Solo lo Spirito ci rende capaci di amare in modo autentico

Verso Pentecoste, ricordandoci che lo Spirito ci invita a non dimorare nel nostro io

Nella consuetudine un po’ ripetitiva che abbiamo con la liturgia, dove i tempi ‘forti’ sono Avvento e Quaresima perché le festività più quotate sono Natale e Pasqua, ci dimentichiamo (colpevolmente o meno non si sa…) di accogliere il tempo di Pasqua come una grazia e un dono. Il cammino verso Pentecoste viene fagocitato (absit iniuria verbi) dalle celebrazioni dei sacramenti, dal mese di maggio, dall’estate che incombe e già ci accalora, dalle iscrizioni all’Oratorio estivo… per gli scout è tempo di autofinanziamenti di emergenza, a fronte delle casse vuote, e di uscite di chiusura, oltre che di incastri mirabolanti per riuscire a far funzionare i campi estivi e le route…
La Pentecoste incombe come un evento quasi senza contenuto, relegando lo Spirito Santo (“che è Signore e dà la vita”, diciamo nel Credo) nel limbo delle immagini senza identità (e delle feste senza un dolce tipico). A cosa ‘serve’ dunque lo Spirito Santo, a cui facciamo fatica a dare volto e sostanza?
In un romanzo che in passato mi ha emozionato, scritto da tale Paul Young (non il cantante) e intitolato ‘Il Rifugio’, la santa Trinità si mostra al protagonista nella forma di una consistente matrona di colore che prepara apple pie e dispensa saggezza nella sua cucina (il Padre), di una sorta di cowboy giovane e prestante che pare lavorare in una farm (il Figlio) e di una giovane donna gentile e un po’ misteriosa che si occupa di curare giardini con sapienza e pazienza (lo Spirito).
A me questa immagine dello Spirito dà grande conforto, perché mi aiuta a riconoscere che il Dio di Gesù non è l’ennesima divinità che – dopo qualche effetto speciale – ci lascia con la patata bollente dell’obbedienza morale, in realtà consegnandoci, se va bene, ai sensi di colpa dell’incapacità a fare il bene e trasformando il vangelo in un prontuario (non aggiornato) per non sbagliare.

Il Dio di Gesù proprio in lui ci ha rivelato che al centro di tutto sta l’amore. Non inteso come un esercizio di bravura, ma come la realtà che tiene insieme ogni cosa. Non è possibile separare l’amore di Dio e l’amore del prossimo, come afferma 1Gv 4,19-21: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello”. La novità, la cosa mai vista e mai immaginata, sta nel fatto che l’amore di Dio si è rivelato in Gesù in una forma e in una misura straordinaria e sublime, luminosa e consolante. Ma senz’altro sorprendente e ‘spiazzante’.
A cosa ‘serve’ lo Spirito Santo? A farci restare nell’amore che Gesù ci ha donato senza misura. E dunque è questo l’unico comandamento cui sottoporre la nostra libertà: essere assimilati al suo amore per mezzo dello Spirito, imparando giorno dopo giorno a fare dono di noi stessi senza la misura del buonsenso, della paura, del calcolo, del riscontro umano anche lecito. Se la misura dell’amore rimane il proprio «io», presto crolla. Se la misura dell’amore è il donarsi di Gesù sino all’estremo (εἰς τέλος), allora si potrà veramente comprendere qual è il bene che l’altro mi sta chiedendo.

Lo Spirito insegna uno stile, offre un incoraggiamento, è memoria creativa della vicenda umana di Cristo. In Lui lo stile di amore dei discepoli di Gesù sarà facilmente riconoscibile da tutti: proprio per questo la comunità dei discepoli può diventare fermento per un progetto di umanità rinnovata dallo Spirito, che attua la volontà del Padre in questo mondo, in questa stagione storica, in questo contesto umano.
A dispetto di ogni apparenza di ‘volatilità’, lo Spirito coltiva con passione la terra del cuore e della mente di chi intuisce una diversa misura della propria umanità, in chi la riconosce visibile nel volto di Gesù, in chi si mette sulla strada che già molti uomini e donne hanno imperfettamente percorso, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. E con tutta la gioia che solo Lui sa tirar fuori da noi.

Lascio in conclusione le parole intense di una preghiera del card. Martini:

La verità di noi stessi è che siamo fatti per amare
e abbiamo bisogno di essere amati.
La verità di Dio è che Dio è amore,
un amore misterioso ed esigente, ma insieme tenerissimo.
Questo amore con cui Dio ci avvolge è la chiave della nostra vita,
il segreto di ogni nostro agire.
Noi siamo chiamati ad agire per amore,
a spendere volentieri la nostra vita per i nostri fratelli e sorelle,
e lasciare esplodere la nostra creatività
e ad esercitare la nostra intelligenza nel servizio degli altri.