Mostri o nostri? Un libro di don Paolo Baroli, presbitero di Oristano

Un libro porta con sé un lettore ideale o, più semplicemente, un destinatario. Il testo di don Paolo Baroli, presbitero e psicologo oristanese, dal titolo Mostri o Nostri (edizioni San Paolo 2024), circa la cura dei soggetti abusanti sembra non avere un interlocutore ben definito. Forse perché aperto al giudizio di molti.

La tesi complessiva, affermata all’avvio del testo, è che i soggetti abusanti, ancorché preti, non possono essere abbandonati a loro stessi e il disgusto per la loro colpa non deve prevalere sulla cura perché escano dalla propria situazione. Il “chiuderli in galera e buttar via la chiave” non è soluzione per nessuno, neanche per loro e, certamente, non è una via che ha i connotati evangelici.

Ed è anche vero che lo stesso diritto canonico sembra assecondare questa logica.

Dopo questo asserto inziale, l’autore elenca diverse vie terapeutiche, talvolta non di immediata evidenza per il lettore. È certo che il terapeuta non deve farsi guidare, nell’ascolto e nella terapia, dal giudizio verso la persona.

Al di là delle competenze psicologiche, l’opera di Baroli sembra rivolgersi ai membri della comunità cristiana che sono giustamente scandalizzati, ma che, altrettanto giustamente, non devono dimenticare il Vangelo. L’autore sembra opporre i due atteggiamenti, ma non bisogna ignorare che, talvolta, è solo un forte sentimento che sostiene decisioni difficili, come quella di indagare su un prete della comunità.

Mons. Pascal Wintzer in Abus sexueels dans l’Église. De scandale auux réformes, Gallimard 2022), fa notare come il fatto di non ascoltare le emozioni contribuisce a bloccarsi, a non agire, perciò sarà forse proprio l’indignazione che aiuterà a cogliere la gravità del fenomeno, per chi è coinvolto e per la Chiesa tutta.

In questo orrido che è l’abuso ci sono diverse tipologie. Quella che ha a che fare con soggetti ecclesiali, preti, confessori, superiori e altro, ha la caratteristica di un esercizio di potere, rivestito di sacro. In quest’ultimo elemento, per l’abusato, sta la forza persuasiva prima e devastante poi.

È dal 2000 che si è aperto ufficialmente questo terribile vaso di Pandora. Ora è il tempo di andare in profondità. Non si tratta di alimentare curiosità malsane, quanto di cogliere quei segnali che possono aiutare la comunità, che normalmente non pensa agli abusi, a riconoscere situazioni di abuso, oppure aiutare i soggetti a riconoscersi come potenziali abusanti.

Nella storia degli abusi nella Chiesa, con la quale si apre il libro, Baroli ricorda anche i protocolli attivati nelle diocesi per tutti coloro che hanno contatti con fanciulli e giovani, ma non basta. Innanzitutto, perché gli abusi si hanno anche con persone adulte e, soprattutto, perché “fatta la legge si trova l’inganno”, dal momento che la vita quotidiana di una comunità non può essere rigidamente normata.

Un esempio banale: il prete non accolga in casa minori soli ma, nella quotidianità di un campo estivo, volete che non succeda? E, grazie a Dio, non sempre c’è un abuso. Perciò ci vuole una sensibilità collettiva che deve essere educata.

Nella Chiesa italiana l’indagine non ha avuto la profondità di quelle svoltesi in altre nazioni, per esempio la vicina Francia con il rapporto CIASE, il Portogallo, la Spagna… Con la conseguenza di una scarsa attenzione al risarcimento delle vittime. Risarcimento che serve ad affrontare una seria cura psicoterapeutica.

Leggere poi che la riduzione allo stato laicale dei preti abusanti potrebbe non essere d’aiuto perché in tal modo la Chiesa non potrebbe né mantenerli né aiutarli, fa veramente impressione e risulta offensivo per le vittime.

Non basta dire che non si vuole sminuire il dolore delle vittime, bisogna evitare di procuralo. E, per una vittima, leggere di questa preoccupazione economica risulta urtante. Certamente don Baroli non voleva questo, e si è concentrato sull’aspetto che gli stava a cuore e che non è da sottovalutare.

Il problema della letteratura intorno agli abusi non ha ancora raggiunto, almeno in Italia, una sufficiente maturità per poter sviluppare un discorso che tenga presente i tre personaggi di questa triste situazione: l’abusato, l’abusante e una comunità cristiana che non è altrove rispetto a queste tragedie. La comunità può avere un grande ruolo di custodia e vigilanza. Parlare degli abusi sempre e solo come di una questione privata, riguardante soltanto la psicologia dei singoli, non rende attiva la comunità.

Succede che, spesso, gli abusanti sono leaders capaci, per cui la comunità non riesce a credere o si rifiuta perfino di verificare.

Per i vescovi è ancora peggio, perché sappiamo che spesso hanno interpretato la maternità della Chiesa e la loro paternità, solo come copertura e non come fonte di “educazione”. Hanno coperto e continuano a coprire gli abusi come dimostra il tristissimo podcast di Stefano Feltri la Confessione.

Il testo di Baroli ipotizza un’indagine presso i ministri non abusanti nei confronti degli abusanti, pensando ad un ruolo terapeutico della fraternità. Ma come ipotizzare un’indagine del genere quando, in Italia, non esiste un’indagine sugli abusi in larga scala?

Lo ammette anche l’autore che, in Italia, i dati sono deboli. Nella conclusione egli afferma di non aver prodotto statistiche perché esse si basano solo sui casi denunciati.

Ci auguriamo, con l’autore, che la salvaguardia dei minori e il sostegno alle vittime non vengano mai disgiunti da un percorso di recupero di coloro che hanno commesso il crimine dell’abuso.

Elsa Antoniazzi