Catechesi: un anno senza ‘iniziazione cristiana’

Proviamo a sospendere per un anno la faticosa macchina della catechesi per i bambini, per pensare a nuove vie di formazione.

l percorso formativo che la comunità cristiana locale propone ai bambini, chiamato “iniziazione cristiana”, è di per sé terminologicamente contraddittorio, dato che iniziazione significa ‘ammissione’ (come ricorda il vocabolario Treccani), a partire dal ricco valore simbolico che hanno i riti di iniziazione a livello antropologico. Dunque, è il Battesimo il sacramento con cui si ‘inizia’ la vita di fede (CCC 1213), a cui si aggiungono, lungo il cammino dell’esistenza, la Confermazione e l’Eucarestia, sacramenti definiti generosamente dal CCC [1212] come «sacramenti dell’iniziazione cristiana»: ma in realtà è uno solo ciò che inizia, ed è appunto il Battesimo.
Già qui si vede un’anomalia nella nostra prassi parrocchiale: il Battesimo viene conferito in età infantile, passano molti anni e poi si comincia un itinerario, parallelo a quello scolastico, basato esclusivamente su criteri anagrafici, per cui progressivamente si arriva all’Eucarestia e alla Confermazione, aggiungendo poi, per ‘completezza’, il sacramento della Penitenza e Riconciliazione (che rientra, però, nei ‘sacramenti di salvezza’).
La domanda classica che si sente è: «da voi quando fate la prima comunione? In terza elementare. E la Cresima? In quinta». Segnale linguistico che svela proprio quell’aggancio tra catechesi dei bambini e scuola che crea tanta ambiguità: si parla di esperienze personali di fede, di cammini individuali (e familiari), ma poi c’è un livellamento fondato esclusivamente sull’età. Si dirà: impossibile fare altrimenti. Vero, perché, fino a quando rimarremo nello schema attuale, saremo condannati a proporre una sorta di ‘scuola’ di catechesi, a cui ancora la maggior parte dei bambini viene (di frequente più per convenzione familiare — la festa, il pranzo — che per convinzione), salvo poi, ‘timbrati tutti i cartellini del sacramenti’, assistere a una emorragia che davvero dissangua l’esile corpo della comunità, togliendole una generazione.
L’iniziazione rappresenta oggi lo sforzo maggiore della parrocchia per energie, quantità di volontari coinvolti, tempo, strutture, è lo sforzo ‘che non si può non fare’, eppure è anche lo sforzo forse meno fecondo. Cosa rimane dopo 4 anni di incontri settimanali, vissuti dalle famiglie, spesso, come un impegno in più da cui liberarsi il prima possibile? Perché, poi (lamentale sentita cento volte), «appena fanno la cresima, spariscono», «vengono a catechismo ma non li vedi mai a Messa» (confondendo, ancora una volta, il mezzo — la formazione — con il fine — la vita di fede al suo culmine, ossia l’Eucarestia). Tralasciamo poi la questione dei padrini e delle madrine di Confermazione…

È chiaro che il tema è vivo, anche perché va a toccare tutto il nucleo formativo ed educativo della parrocchia. È necessario mettere mano all’iniziazione cristiana, che oggi appesantisce il quotidiano parrocchiale. Ma come? Varie sperimentazioni si sono attuate nella penisola, ora coinvolgendo maggiormente le famiglie (idealmente bello, ma impegnativo per molti adulti), ora cambiando la routine settimanale, ora modificando un certo schema contenutistico. Ma si tratta di felici eccezioni, che hanno più il valore di testimonianza quasi utopica, che non è divenuta, tuttavia, prassi diffusa.
Forse, è il caso di arrestare la macchina e spegnere i motori e, per un intero anno, fermare tutti i percorsi dell’iniziazione cristiana. Ciò darebbe sollievo alle famiglie, agli operatori pastorali, all’organizzazione delle parrocchie. Fermiamoci un anno, ma che sia un anno di discernimento e di ripensamento, un anno di purificazione. Forse, fratturando una pratica consolidata, divenuta tradizione passiva, diminuiranno coloro che accedono ai percorsi solo per abitudine, per convenzione, per obbligo, per far piacere ai nonni. E con numeri più bassi (siamo pronti ad accettarlo?), ma con famiglie e bambini che scelgono davvero un itinerario di formazione, sarà possibile offrire proposte più personalizzate, slegate dai vari livelli scolastici. Perché magari un bambino educato nella fede potrà accedere all’Eucarestia prima dei 9 anni, mentre un altro, meno interessato e convinto, circondato da adulti indifferenti, potrà forse arrivare all’Eucarestia da adulto. Oppure, perché non spostare davvero la Confermazione al tempo della giovinezza che si apre alla maturità, con proposte alte, profonde, attente alla realtà giovanile?

Un anno senza catechesi sarebbe un anno utile per rivedere anche l’aggiornamento rivolto alle catechiste (la maggior parte donne, come sappiamo), valorizzarle, accompagnarle, farsi da loro accompagnare, proporre loro una integrale formazione umana e cristiana, magari andando oltre l’idea che, siccome mancano sempre catechiste, si ‘gioca con i giocatori che ci sono’. Ma questo vuol dire anche riconsiderare il contributo della donne alla parrocchia, non solo ‘utili per servire’…
Un anno senza catechesi aprirebbe anche spazi di creatività pastorale, possibilità di ideare nuove vie: sarebbe un anno di cantiere, di ri-costruzione di tutta la proposta che una parrocchia rivolge alla persona tra la culla e l’adolescenza. Nel quotidiano manca sempre il tempo per fermarsi e pensare lungamente: un anno ‘giubilare’ dalla catechesi sarebbe, al contrario, occasione propizia per prendersi cura del pensiero, delle idee, del dialogo in vista di rinnovate strade evangeliche.
Molti griderebbero alla scandalo, all’abdicazione, magari non volendo prendere atto che l’abdicazione è già in atto nella fuga enorme che coinvolge bambini e famiglie dopo la fine dell’iniziazione cristiana e nel dispendio di energie e tempo che molti generosamente mettono in atto, senza grande frutto.
Un anno di sospensione sarebbe anche un messaggio: così non funziona, siamo pronti al confronto per ideare nuovi sentieri di formazione.
In questi giorni in cui si avviano tutte le attività della pastorale ordinaria della parrocchia, pensiamo: se non avessimo l’iniziazione cristiana, saremmo più o meno liberi e freschi e generosi per annunciare, con altre forme, il Vangelo di Cristo?

Sergio Di Benedetto