Comunione nella mano

Offriamo un’interessante articolo di:
JOSE’ ALDAZABAL, Simboli e gesti. Significato antropologico, biblico e liturgico.
Editrice ELLE DI CI, Leumann (TO) 1988, pp 109-115.

La Comunione nella mano

Una mano aperta che chiede, che attende, che riceve, mentre gli occhi guardano al pane eucaristico che il ministro offre e le labbra dicono « Amen ». Non è un atteggiamento significativo per ricevere il Corpo di Cristo? Vari gesti simboleggiano la comunione: la frazione del pane, la processione all’altare cantando, la partecipazione al pane e al vino consacrati, il pane che viene consacrato nella stessa celebrazione… La realizzazione di questo rito deve esprimere la nostra comprensione del mistero di autodonazione di Cristo, proprio nel momento culminante del sacramento. Ora rifletteremo sul modo « nuovo » — ma non troppo — di ricevere la comunione: nella mano. 

La mano come un trono

Per vari secoli la comunità cristiana mantenne con naturalezza l’uso di ricevere il pane eucaristico nella mano. Le testimonianze sono numerose, e si trovano in varie parti della Chiesa: Africa, Oriente, Spagna, Roma, Milano… Tertulliano, nel trattato sull’idolatria, si lamenta che qualcuno con la stessa mano possa ricevere il Signore e poi avvicinarsi agli idoli; per lui queste mani « meritano di essere tagliate ». La testimonianza più famosa è il documento di san Cirillo di Gerusalemme, del secolo IV, che nelle sue catechesi sull’Eucaristia ci descrive il modo dei cristiani di avvicinarsi alla comunione: « Quando ti avvicini a ricevere il Corpo del Signore, non avvicinarti con le palme delle mani distese né con le dita se-parate, ma facendo della tua mano sinistra come un trono per la destra, dove sederà il Re. Con la cavità della mano ricevi il Corpo di Cristo e rispondi “Amen” ». Naturalmente le pitture e i bassorilievi dell’epoca riflettono l’uso di ricevere la comunione nella mano aperta. Per un certo tempo in varie regioni fu comune anche l’uso di portare nelle proprie case il pane consacrato, la domenica, per poter fare la comunione lungo la settimana. 

La comunione in bocca

 A poco a poco, per varie ragioni, cambiò la sensibilità del popolo cristiano sul modo di fare la comunione. Il passaggio alla comunione in bocca non fu stabilito per decreto né avvenne con uniformità. Nei secoli VII-VIII in alcuni luoghi si cominciò a pensare che per le donne era meglio non ricevere la comunione direttamente in mano, ma usando un panno pulito sulla mano. L’uso si estese presto anche agli uomini. E finalmente (ma non si cominciò da Roma) divenne generale l’uso di depositare direttamente in bocca la parti- cola consacrata del pane. I motivi del cambiamento non sono facili da stabilire, non essendovi stata uniformità nelle diverse regioni:—   forse influì il timore di profanazioni dell’Eucaristia da par-te degli eretici, o di pratiche superstiziose, che sarebbero diminuite ricevendo la comunione in bocca; però i fatti sacrileghi continuarono a verificarsi nei secoli seguenti, anche con la nuova modalità della comunione;—   altri pensarono che la nuova forma di comunicarsi metteva maggiormente in risalto il rispetto e la venerazione all’Eucaristia, in un momento in cui si accentuava progressivamente l’aspetto di adorazione e dimistero; — la ragione principale dell’evoluzione sembra sia stata la nuova sensibilità sul ruolo dei ministri ordinati, in contrasto con i semplici fedeli; venne accentuandosi la considerazione dei sacerdoti e il parallelo allontanamento dei laici: questi nel secolo IX — quando si operò decisamente il cambiamento del rito della comunione — non capivano più il latino, l’al-tare era già di spalle al popolo, il pane era azzimo, non partecipavano più alla comunione del calice… Di lì fu breve il passo a ritenere che le sole mani che potevano toccare l’Eucaristia erano quelle sacerdotali. Vari concili regionali del secolo IX stabilivano già la norma che i laici non potevano toccare con le loro mani il Corpo del Signore: Parigi (829), Cordoba (839), Rouen (878)… A Roma la nuova modalità della comunione in bocca entrò verso il secolo X (Ordo Romanus X, del 915). Le pitture e le rappresentazioni dell’epoca cominciarono a riflettere la nuova usanza, attribuendola anche al passato: Gesù appare spesso in atto di dare la comunione in bocca agli apostoli… In sintesi, il nuovo rito della comunione in bocca fu prima una usanza, e poi una norma, che rispondeva a una comprensione globale adeguata del mistero eucaristico; e anche se non unica, dobbiamo ancora considerare questa forma rituale un modo degno di fare la comunione.

