Al gruppo catechistico parrocchiale
Carissimi,
anche quest’anno, abbiamo portato a termine un anno faticoso e impegnativo, specialmente nell’ambito della catechesi. I diversi preparativi per il campo-vacanza estivo dei ragazzi, purtroppo e, grazie a Dio allo stesso tempo, non ci consentono di fare la pausa e di prendere quella salutare distanza dai nostri impegni in Parrocchia.
Sento di manifestarvi la mia gratitudine per il ministero che donate e la presenza che offrite per l’edificazione comune e il bene della Chiesa e della nostra parrocchia in particolare.
La verifica conclusiva che abbiamo condiviso sabato 25 giugno è stato un dono dello Spirito e che abbiamo condiviso come dono gli uni per gli altri. Abbiamo cercato di rileggere la nostra esperienza, a partire dall’ascolto delle parole e degli eventi di un anno trascorso. Abbiamo cercato di raccordare tutto alla Parola del Signore, dagli Atti degli Apostoli e che, attraverso il suo Spirito ci ha aiutato a cogliere il “filo rosso” che rivela il senso profondo dell’impegno e del servizio che con tutti i nostri limiti abbiamo cercato di offrire.
Con questa lettera vorrei condividere, dopo avervi ascoltato attentamente, e vista l’impossibilità di esprimere la mia sintesi a motivo del poco tempo disponibile, alcune riflessioni che in questi giorni ho cercato di approfondire e di rielaborare. Vi chiedo di perdonarmi se sono stato lungo e di accoglierle nel vostro cuore.
1. Capaci di accettare il cambiamento in atto
Stiamo vivendo, nella società e nella Chiesa, un tempo di grandi cambiamenti epocali, che avranno forti ripercussioni nell’annuncio del vangelo e nella Chiesa del futuro.
Certamente dovremo rivedere diversi aspetti che ci porteranno, molto probabilmente, a concentrare le nostre attenzioni su un numero ridotto di famiglie, di bambini e di ragazzi, ma questo non ci deve spaventare e turbare ma rinnovare con fiducia la nostra risposta alla chiamata per l’annuncio del vangelo in modo libero e gratuito. Il nostro servizio al Vangelo, purtroppo, può perdere efficacia da una prassi che riduce la portata dell’annuncio ad una preparazione ai sacramenti come eventi sganciati dall’annuncio.
Il contesto culturale della nostra Comunità, caratterizzato da una forma di chiusura e un forte senso di estraneità, condiziona ogni forma di alleanza educativa. Per questo il nostro servizio al Vangelo deve essere caratterizzato da un messaggio di speranza che dischiude nuovi orizzonti e ci porta a intravedere un futuro gravido di luce e di vita. Siamo chiamati a riscoprire la semplicità della vita cristiana che non rivendica attenzioni e diritti, ma si pone a servizio dell’umanità di quanti in diversi modi vengono a contatto con noi. Solo in questo modo, possiamo contrastare uno stile di vita dove il mormorio e la lamentela appesantiscono il cammino. Siamo chiamati a rivedere il nostro stile per divenire sempre più narratori di speranza per le strade di questo mondo, per gli animi di tutti i fratelli e le sorelle del nostro paese di Marrubiu e di Sant’Anna.
Abbiamo meditato nella pagina degli Atti degli Apostoli, come la semplicità e la gioia sostengono il cammino di chi crede che solo Dio può portare a compimento le sue promesse
La gioia dell’annuncio evangelico è antidoto che contrasta una cultura depressiva caratterizzata da modelli educativi che veicolano messaggi fuorvianti ed effimeri. Solo il vangelo promuove e potenzia al meglio la nostra umanità e trasfigura il nostro limite personale. Dio non è spaventato del nostro limite strutturale, lo ricicla se noi lo riconosciamo tale e lo confessiamo con fiducia davanti a Lui.
Sono compiti ardui e spesso martirizzanti, ci chiedono il coinvolgimento totale, la rinuncia di sé stessi e del proprio interesse, per l’edificazione di tutti coloro che sono raggiunti dal nostro servizio.
Operai del vangelo sì, ma con gioia ed entusiasmo, quella gioia che è frutto della perseveranza nell’ascolto e della comunione fraterna tra di noi, con dedizione e generosità. Essere sale, luce e lievito comporta il martirio di se stessi: il sale si consuma, sparisce, ma dona il sapore, la candela arde, consumando se stessa, ma dona la luce, il lievito si dona alla massa, ma fermenta, trasformando e rinnovando; sono questi i segni evangelici del dono, dell’amore, della partecipazione, dell’esserci, della dedizione. Il Vangelo ci assicura la ricompensa: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29); (Mc 10,30).
2. Catechisti perché chiamati, non perché investiti di un ruolo nella Comunità
Se non matura più forte e più chiara questa consapevolezza, il nostro servizio sarà più fragile nelle motivazioni, nel coraggio e nella creatività pastorale. Quando invece il nostro servizio è espressione di ruolo, perde di efficacia, rivendichiamo le nostre ragioni sposando visioni e stili che si discostano dal servizio evangelico. Tutto diventa troppo faticoso e impegnativo al punto che non vediamo futuro per noi in questo compito. Se coltiviamo e facciamo spazio a questa “chiamata” non verrà meno la gioia, il desiderio e la stessa passione dell’annuncio. Annunciare il vangelo da gioia, trasforma e ci trasforma interiormente, ci converte da una visione troppo umana della Chiesa e lascia agire in noi lo Spirito Santo. Se si agisce sulla base del ruolo, diventiamo funzionari di un servizio sterile e nonostante la cura e ricercatezza nelle proposte, non saremo mai capaci di trasmettere la novità che cambia la vita.
