Avvento. “Dio non sarà per caso un bambino cresciuto”? (Pessoa)

Apriamo l’Avvento provando ad andare oltre le visioni di angoscia e tristezza, cercando di dare il giusto peso a ciò che condiziona i nostri giorni (in ascolto di Fernando Pessoa).

Non è tanto quello dell’angoscia il pedale su cui poggiare il piede in questo Avvento 2024; non abbiamo bisogno di affreschi apocalittici: basta la realtà che bussa alle nostre porte a portarci la dose quotidiana di tristezza, di dolore e afflizione.
Vi è, forse, un disegno dai toni meno foschi nella Parola che inaugura il tempo che conduce al Natale, ed è l’invito a dare il giusto giudizio sulle cosesenza frammentare il proprio io: così, infatti, «gli affanni della vita» del vangelo di domani, nell’originale greco, indicano le ansie, le preoccupazioni che nascono da una divisione interiore, da una scissione che non ricompone l’io, tirato e frammentato da molteplici preoccupazioni materiali. Allora, l’invito alla vigilanza risuona come un’esortazione per imparare a guardare meglio, per imparare a valutare ciò che merita la nostra attenzione e ciò che, invece, può essere tralasciato. Perché le ansie, le pre-occupazioni frantumano la nostra esistenza, disperdendoci. Al contrario, ciò che vale, ciò che conta, ci unifica: quanto oggi sentiamo vero il consiglio di una vita unificata e non dispersa! Così, più che al Black Friday, più che all’ansia per qualche like sui social, più che la ricerca del selfie più adatto, dovremmo davvero porre mente al giudizio con cui pesiamo ciò che intesse le nostre giornate e domanda il nostro tempo: quanto davvero vale e quanto, al contrario, pesa e affatica? Un passo di rinuncia a ciò che, afferrandoci, ci spezza in molte parti, può essere esercizio salutare.
Forse, più che assumere lenti apocalittiche nel senso più catastrofico, che creano rifiuto e non generano ascolto, più che dare spazio a ‘profeti di sventura’ che spopolano nel web (e non solo), dovremmo apprezzare l’apocalisse e cercarla nel suo senso etimologico, che è quello di ‘disvelamento’: togliere il velo da tante illusioni che legano a sé, da molta comunicazione che affanna, da molte azioni che disperdono energie, da tanto che appare come prezioso, ma in realtà non lo è.
Mi piace ricordare un appunto di Fernando Pessoa, tratto dal Libro dell’inquietudine:

Il bambino non attribuisce all’oro più valore che al vetro. E in verità, l’oro vale di più? Il bambino trova oscuramente assurde le passioni, la rabbia, i timori che vede scolpiti nei gesti adulti. E in verità non sono forse assurdi e vani tutti i nostri timori, e tutti i nostri odi, e tutti i nostri amori? O divina e assurda intuizione infantile! Visione vera delle cose, vederle nel modo più nudo che noi rivestiamo di convenzioni, guardarle nel modo più diretto che noi annebbiamo con le nostre idee!

Forse la pagina evangelica di Matteo, che ci introduce in Avvento, porta con sé questo ammonimento: imparare la «visione vera delle cose» — come dice Pessoa — secondo lo sguardo di un bambino, che annulla le convenzioni di cui gli adulti rivestono il mondo. Un bambino, lo sappiamo, non carica di valore secondo gli schemi degli adulti. C’è nell’infanzia una libertà che crescendo, purtroppo, si perde.
Cosa conta, in verità? Cosa unisce l’io? Cosa allontana affanni gratuiti?
E così chiude, il poeta portoghese: «Dio non sarà per caso un bambino cresciuto?»
Parole che aprono l’Avvento, in cammino verso un Dio Bambino, verso uno sguardo più libero, verso un modo più autentico di leggere il mondo e la vita.