Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Luca 22,14-23,56
Sono i giorni supremi, e il respiro del tempo profondo cambia ritmo; la liturgia rallenta, prende un altro passo, accompagna con calma, quasi ora per ora, gli ultimi giorni di Gesù: dall’ingresso in Gerusalemme, alla corsa di Maddalena nel giardino, quando vede la pietra del sepolcro vestirsi di angeli. Per quattro sere di seguito, Gesù lascia il tempio e i duri conflitti e si rifugia a Betania: nella casa dell’amicizia, nel cerchio caldo degli amici, Lazzaro Marta Maria, quasi a riprendere il fiato del coraggio. Ha bisogno di sentirsi non solo il Maestro ma l’Amico. L’amicizia non è un tema minore del Vangelo. Ci fa passare dall’anonimato della folla a un volto unico, quello di Maria che prende fra le sue mani i piedi di Gesù, li tiene vicini a sé, stretti a sé, ben povero tesoro, dove non c’è nulla di divino, dove Gesù sente la stanchezza di essere uomo.
Carezze di nardo su quei piedi, così lontani dal cielo, così vicini alla polvere di cui siamo fatti: con polvere del suolo Dio fece Adamo. Piedi sulle strade di Galilea, piedi che mi hanno camminato sul cuore, che mi hanno camminato nel profondo, là dove io sono polvere e cenere. Una carezza sui piedi di Dio. Dio non ha ali, ma piedi per perdersi nelle strade della storia, per percorrere i miei sentieri. Nell’ultima sera, Gesù ripeterà i gesti dell’amica, in ginocchio davanti ai suoi, i loro piedi fra le sue mani. Una donna e Dio si incontrano negli stessi gesti inventati non dall’umiltà, ma dall’amore. Quando ama, l’uomo compie gesti divini. Quando ama, Dio compie gesti molto umani. Ama con cuore di carne. Poi Gesù si consegna alla morte. Perché? Per essere con me e come me. Perché io possa essere con lui e come lui. Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all’uomo che è in croce. L’amore conosce molti doveri, ma il primo è di essere insieme con l’amato, è “passione d’unirsi” (Tommaso d’Aquino).
Dio entra nella morte perché là va ogni suo figlio. La croce è l’abisso dove Dio diviene l’amante. E ci trascinerà fuori, in alto, con la sua pasqua. È qualcosa che mi stordisce: un Dio che mi ha lavato i piedi e non gli è bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non gli è bastato, lo vedo pendere nudo e disonorato, e devo distogliere lo sguardo. Poi giro ancora la testa, torno a guardare la croce e vedo uno a braccia spalancate che mi grida: ti amo. Proprio me? Sanguina e grida, o forse lo sussurra, per non essere invadente: ti amo. Entra nella morte e la attraversa, raccogliendoci tutti dalle lontananze più sperdute, e Dio lo risuscita perché sia chiaro che un amore così non può andare perduto, e che chi vive come lui ha vissuto ha in dono la sua vita indistruttibile.
P. Ermes Ronchi
Avvenire
La vita attraversa prima o poi la notte, tempi di oscurità, di desolazione o di crisi. E, dentro la notte, proviamo a trovare la strada per tornare verso casa. A volte la notte ci sorprende inaspettata, a volte le siamo andati incontro, a volte siamo stati proprio noi a spegnare la luce. Nel suo racconto della Passione del Signore, Luca ci mette davanti degli esempi, dei tentativi per ritrovare la strada. Il suo racconto infatti si distende dalla sera all’alba, dalla cena di Gesù con i discepoli fino allo scorgere le prime luci del sabato (Lc 23,54). Luca vuole forse dirci che in quella notte Dio non solo non ci abbandona, ma la attraversa con noi. Nel suo racconto, infatti, le vicende degli uomini e quelle di Dio si intrecciano per diventare un unico racconto. Già nel capitolo 19, quindi prima che inizi propriamente il racconto della Passione, Luca porta la nostra attenzione su un puledro legato, un puledro che deve essere sciolto affinché la sua vita possa trovare compimento. Quel puledro non si può sciogliere da solo, ma saranno i discepoli ad avere il compito di slegarlo. Persino coloro che nel frattempo ne sono i proprietari non capiscono il significato di quell’intervento. A volte non riusciamo a trovare la nostra strada perché siamo stati legati o ci siamo lasciati legare: Gesù è colui che vuole liberarci, affinché la nostra vita non sia schiavitù, ma sia occasione per servire Dio.
Al centro del racconto di Luca c’è la figura di Pietro, colui che, come il figlio minore, ha smarrito la strada di casa, se n’è andato perché ha tradito. Pietro è colui che fino a quel momento ha contato solo sulle sue forze, si è illuso di essere capace di rimanere saldo davanti alle prove. Pietro scopre invece, come tutti noi, la sua debolezza. Accadono infatti delle situazioni inaspettate che ci svelano e ci fanno venire fuori per quello che siamo: Pietro si avvicina al fuoco per scaldarsi, ma proprio lì viene riconosciuto e messo in questione. La strada che riporta Pietro a casa passa attraverso il pianto: le lacrime purificano il suo sguardo e gli permettono di vedere il suo tradimento. Nel racconto di Luca è Gesù che si volta (in latino l’espressione suona “si converte”) verso Pietro, Gesù prende l’iniziativa mentre Pietro è ancora traditore. Se Gesù non venisse verso di noi, facendo il primo passo, noi continueremmo a restare nell’oscurità del nostro cuore.