Ripristino della pratica antica

In occasione della riforma liturgica conciliare crebbe il desiderio che i fedeli potessero ricevere la comunione nella mano, con il ripristino dell’antica usanza. Il risultato di una consulta fatta da Roma sulla fine del 1968 all’Episcopato di tutto il mondo fu che più di un terzo dei ve-scovi vedevano di buon occhio tale possibilità. Non essendovi unanimità — i due terzi preferivano continuare con la comunione in bocca — nel 1969 apparve l’Istruzione « Memoriale Domini » in cui, conservando l’uso della comunione in bocca, si tracciava la strada da seguire: nelle regioni dove l’Episcopato lo giudica conveniente, con più di due terzi dei voti, si potrà lasciare ai fedeli la libertà di ricevere la comunione nella mano, salva sempre restando la dignità del sacramento e l’opportuna catechesi del cambiamento. Così molti episcopati — ora favorevoli in numero molto maggiore — chiesero ed ottennero questa facoltà. Di pari passo con questo fatto va l’altra « novità »: in determinate circostanze anche i laici possono essere chiamati al ministero della distribuzione dell’Eucaristia dentro e fuori lacelebrazione.

Motivi di una preferenza

I due modi di ricevere il Corpo del Signore sono significativi, e tutti e due possono ugualmente esprimere la nostra comprensione e il nostro rispetto al mistero eucaristico. Tuttavia sono diversi i motivi che hanno indotto molti a preferire di ricevere la comunione nella mano: — sembra un modo più naturale di compiere il rito; quello che si offre è più normale depositarlo nella mano che in bocca: — è più delicato e rispettoso per colui che fa la comunione, perché così vi partecipa più attivamente: la riceve dal ministro della Chiesa, ma è lui che « fa la comunione »; riceverla in bocca esprime bene la mediazione della Chiesa, ma diventa meno trasparente la nostra partecipazione attiva al rito; — è più facile il dialogo che accompagna il gesto: « Il Corpo di Cristo », « Amen ». L’Amen non lo si dice mentre si apre la bocca, ma quando si riceve la comunione nella mano; — esprime più chiaramente la dignità del cristiano laico: per il Battesimo siamo tutti parte del popolo sacerdotale, tutti siamo figli e fratelli nella famiglia della Chiesa; questa modalità « deve far crescere in lui il significato della sua dignità di membro del Corpo Mistico di Cristo, nel quale è inserito per mezzo del Battesimo e della grazia dell’Eucaristia, e far crescere anche la sua fede nella grande realtà del Corpo e Sangue del Signore, che egli tocca con le sue mani » (lettera aggiunta all’Istruzione « Memoriale Domini»).

Il significato di una mano aperta che riceve

Evidentemente le nostre mani hanno una grande forza di espressione. Spesso diventano il nostro linguaggio più eloquente, insieme allo sguardo. Mani come segno di attività, di lavoro, di fraternità. Mani consacrate di sacerdote. Mani che si lavano prima dell’Eucaristia come segno di purificazione interiore. Mani che si levano, vuote, verso il cielo in gesto di preghiera. Mani che offrono o che ricevono. Tutto questo ci parla di mani che diventano un ritratto simbolico delle disposizioni interiori. Qualcuno ha detto che la mano è l’intelligenza fatta carne. Andare alla comunione con la mano aperta vuole rappresenti plasticamente una disposizione di umiltà, di attesa, di povertà, di disponibilità, di accoglienza, di confidenza. Davanti a Dio, il nostro atteggiamento è quello di colui che chiede e riceve con fiducia. La comunione del Corpo di Cristo è il miglior dono gratuito che riceviamo attraverso il ministero della Chiesa. La !nano tesa parla chiaramente della nostra fede e della nostra 111:,posizione interiore di comunione. Due mani aperte e attive: la sinistra  che riceve, e la destra 1111 prima sorregge la sinistra e poi raccoglie direttamente il (lupo del Signore; due mani, segno eloquente di un rispetto, (li un’accoglienza, di un « altare personale » che formiamo con riconoscenza al Signore che si è dato a noi come cibo di salvezza.