Poniamoci spesso questo interrogativo: Se il servizio che svolgo come catechista in Parrocchia è una chiamata, quando rispondo? Quanto e come ho risposto a questa chiamata? A chi rispondo?
Ho colto proprio in questo aspetto una fragilità che trova nel rapporto con la Parola e la preghiera tutta la sua spiegazione. Dove la preghiera è ancora vissuta sulla base di un generico “sentire”, non potrà essere recepita nessuna chiamata e, di conseguenza, sarà impossibile qualsiasi risposta. Il nostro fare catechesi è allora qualcosa che avviene tra noi, i bambini/ragazzi, le famiglie e la Parrocchia ma Dio è solo un riferimento occasionale e non il fondamento di tutto.
L’esercizio di un ruolo, davanti al fallimento della proposta, irrigidisce, giustifica e cerca le cause del proprio insuccesso all’esterno. La risposta alla chiamata invece, davanti al fallimento, non crea turbamento ma ci rafforza nella fiducia che “Se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori” (Sal 126).
A questo riguardo ho notato, più di una volta un giudizio troppo severo nei confronti dei cresimandi (1° e 2°), attraverso rilievi, talvolta impropri insieme ad analisi parziali. Questo gruppo di ragazzi, con tutti i limiti che lo caratterizza, ha risposto con fiducia alle proposte e la tentazione da parte nostra di pensare con preoccupazione al ‘dopo cresima’ rivela una nostra fragilità generale di visioni educative e di annuncio gratuito del vangelo
3. L’importanza delle relazioni nell’annuncio del Vangelo.
Anche a questo riguardo mi sono accorto di come la grazia di Dio opera e agisce come un seme. Le relazioni che viviamo in Parrocchia come anche nella vita, sono sempre espressione di altre relazioni che ci hanno costituito e strutturato. Noi siamo e ci rapportiamo costantemente con gli altri sulla base di relazioni pregresse per come siamo stati desiderati, accolti, compresi, corretti e anche il contrario di tutto questo. Vivere relazioni improntate dallo stile evangelico significa fare memoria della propria storia, delle proprie relazioni per saperne trarre preziosi insegnamenti
A questo riguardo, forse anche le relazioni con le famiglie dei bambini e dei ragazzi, sono state improntate da forme di rigidità che hanno manifestato anche alcune fragilità nel nostro gruppo catechistico. Anche il rapporto con me, vostro parroco, mi pare sia improntato ad un profondo rispetto ma che rivela però un limite nella libertà e nel confronto e che impedisce, di conseguenza, di condividere la fraternità innanzitutto prima che il servizio pastorale. La storia di un prete è la storia di un uomo con tutti i suoi problemi e le sue speranze. A questo riguardo potrei fare tanti esempi ma non vorrei dilungarmi.
In conclusione:
Non possiamo non riconoscere che l’anno pastorale concluso è stato disseminato da tanta grazia e tanta ricchezza spirituale e che il seme sparso germoglierà nei modi e nei tempi che solo Dio conosce. A noi la pazienza dell’agricoltore (Gc 5,7-1) e la consapevolezza del servo inutile (Lc 17,7-10).
Per questo, chiediamo, nella nostra preghiera, la conversione di un modo di pensare per imparare a saperci offrire reciprocamente senza sperare risultati troppo umani. Il desiderio del bene dell’altro ci deve spingere a raggiungere ogni fratello per donargli attraverso il Vangelo, la gioia di appartenergli, la consapevolezza di essere Popolo di Dio, Chiesa, Comunità. Questo compito che diventa missione perché non nasce da un nostro desiderio ma da una vocazione e da un invito ad andare (Mc16,15). Questo compito comporta necessariamente prossimità a Cristo, alla Chiesa, alla Parola, all’Eucaristia. Di Cristo dobbiamo vivere, nella Chiesa dobbiamo sperimentare la fraternità, di Parola e di Eucaristia ci dobbiamo nutrire. Solo uno Spirito così ispirato, alimentato e fortificato sarà espressione di comunione e garanzia di successo nel compito che saremo chiamati ad affrontare.
Anche quest’anno il Signore ha suscitato entusiasmi, ha confermato adesioni, ha fatto nascere rinnovate esigenze, domande di senso e di fede; anche a noi, catechisti. Coloro che ci sono stati affidati hanno ricevuto da noi accoglienza e disponibilità, diritto di cittadinanza nella nostra vita e rispetto delle loro necessità e condizioni. A loro abbiamo tentato di annunciare Gesù, anche attraverso il loro ascolto. Il vero annuncio nasce dall’ascolto, si alimenta di dialogo e si raffina con la condivisione e la comunione. La verità nasce dal dialogo e l’azione dall’unità.
Vi auguro per questa estate, di trovare occasioni per stare soli con voi stessi, salire, in disparte sulla montagna per gustare in modo più spirituale e meno emotivo, la presenza di Dio nella vostra vita.
Con questa lettera sentitevi nuovamente chiamati, se vorrete accogliere l’invito, al compito e al ministero che nel passato avete già sperimentato e donato.
Donatemi la gioia di esservi di aiuto, di potervi ascoltare e condividere la comunione fraterna, nella comune appartenenza allo stesso Comunità di cui sono grato a Dio nel presiederla. Stringiamoci a Cristo, pietra viva, guardiamo a Maria, Vergine di Montserrat, nostra patrona, che guida i passi del nostro cammino come ha guidato i passi dei nostri avi verso la liberazione dalla peste. Infine vi chiedo di pregare per me, aiutatemi nelle difficoltà, sopportatemi e supplite alle mie debolezze, perdonate le incapacità, comprendete le fatiche.
Il Signore porti a compimento con la sua grazia, ogni nostro desiderio di bene secondo la sua volontà.
Marrubiu, 29 giugno 2022
don Alessandro