Cerco di rispondere alla domanda proveniente dall’alto e dal basso: come potrà essere la Chiesa di domani, anche se è molto difficile un pronostico e la risposta può essere solo probabile e parziale.
Ognuno può pensarla liberamente e ne potremmo discutere. La Chiesa di domani io la penso così.
Meno sacramentale: vedi la sospensione della tradizionale messa festiva con le sue varie conseguenze e delle messe per i funerali in tempo di Covid, la scomparsa delle code ai confessionali ecc. Eppure siamo andati avanti lo stesso, con la fede e con altre forme e iniziative. Guardiamo le chiese nelle missioni: una messa sola ogni tanto!
Pensiamo anche alle Chiese apostoliche primitive: nei Vangeli e in san Paolo, quanto si parla di sacramenti? Poco, pochissimo. Forse una certa svolta enfatica avvenne con sant’Ambrogio e poi con altri Padri della Chiesa, a scapito dell’ascolto della Parola e della carità? È possibile.
Buona la rivalutazione della liturgia della Parola nella santa messa: papa Benedetto considera un quasi sacramento la lettura della Bibbia specialmente durante la santa messa, dove diventa anche un’importante catechesi per tutti. Caso invece da ripensare a fondo è l’iniziazione ai sacramenti: che cosa è diventata nonostante tutti i tentativi di riforma? Che cosa sono certi battesimi, cresime, prime comunioni?
Per quanto riguarda la santa messa, occorre sottolineare di più l’aspetto di memoriale vivente di un amore alla grande, che quello di sacrificio offerto al Padre: Chi ha aggiunto alle parole della consacrazione il termine “sacrificio”? Parola che, quando è applicata a Gesù, è rarissima in tutto il NT; qui predomina il “per voi, a voi” (ossia, innanzitutto, ad “angioletti” come Giuda, Pietro e tutti i 12 alla ricerca dei primi posti!). Sacrificio sì, ma innanzitutto come offerta del Padre e di Gesù al mondo peccatore!
Meno moralistica (troppo spazio alla morale sessuale!), più orientata e centrata sul kerygma-annuncio fondamentale evangelico-pasquale e sulle sue conseguenze per la vita umana terrena ed eterna, su peccato e salvezza, sulla carità come centro e senso delle altre virtù.
Meno devozionale, anche meno mariana (forse). Nuova evangelizzazione, quindi, favorita anche dai nuovi mezzi di comunicazione sociale, strumenti nuovi offertici dalla Provvidenza, dalle scienze e dalla tecnologia.
Meno clericale: a parte le ragioni teologico-ecclesiali (e, purtroppo, anche gli scandali recenti), noi preti saremo sempre meno, perciò avremo più bisogno di laici e di donne – e di coppie di sposi – ben disposti e formati per la collaborazione e la corresponsabilità.
Sulla donna nei ministeri ecclesiali potrei dire qualcosa… Le donne sono già sacerdoti/esse per il battesimo, non invece pastori-presbiteri-episcopi-presidenti, diaconi; una donna non ha carismi e doti per diventarlo? Pensiamo al ruolo che hanno avuto nella storia le abbadesse. Oggi abbiamo donne alla guida di aziende e di Stati e, talvolta, già anche di comunità cristiane…
Analogo discorso va fatto per eventuali probi viri al ministero presbiterale. Fin quando potremo lasciare alcune chiese senza eucaristia per mancanza di preti celibi?
Meno miracolistica e più disposta alle sorprese della misteriosa Provvidenza, più in ricerca de “la Grazia che delle grazie”, ciò anche perché, nella lotta al Covid, si sono rivelate più efficaci la scienza e il vaccino che tante nostre maratone di rosarianti e preghiere varie (pur valide anch’esse, per carità!). Nella preghiera potremmo chiedere con maggiore insistenza il dono miracoloso dell’assistenza a malati (come, di fatto, è avvenuto).
Meno politicizzata, più “religiosa” (preghiera!) e più “serva” per amore del suo Signore e dell’uomo; più libera da impegni organizzativi e amministrativi, che pesano specialmente sui parroci.
Meno cattolica e più dalle e con le genti, più ecumenica e missionaria che ripiegata su se stessa. Una Chiesa quindi ancora più globale in un mondo già molto globalizzato (anche a causa della pandemia).
Meno legata a leggi, precetti e norme di ogni tipo e più aperta alla voce delle coscienze e al vento dello Spirito (attenti allo sviluppo delle Chiese pentecostali cattoliche e non), meno centralizzata e più sinodale (veramente sinodale, e non solo per certi aspetti e momenti; qui anche papa Francesco merita qualche critica: a volte sembra agire più per iniziativa personale che in modo sinodale).
Meno preoccupata dello 0,8 per mille (che, per ora, ci va bene), più aperta ai poveri suoi e della società umana.
Tutto sommato, mi piacerebbe una Chiesa sulle strade della Evangelii gaudium e di altri scritti di papa Francesco, sulle quali stiamo camminando in un “già e non ancora”, alla ricerca di nuovi equilibri tra beni e aspetti della vita (cf. l’ottimo articolo sulla rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica n. 4101 – “Sfide contemporanee del cattolicesimo globale” di Thomas P. Rausch – e gli articoli di Gabriele Ferrari e di Vinicio Albanesi su SettimanaNews).
Sarebbe bello discuterne insieme, come già ho fatto con alcuni confratelli. A risentirci, magari anche solo per scritto.
don Giovanni Giavini