A pochi giorni dalla Pasqua mi volto indietro e provo a vedere quanta strada ho percorso ed in che modo.
Com’è stata la mia Quaresima? Dove sono finiti gli impegni e i propositi?
Ci provo, ma non riesco a concentrarmi, tento però finisco per mortificarmi, per autogiustificarmi, per mettere quasi delle crocette su “fatto” e “non fatto”, “buono” o “cattivo”.
Incapace di trovare la via e più confuso di prima, mi confronto con un sacerdote che accende un faro anzi due: «Caro mio, la vita e il tempo della Quaresima non sono una questione di burocrazia, di cartellini timbrati, di raggiungimento di standard elevati. Sotto questo profilo, seppur sforzandoci, saremmo sempre degli sconfitti e la nostra “borsa” crollerebbe comunque perdendo punti sull’indice dell’umanità, della spiritualità, della santità».
In effetti, il rischio è quello di girare su se stessi, di guardarsi in uno “specchio delle brame” dal quale attendiamo la risposta di essere “più belli” nel nostro piccolo grande reame. Così, ancora il sacerdote: «Non temere, non autocommiserarti, non cercare scuse, non dimenticarti di chi sei figlio! Chiedi aiuto, poiché sai bene che, nel bisogno, il coraggio si vede nell’avere l’umiltà di chiedere aiuto ed in fondo lo stai già facendo. Visto che sei un insegnante, come “contrappasso”, ti do un compito per casa: leggi e medita i Padri della Chiesa, ma senza stressarti».
Tornato a casa, rispolvero alcuni libri su cui in passato mi ero soffermato molto per studio, per lavoro e per passione, testi ricchi della sapienza dei Padri, e provo a fare i compiti o meglio gli esercizi. Gregorio di Nazianzo mi dice sulla carità: «Credi che l’amore del prossimo non sia per te obbligatorio, ma libero? Che non sia una legge, ma un consiglio? Anch’io lo desideravo davvero e ne ero convinto. (…) se mi volete ascoltare, o servi di Cristo, o fratelli e coeredi miei, fino a quando abbiamo tempo, visitiamo Cristo, curiamo Cristo, nutriamo Cristo, vestiamo Cristo, ospitiamo Cristo, onoriamo Cristo. (…) Ma poiché il Signore di tutti vuole misericordia e non sacrificio e la vera bontà è superiore a mille agnelli grassi, questa mostriamo a lui nei bisognosi che oggi giacciono a terra prostrati».
Parole che non sono retroattive, ma un progetto per il presente come quelle di Girolamo sul digiuno: «Se digiuni due giorni, non ti credere per questo migliore di chi non ha digiunato. Tu digiuni e magari t’arrabbi; un altro mangia, ma forse pratica la dolcezza; tu sfoghi la tensione dello spirito e la fame dello stomaco altercando; lui, al contrario, si nutre con moderazione e rende grazie a Dio. (…) Che razza di digiuno vuoi che sia quello che lascia persistere immutata l’ira, non dico un’intera notte, ma un intero ciclo lunare e di più? Quando rifletti su te stessa, non fondare la tua gloria sulla caduta altrui, ma sul valore stesso della tua azione».
E poi mi soffermo su Agostino che parla della preghiera: «Quando dunque noi vogliamo che il Signore esaudisca le nostre preghiere, chiediamo a lui non in un qualunque modo, ma nel suo nome, cioè nel nome del Salvatore. E non chiediamo quanto è nocivo alla nostra salvezza (…). Ma se invece chi crede in lui, per ignoranza chiede qualcosa che è dannoso alla sua salvezza, non chiede nel nome del Salvatore: il Signore non sarebbe suo Salvatore, se gli concedesse ciò che non torna a vantaggio della sua salvezza eterna. (…) Ecco perché colui che non soltanto è il Salvatore ma è anche il buon maestro, per poter esaudire tutto ciò che chiediamo, ci insegna cosa dobbiamo chiedere nella stessa preghiera che ci ha data».
È tardi, chiudo il libro con queste “carezze dei Padri”, certo che i veri esercizi cominciano ora!
Marco