Nostra sorella morte digitale

I social e l’Intelligenza Artificiale possono regalarci una “eternità aumentata”. Ma è questo quello che vogliamo? Anche la morte digitale ci fa paura?

Una volta è una donna che ha perso il marito, un’altra un genitore a cui è morto il figlio… fatto sta che sempre più spesso mi capita di incontrare, su Facebook, profili di persone decedute che vengono regolarmente aggiornati dai loro cari, i quali continuano a pubblicare ricordi, dichiarazioni d’amore, aforismi, raramente preghiere. E poi c’è l’algoritmo, che mi ricorda il compleanno di una persona ormai morta o mi fa comparire in bacheca il nostalgico post che qualcuno ha pubblicato sul suo profilo, e così scopro di esserle ancora “amica”.Sarà che invecchio, o sarà che invecchia Facebook – che è stato il primo social network ad acquistare dimensioni massa – ma navigando mi capita di rivivere sensazioni come quelle che provavo da giovane, quando camminando per il paese con i miei nonni li vedevo fermarsi davanti agli annunci mortuari, attaccati ai muri e ai portoni, e scattavano i ricordi: questo l’ho conosciuto nel ’62… Questa aveva tre figli ancora giovani… E poi riprendevano la loro strada scuotendo la testa. Però no, non è esattamente la stessa cosa.

UN CIMITERO VIRTUALE. Facebook nel 2012 aveva 30 milioni di profili di persone decedute: un numero che aumenta di circa 8mila persone ogni giorno, tanto che secondo alcune stime, nel 2080 supererà i due miliardi e mezzo, se continuerà a crescere come sta crescendo ora.
Questo pone una serie di problemi su cui già da qualche anno si discute: a chi appartengono i profili (e quindi i dati) delle persone decedute, chi ha diritto di accedervi, chi ha diritto di prendere questi materiali (immagini, parole, dati) e di manipolarli. Tanto più che l’Intelligenza Artificiale apre sempre nuove prospettive: è ancora disponibile su YouTube “I met You”, il video in cui una mamma coreana incontra virtualmente la figlia, morta a sei anni per una malattia rara e “ricostruita” virtualmente, in modo da potersi muoversi e parlare.  Un’esperienza che la mamma ha giudicato bella, ma che a me sembra straziante e mi fa dire: io non voglio resuscitare virtualmente, non voglio essere quello che voi volete farmi diventare, non voglio sopravvivere nelle spire di un algoritmo. Lasciatemi in pace.

L’ETERNITÀ AUMENTATA. 

Già da qualche anno, comunque, Facebook ha messo a disposizione dei suoi utenti la possibilità di scegliere se nominare un “contatto erede”, che dopo la sua morte gestisca l’account, che a quel punto diventa “commemorativo”, oppure se farlo eliminare in modo permanente.

Insomma, ognuno di noi è chiamato a scegliere se alla morte fisica vuol fare seguire anche la morte virtuale o se preferisce che la sua storia – variamente rappresentata sul suo profilo social – resti nelle mani di… Di chi? E che cosa ne farà? È questo che vogliamo: una “eternità aumentata”, che in vita ci illuda di essere eterni, e post mortem illuda i nostri cari di averci ancora accanto? Questa eternità senz’anima non è il più profondo tradimento del bisogno che c’è sempre stato di continuare a “parlare” con i morti, di restare in contatto con loro, sapendo che non sono avatar, ma spiriti nella comunione dei santi?

NUOVI MITI, NUOVI RITI. 

Ciò nonostante, c’è anche qualcosa di interessante nel modo in cui i social ci permettono di entrare in contatto con la morte. Creando anche, oltre che nuovi miti, nuovi riti.
Sui social la morte si fa più vicina, avviene quasi in diretta. Mentre per molte persone i funerali perdono sempre più importanza (un sacerdote di Roma mi ha raccontato di avere celebrato riti in cui i parenti stavano fuori dalla chiesa a fumare) e mentre le visite ai cimiteri si fanno sempre più rare, Facebook e gli altri social permettono non solo di dare notizia dell’avvenuta morte, ma di celebrarla insieme, creando quelle che potremmo definire “comunità di dolore”. Comunità virtuali, certo, ma sappiamo ormai che il virtuale è reale.

Nascono insomma nuovi riti, oltre che nuovi linguaggi attorno ad una realtà, la morte, che resta per certi versi ancora un tabù, di cui fatichiamo a parlare e alla quale ancora non riusciamo a dare un senso, ma che nell’ambiente dei social ci aiutiamo insieme a rielaborare.

LO SPIRITO E L’IMMAGINE. 

In fondo, anche nelle fredde lapidi dei cimiteri abbiamo sempre incastrato un’immagine del morto: un modo per fissarlo nella memoria, trattenerlo nel ricordo, renderlo oggetto di conversazione. Perché se è difficile accettare la morte, ancora più difficile è “lasciare andare” i nostri cari: è per questo che continuiamo ad aggiornare i loro profili nei nuovi cimiteri virtuali, ma anche a portarci dietro la loro immagine nello smartphone.

Il vero problema, però, resta quello di dare un senso alla morte. Per un credente, l’eternità virtuale, anche se ci rende visibili, non potrà mai sostituire l’eternità spirituale, anche se ci rende invisibili.

Paola Springhetti