Non “prendere”, ma “ricevere”

Scegliere la comunione nella mano o in bocca non ha troppa importanza. Tutte e due le forme possono essere rispettose e significative.Ma c’è un aspetto da sottolineare: « prendere » la comunione con la mano non è lo stesso che « riceverla » dal ministro. Riceve e i doni dell’Eucaristia, il Corpo e Sangue di Cristo, dalle mani del ministro (il presidente o i suoi aiutanti) esprime molto meglio la mediazione della Chiesa. Noi non prendiamo i sacra-menti, ma li riceviamo da, per e nella Chiesa. La comunione non deve diventare un « self-service », ma una celebrazione che manifesta non solo il senso personale del dono, ma anche la sua dimensione comunitaria.Sembra che per secoli, sia in Oriente che in Occidente, neppure gli stessi ministri concelebranti potessero « prendere » la comunione con le proprie mani, ma la ricevessero dal celebrante principale. In alcuni riti orientali, come l’armeno e il nestoriano, per antica consuetudine i presbiteri concelebranti « ricevono» e non « prendono » dalla mensa dell’altare il Corpo del Signore. Anche per i sacerdoti è più significativo « ricevere » l’Eucaristia dal ministro principale, come da Cristo stesso, per indicare più chiaramente che, anche per loro, l’Eucaristia è un dono. Del resto hanno ascoltato la Parola proclamata da un al-ti() ministro, senza proclamarla essi stessi personalmente. Per mi la norma attuale della concelebrazione lascia la possibilità di avvicinarsi all’altare e prendere con riverenza il Corpo del Signore, o di rimanere al proprio posto e prendere il Corpo di Cristo dalla patena sostenuta dal celebrante principale o da un altro concelebrante (PNMR 197). Non è quindi un modo significativo di compiere il rito della comunione se il sacerdote lascia sull’altare il paniere o la patena con il pane eucaristico e si va a sedere, mentre i fedeli lo prendono da soli. t molto più trasparente il significato dell’Eucaristia se il sacerdote — se necessario con l’aiuto di altri ministri — distribuisce la comunione. t Cristo che ci dà il suo Corpo e il suo Sangue, e il presidente nella celebrazione è il suo segno visibile, colui che fa le sue veci. La stessa cosa si può dire della consuetudine di passare da uno all’altro la patena del pane: possono sembrare meglio espressi la partecipazione personale e il servizio fraterno verso gli altri. Ma attualmente, secondo la norma del Messale, è meglio sottolineare la mediazione ecclesiale della distribuzione da parte del ministro. L’Eucaristia non è un fatto puramente personale (ognuno se la prende),né soltanto un gesto di fraternità (passarla da uno all’altro): è un sacramento di comunione ecclesiale che include anche la mediazione verticale per mezzo dei suoi ministri. Qualunque sia la forma esteriore del rito, ciò che conta vera-mente è la sua finalità ultima: che il cristiano che si comunica entri in sintonia riconoscente con il Dono di Cristo, corrisponda interiormente, con fede e amore, alla donazione del Corpo e Sangue di Cristo, e ne manifesti il compimento nell’ambito dell’azione ecclesiale, non solo in chiave di devozione personale.

Alcune osservazioni pratiche

Il gesto è libero. Una volta che l’episcopato ha deciso, è il fedele che sceglie l’uno o l’altro modo di fare la comunione; non è il ministro che impone in un senso o nell’altro i suoi gusti e le sue preferenze.Un’opportuna catechesi, iniziando già dai bambini della prima comunione, può preparare i fedeli a capire la ragione del nuovo gesto, soprattutto nei primi tempi in cui lo si compie. Non si sceglie il cambiamento perché è una novità o è di moda, ma perché diventi un’occasione di manifestare più chiaramente la fede e la riverenza verso l’Eucaristia. Questo dipende in gran parte dalla catechesi.Il modo più significativo è quello di stendere la mano sinistra, ben aperta, sostenuta dalla destra, pure aperta, « come un trono », secondo l’espressione di san Cirillo; poi si prende il pane eucaristico con la destra e si fa la comunione subito, prima di tornare al proprio posto. Non si « prende » il pane con le dita — come con le pinze —, ma il ministro lo depone con riverenza nella palma aperta della mano. Non si afferra: si accoglie. Naturalmente, quando si fa la comunione per “intenzione”, non si dà nella mano il pane eucaristico intinto: o lo si dà in bocca, o il fedele stesso intinge nel calice il pane ricevuto. In ogni caso, il gesto va fatto con calma e dignità. La confidenza dei figli che si avvicinano alla tavola del Padre non deve mai lasciare la benché minima impressione di banalità o mancanza della venerazione dovuta al mistero che celebriamo e riceviamo.Si deve dare importanza al dialogo: il ministro che distribuisce l’Eucaristia mostra le specie del pane o del vino al fedele, e dice: « Il Corpo di Cristo » o « Il Sangue di Cristo »; dopo  la risposta dell’« Amen », dà con calma la comunione. JOSÉ ALDAZABAL

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