Vivere il tempo come occasione di crescite e maturazioni continue, “custodendo” e “meditando”, generando e accompagnando: come Maria, ma pure come ci ricorda una pagina di Natalia Ginzburg.
Ogni volta che il calendario ci invita ad aggiornare l’anno, sentiamo, anche solo simbolicamente, lo scorrere ininterrotto del tempo. È un mistero grande, quello del tempo, che intreccia le sue dimensioni (passato, presente, futuro) e che, volenti o nolenti, ci porta con sé nella sua parabola. «Il presente è infatti il punto nel quale il tempo tocca l’eternità» annotava C. S. Lewis nelle sue splendide Lettere di Berlicche, ricordandoci, in questa alba del nuovo anno, che per chi ha fede ogni istante è un filo teso verso l’eterno. Questo, però, è pure un invito alla responsabilità verso il tempo che viviamo, all’attraversamento della ‘vita buona’ che, nelle condizioni in cui siamo, ci è dato di edificare. È, quindi, anche un esercizio di gratitudine quello a cui siamo chiamati il primo giorno dell’anno, non diverso da quello che spesso facciamo nel crepuscolo del precedente. «Quel che importa è la vita, soltanto la vita, la sua incessante ed eterna scoperta, e non già la scoperta stessa»: così Dostoevskij faceva pronunciare a Ippolit nell’Idiota, in un elogio del vivere e del cercare, incessante movimento dell’animo umano, più che del risultato della ricerca.
Se il tempo è un telaio tra presente ed eterno, dove conta il tessere, sarà anche utile sostare sul ‘cosa’ tessere: ed è quello che, in qualche modo, ci invita a fare la festa di oggi, che ci conduce a riflettere su Maria come Madre di Gesù, come colei che non solo ha generato il Figlio, ma che di questo evento seppe fare motivo di crescita, motivo di maturazione continua: Maria «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». Custodire e meditare: due verbi che indicano come il tempo diviene anche l’occasione per fare di noi stessi degli adulti, ossia persone autonome, responsabili, equilibrate, capaci di discernimento e di azione; persone in grado di essere feconde di vita, generando il bene e, al tempo stesso, così salde da lasciare spazio agli altri, permettendo a essi di divenire, a loro volta, adulti. E ancora, persone innegabilmente ferite, ma non disponibili a soccombere al dolore, o, peggio ancora, a divenire fonte di male per gli altri. Non a caso, ‘adulto’ deriva dal latino ‘adolesco’, che a sua volta deriva da ‘alo’, ossia alimentare, nutrire, e quindi far crescere: è adulto chi cresce e fa crescere. Chi, custodendo e scendendo nel profondo, osservando e affidandosi, sa fare dell’essere adulto una meta continuamente da raggiungere.
C’è una pagina di Natalia Ginzburg, tratta dal racconto I rapporti umani (che si trova in quel gioiello che è Le piccole virtù), che potrebbe essere di viatico e di augurio per il nuovo anno, poiché l’autrice scrive, a riguardo del divenire adulti dopo aver vissuto il dolore (nel suo caso il confino, la persecuzione e la morte del marito Leone per le torture subite dalle SS):
Mai abbiamo sentito con tanta forza l’amore che ci lega alla polvere delle strade, agli altissimi gridi degli uccelli, a quel ritmo affannoso del respiro in noi: ma ci sentiamo più forti di quel ritmo affannoso, lo sentiamo in noi così sordo, così lontano, come se non fosse più nostro: mai abbiamo tanto amato i nostri figli, il loro peso fra le nostre braccia, la carezza dei loro capelli sulle nostre guance, pure non sentiamo più paura nemmeno per i nostri figli: diciamo a Dio che li protegga, se vuole. Gli diciamo di fare come vuole.
È un segno di libertà anche il saper concedere spazio agli altri (anche a Dio), il saper amare senza paura ˗ come Maria, che si stupisce di quello che accade attorno al Bambino, ma che presto dovrà sperimentare la fuga in Egitto.
Siamo adulti per quel breve momento che un giorno ci è toccato di vivere, quando abbiamo guardato come per l’ultima volta tutte le cose della terra, e abbiamo rinunciato a possederle, le abbiamo restituite alla volontà di Dio: e d’un tratto le cose della terra ci sono apparse al loro giusto posto sotto il cielo, e così anche gli esseri umani, e noi stessi sospesi a guardare dall’unico posto giusto che ci sia dato: esseri umani, cose e memorie, tutto ci è apparso al suo posto giusto sotto il cielo. In quel breve momento abbiamo trovato un equilibrio alla nostra vita oscillante: e ci sembra che potremo sempre ritrovare quel momento segreto, ricercare là le parole per il nostro mestiere, le nostre parole per il prossimo; guardare il prossimo con uno sguardo sempre giusto e libero, non lo sguardo timoroso o sprezzante di chi sempre si chiede, in presenza del prossimo, se sarà suo padrone o suo servo. Noi tutta la vita non abbiamo saputo essere che padroni o servi: ma in quel nostro momento segreto, in quel momento di pieno equilibrio, abbiamo saputo che non c’è vera padronanza né vera servitù sulla terra.
Vivere da adulti, nella libertà, nella giustizia, nel rispetto e nella pace possibile, costruendo rapporti di bene e, per chi ha fede, renderci disponibili all’affidamento. Questo ˗ ricorda Natalia Ginzburg ˗ significa vivere il tempo da adulti.
I rapporti umani si devono riscoprire e riinventare ogni giorno. Ci dobbiamo sempre ricordare che ogni specie d’incontro col prossimo, è un’azione umana e dunque è sempre male o bene, verità o menzogna, carità o peccato.
Che sia un anno di rinnovati rapporti umani, di incontri nel bene, nella verità, nella carità.
Sergio Di Benedetto