l primo giorno della settimana, al mattino presto [le donne] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e (…) ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”» (…).
«Nel primo giorno della settimana, al mattino presto, le donne si recarono al sepolcro». Il loro amico e maestro, l’uomo amato che sapeva di cielo, che aveva spalancato per loro orizzonti infiniti, è chiuso in un buco nella roccia. Hanno visto la pietra rotolare. Tutto finito. Ma loro, Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo e «le altre che erano con loro» (Lc 24,10), lo amano anche da morto, per loro il tempo dell’amore è più lungo del tempo della vita. Vanno, piccolo gregge spaurito e coraggioso, a prendersi cura del corpo di Gesù, con ciò che hanno, come solo le donne sanno: hanno preparato, nel grande sabato, cerniera temporale tra la vita e la morte, gli aromi per la sepoltura.
Ma il sepolcro è aperto, come un guscio di seme; vuoto e risplendente nell’alba, e fuori è primavera. Non capiscono. Ed ecco due angeli a rimettere in moto il racconto: «perché cercate tra i morti Colui che è vivo? Non è qui. È risorto». Che bello questo “non è qui”! Lui è, ma non qui; lui è, ma va cercato fuori, altrove; è in giro per le strade, è in mezzo ai viventi, è “colui che vive”, un Dio da sorprendere nella vita. È dovunque, eccetto che fra le cose morte. Si è svegliato, si è alzato, è vivo: è dentro i sogni di bellezza, in ogni scelta per un più grande amore, è nei gesti di pace, nel pane spezzato, negli abbracci degli amanti, nella fame di giustizia, nel grido vittorioso del bambino che nasce, nell’ultimo respiro del morente. E chi vive una vita come la sua avrà in dono la sua stessa vita indistruttibile. Ma non bastano angeli.
Il segno che le farà credere è un altro: «Ricordatevi come parlò quando era in Galilea». Ed esse, con lui dalla prima ora (Lc 8,1-2), “si ricordarono delle sue parole” (v.8). E tutto esplode: le donne credono, perché ricordano. Credono per la parola di Gesù, non per quella degli angeli. Credono prima di vedere, come ogni discepolo. Hanno custodito le sue parole, perché le amano: in noi vive solo ciò che ci sta a cuore, vive a lungo ciò che è molto amato, vive per sempre ciò che vale più della vita.
La fede delle donne diventa immediatamente “annuncio” (v.9) e “racconto” (v. 10) agli undici e a tutti gli altri. Straordinaria doppia missione delle discepole «annunciarono tutto questo»: è la buona notizia, Vangelo del Vangelo, kerigma cristiano agli apostoli increduli; e poi “raccontavano” queste cose ed è la trasmissione, la narrazione prolungata delle testimoni oculari dalle quali Luca ha attinto il suo vangelo (Lc 1,2) e ce l’ha trasmesso. Come per le donne nell’alba di Pasqua così anche per noi la memoria amorosa del Vangelo, amare molto la sua Parola, è il principio per ogni incontro con il Risorto.
Letture obbligatorie della Veglia Pasquale: Esodo 14,15-15,1; Romani 6,3-11: Salmo 117; Luca 24, 1-12
Ermes Ronchi
«La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» si legge nella Lettera agli Ebrei (11,1). Che cosa vide Pietro al mattino di Pasqua? Quale “prova” ha avuto della risurrezione del Signore Gesù? È una domanda complessa, alla quale non pretendiamo di rispondere esaustivamente. Ma possiamo mettere almeno qualche punto fermo. Secondo il testo lucano che ci accompagna nella veglia pasquale di quest’anno (Lc 24,1-12), Pietro vide solo le bende (24,12). L’affermazione è simile a quella che riporta il vangelo di Giovanni, il quale dice anzitutto che Pietro «vide le bende per terra» e completa poi il ricordo parlando anche del sudario (Gv 20,5). Che cosa segnalavano le bende? Erano così importanti? Per quale motivo vengono ricordate da questa duplice tradizione?
