il pane: da dove? Dove andare a cercare ciò che può dare gioia (vino), o dissetare (acqua) o sfamare (pane)? E dunque “da dove” vengono il vino, l’acqua e il pane che Gesù offre? Che in definitiva significa: da dove viene quel Maestro?

Significativamente, Gesù pone la domanda a uno dei primi discepoli, Filippo (1,43), seguito da Andrea, il primo chiamato (1,40). Chiede a loro, forse perché si attende che, per la maggiore assiduità che hanno avuto con lui, avessero compreso. Che cioè il pane è lui stesso, come dirà poco oltre: “Io sono il pane della vita: chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà sete, mai!” (6,35).

Ma la reazione dei due discepoli mostra ancora distanza da Gesù, ponendosi ambedue a un medesimo livello mondano-commerciale, con una complementarietà interessante. Filippo infatti mette in evidenza l’enormità del bisogno: “Duecento denari di pane non sono sufficienti…” (v. 7). Andrea, la scarsità delle risorse: “C’è un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, ma che cos’è questo per tanta gente” (v. 9).

Mostrano così di non conoscere ancora l’origine del Maestro di cui si sono fatti discepoli. Il “segno” (v. 14) sarà dunque anche per loro. Segno perché indica l’identità di Gesù, che imbandisce il banchetto messianico, per il quale è necessario sedersi a mensa. Chiede infatti che le folle si siedano (v. 10), particolare non senza importanza, come anche la menzione dell’erba vede (v. 10), che rimanda al Salmo 23.

Gesù prende dunque i pani, rende grazie e li porge alle folle, insieme ai pesci (v. 11). Anche qui notiamo una differenza significativa rispetto ai Sinottici dove sono i discepoli a distribuire il cibo. Nel quarto vangelo è Gesù in persona, particolare che secondo alcuni interpreti, insieme al rendimento di grazie, vorrebbe rimarcare il carattere eucaristico della scena, lettura non da tutti condivisa.

Al segno segue una professione di fede circa l’identità di Gesù: “Questi è davvero il profeta, colui che deve venire nel mondo” (v. 14). Così era stato anche per Nicodemo, che lo aveva dichiarato “venuto da Dio come maestro” a causa dei “segni” da lui compiuti (3,2). La donna samaritana, invece, lo aveva riconosciuto profeta a motivo del suo insegnamento (4,19), e i suoi concittadini, per la medesima ragione, lo avevano detto “salvatore del mondo” (4,42).

Qui è detto “profeta”, con un possibile riferimento al profeta “pari” a Mosè promesso in Deuteronomio 18,15-18; o semplicemente per la somiglianza del segno da lui compiuto con quanto Eliseo aveva fatto moltiplicando dei “pani d’orzo” (2Re 4,42-44), particolare che Giovanni evidenzia (v. 9), anche qui discostandosi dai Sinottici.

La conclusione però rivela l’inadeguatezza di quel riconoscimento: “Ma Gesù, sapendo che venivano a rapirlo (dal verbo harpázo) per farlo re, si ritirò (o, secondo una variante: “fuggì”) di nuovo sul monte, lui da solo (v. 15). Gesù, soprattutto nel quarto vangelo, è chiaramente il re (1,49; 12,13-15; 18,37; 19,3; 19,12-15; 19,19-21), ma in altro modo.

Al centro di questo segno vi è l’interrogativo che Gesù pone ai discepoli: dove l’essere umano può trovare il pane, vale a dire ciò che può davvero trasmettergli la vita? Quel nutrimento è offerto da Gesù nel pane sovrabbondante che offre alle folle. Un pane che i discepoli non possono procurarsi con i propri mezzi, ma possono ricevere.

Inoltre, questo segno ci ricorda che la vita è un dono che tutti ricevono: il Signore la offre in abbondanza, ma egli sfugge a chi vuole mettere le mani su di lui per manipolarlo, per trasformarlo in oggetto di potere da usare a proprio vantaggio. Un messaggio drammaticamente attuale!

Sabino Chialà

Priore di Bose