L’avvio del percorso di catechesi per adulti è diventato l’occasione per una riflessione sull’impostazione della catechesi nel passaggio tra pre-Concilio e post-Concilio
Eccomi di nuovo alle prese, insieme con Letizia, con un nuovo corso di preparazione alla cresima per adulti. Come traccia, seguiamo alcune parti del bel testo di Anselm Grun, L’anno liturgico come terapia, integrato quest’anno dal cap.3 dell’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco.
Alcune costanti emergono subito. La prima, è che il motivo per cui queste persone chiedono di ricevere la cresima (matrimonio o essere padrini/madrine di battesimo) è in realtà solo una occasione per riprendere contatto con un percorso di fede interrotto anni prima per i mille motivi della vita, ma di cui sentono la nostalgia.
La seconda costante è che non conoscono quasi nulla degli aspetti fondamentali della fede. Non conoscono l’anno liturgico, non sanno cos’è il triduo pasquale, a volte non sanno neppure che la festa principale del cristianesimo è la Pasqua e non il Natale. Non parliamo poi, rispetto a quest’ultimo, del fatto che a Natale celebriamo l’Incarnazione di Cristo…
Tutto questo mi interroga. Mi chiedo: ma veramente possiamo trasmettere una fede del tutto priva di contenuti? Veramente possiamo accettare senza scomporci che anche le persone più sensibili, quelle che chiedono consapevolmente l’accesso a un sacramento e che accettano di fare per questo un percorso di preparazione, siano totalmente digiuni, in età adulta, di ogni cultura religiosa cristiana?
Nella recente polemica sullo pseudo-battesimo di Achille Lauro a Sanremo, i papaboys lo hanno difeso, in controtendenza rispetto a buona parte del mondo cattolico, perchè “tantissimi quindicenni di periferia da ieri sera sanno che esiste una cosa che si chiama battesimo. In tanti non sapevano che cosa fosse fino a ieri”.
Bene, quindi è confermato che abbiamo un problema di conoscenza dei fondamenti.
Azzardo una lettura. Nel passaggio dal pre-Concilio al post-Concilio, c’è stata una profonda revisione della catechesi, che è passata dalle formulette a memoria (“Dio è l’Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra”) alla esperienza della misericordia di Dio, all’essere chiamati per nome, accolti, perdonati, amati.
Io percepisco questo cambiamento come il passaggio da un approccio maschile, paterno, che trasmette le regole, a un approccio femminile, materno e accogliente, che trasmette l’affettività e l’accettazione incondizionata.
Ma così come riteniamo che entrambi questi approcci siano necessari (almeno nella loro forma simbolica) nella crescita di ogni bambino, nello stesso modo credo che siano indispensabili nella trasmissione della fede, nelle omelie e nella catechesi.
Un annuncio solo di contenuti e regole è senza cuore, ma una trasmissione della fede senza contenuti è una struttura fragile, che vola via facilmente, che non ha ancoraggi.
Noi abbiamo bisogno di coltivare la nostra fede, e da questo punto di vista l’anno liturgico ci aiuta perché, ripercorrendo ciclicamente le fasi della vita di Gesù, ci ricorda in cosa consiste il nostro essere credenti, quali sono i passaggi che ci sostengono e ci nutrono costantemente.
La fede è una relazione (tra noi e Dio – anzi, tra Dio e noi – e di conseguenza tra noi e i fratelli) e ogni relazione va coltivata, così come due sposi festeggiano ogni anno il loro anniversario, ricordandosi l’un l’altro chi sono e perché si sono donati reciprocamente l’amore.
In ambito ecclesiale, siamo passati da una catechesi solo “di testa “ a una catechesi solo “di cuore”. Proviamo invece a mettere insieme la testa e il cuore, forse faremo veramente un bel passo avanti, per fare in modo che la fede diventi una autentica risorsa nel nostro personale percorso di vita.
Maria Grazia Giordano