Facciamo prima una premessa, che riguarda il fatto della risurrezione, ma rimanendo sempre nell’ambito biblico. Appunto in un documento della Pontificia Commissione Biblica del 1984 (De sacra Scriptura et Christologia) è scritto che «la risurrezione del Cristo sfugge per sua natura a una constatazione solo empirica. Infatti essa introduce Gesù nel “mondo che viene”. La sua realtà può essere solo dedotta dalle manifestazioni del Cristo glorioso per alcuni testimoni privilegiati e viene corroborata dal fatto della tomba trovata vuota e aperta. Ma non si deve semplificare la cosa supponendo che qualsiasi storico, con la sola risorsa delle ricerche scientifiche, possa dimostrarla come un fatto accessibile a qualunque osservatore: anche qui, la “decisione di fede”, o meglio “l’apertura di cuore”, guida la posizione presa».
Anche J. Caba, in un suo interessante studio del 1988 sulla risurrezione (Cristo, mia speranza, è risorto), scrive: «La risurrezione di Gesù, pur inserendosi in qualche modo nella storia e influendo in essa, la trascende per riversarsi nella pienezza di Dio. Noi possiamo verificare il punto di partenza del Risorto, cioè la sua morte, però sfugge alla nostra verifica il punto di arrivo, cioè il momento in cui si compie il transito da questo mondo al mondo di Dio. La risurrezione di Gesù non entra di per sé nella storia, bensì attraverso le apparizioni a determinati testimoni e mediante il segno che viene scoperto nel sepolcro vuoto».
Per tirare le somme e tornare al nostro testo: Pietro ha visto le bende, e queste gli hanno ancora di più segnalato che il corpo che ivi era stato racchiuso, non c’era più. «La fede», come abbiamo visto in apertura, quella è stata la prova più vera «delle cose che non ha visto». Pietro non ha visto, cioè non ha trovato, il mattino di Pasqua, il corpo del Signore, e si è lasciato interpellare. Alla sua stessa esperienza – l’entrare nella tomba vuota – altri hanno reagito in modo diverso. Maddalena non capisce subito che Gesù è risorto, ma pensa che il suo corpo sia stato portato via (cfr. Gv 20,13). Anzi, «il fatto stesso del sepolcro vuoto può essere interpretato in diversi modi, come quello divulgato dai farisei (Mt 28,15)» (Caba): cioè, che «i suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato» (Mt 28,13). Il discepolo amato da Gesù, invece, allo stesso segno avuto da Pietro, «vide e credette» (Gv 20,8). Questo dato è importante. Dice quale prova sia il sepolcro vuoto e il dato collegato delle bende.
Approfondiamo col Catechismo universale (640): «Nel quadro degli avvenimenti di Pasqua, il primo elemento che si incontra è il sepolcro vuoto. Non è in sé una prova diretta. L’assenza del corpo di Cristo nella tomba potrebbe spiegarsi altrimenti. Malgrado ciò, il sepolcro vuoto ha costituito per tutti un segno essenziale. La sua scoperta da parte dei discepoli è stato il primo passo verso il riconoscimento dell’evento della Risurrezione».
Il fatto delle bende e del sepolcro vuoto non è un segno che forzi a credere: «rimane ambiguo e proprio per questo i vangeli non lo hanno mai presentato come prova della risurrezione» (Caba). Quale rispetto per il credente, più di quanto non ne abbia l’apocrifo Vangelo di Pietro, che racconta come il Risorto esca dalla tomba accompagnato da angeli alti fino al cielo, mentre i soldati che fanno la guardia al sepolcro sono “obbligati” a ri-credersi e ad ammettere «Veramente era figlio di Dio»! Invece, secondo i vangeli canonici, perché la fede dei discepoli sia certa, serviranno ancora le apparizioni successive. Dove siamo noi? A chi ci potremmo paragonare? Quali “segni” abbiamo, quale tomba vuota? Il Signore stesso aumenti la nostra fede, perché a fronte delle cose che non possiamo vedere, sia salda la nostra certezza che è risorto.