L’altro personaggio che si è perso è Giuda, il discepolo stanco, il discepolo che vuole costringere Dio ad agire nella storia, il discepolo convinto di sapere, più di Dio, quello che è meglio, il discepolo che, essendosi messo al posto di Dio, non può che trovare la morte! Giuda ha scelto il male e per questo opera di notte, quando gli altri sono più deboli. Il male si nasconde perché non vuole essere visto, opera in maniera subdola e, molte volte, opera sotto apparenza di bene: Giuda tradisce con un bacio! Quei gesti che dovrebbero esprimere affetto vengono usati per tradire. Il male è così: si mette addosso l’abito bello della compassione o della giustizia per entrare nella vita delle persone e provare a distruggerle. Nella notte del male possono persino nascere nuove amicizie, sebbene questa parola si impropria: tra Pilato ed Erode non nasce un’amicizia, quanto piuttosto, come diremmo oggi, un’associazione a delinquere. Qui, Pilato ed Erode, rappresentano coloro che fanno alleanza nel male: per colpire un altro si arriva persino a mettersi d’accordo. Quante volte assistiamo a queste dinamiche?
Pilato è l’uomo insicuro, l’uomo che non sa decidere: manda Gesù da Erode per liberarsi, almeno per un momento, dalla sua responsabilità. Ma ci sono responsabilità da cui non ci libereremo mai. Alla fine è Pilato che deve decidere se liberare o far morire Gesù. La responsabilità per il destino dell’altro ci incombe e non potremmo mai accampare pretesti: la colpa del destino dell’altro sarà stata sempre anche nostra! Erode, invece, ha una personalità molto diversa da quella di Pilato: Erode gioca con la vita degli altri! Usa gli altri per soddisfare la propria curiosità. Cerca la magia, gli eventi straordinari. Tutto diventa scherzo e burla, fino a quando gli passa la voglia e getta via il giocattolo. Mi ricorda quelle persone che continuamente cercano potere, ruoli e responsabilità solo per giocare e, una volta ottenuto quel giocattolo e dopo averci giocato un po’, lo buttano via, cercando subito qualche nuovo gadget da esibire. Pilato ed Erode si sono persi e non troveranno mai più la strada verso casa.
Al contrario, Luca ci presenta alcuni personaggi che incrociano la strada di Gesù e decidono di seguirlo, fin sulla croce. Hanno capito infatti che la strada per tornare a casa passa da lì. Il primo è Simone di Cirene: lui la croce non l’ha scelta, ma gli è capitata addosso. È immagine di tutti coloro che attraversano la sofferenza non per scelta o per errore, ma perché la vita è così, capita di ritrovarsi improvvisamente sotto il peso di una croce. In quel momento, mentre si è sotto la croce, è difficile capirne il senso. Solo più tardi, rileggendo quella storia, alla luce della fede, Simone si renderà conto che la sua sofferenza non è stata inutile, ma ha permesso a Gesù di salvare il mondo! E poi c’è il ladrone pentito: lui, la croce l’ha meritata, ma ciò non vuol dire che non possa essere perdonato. Anche il ladrone ha vissuto la dinamica del figlio minore: ha scelto di andarsene, ma adesso si è reso conto del suo desiderio di tronare a casa, e ha capito che la sua casa è dove sta Gesù.
Sotto la croce, come spettatore, c’è il centurione, un pagano, uno che fino a quel momento è rimasto distante, ma adesso vede Gesù e si rende conto immediatamente di quello che desidera. Gesù è colui che gli indica la strada per tornare a casa, quella casa che forse non immaginava neanche che ci potesse essere per lui. C’è un ultimo personaggio in questa storia, molto significativo per i nostri tempi: Giuseppe d’Arimatea è colui che non si è reso complice del male. Giuseppe è l’uomo coraggioso che, pur facendo parte di coloro che hanno deciso di togliere di mezzo Gesù, decide di farsi da parte. Giuseppe è l’uomo che non ha paura di compromettersi, sapendo che è un rischio e che sicuramente ci rimetterà. Non è facile per lui ritrovare la strada di casa, perché vuol dire riconoscere che la strada che stava percorrendo era sbagliata. Tante storie, tante situazioni diverse. Non sono tutte, perché in questa storia, anche se non scritta, c’è anche la nostra situazione, anche noi abbiamo bisogno di ritrovare la strada: il racconto della Passione ci invita a riconoscere dove siamo per poter decidere quali passi fare.
P. Gaetano Piccolo
Rigantur mentes
ORARI DELLE CELEBRAZIONI
- ore 08.30 S. Messa
- ore 10.15 chiesa di San Giuseppe: benedizione delle palme e dei rami di olivo; processione verso la chiesa parrocchiale dove sarà celebrata la S. Messa della Passione del Signore.
- ore 18.00: celebrazione dei vespri.
- ore 19.00: “Musiche per la Passione”: concerto musicale.