Convegno Regionale Orosei: la testimonianza di Mauro e Annapaola

Una cosa ci sembra di poter testimoniare, per quella che è la nostra semplice storia di coppia e di famiglia: il nostro incontro con Gesù Cristo si rivela proprio attraverso gli incontri. Da uno di questi incontri speciali, quello con padre Alex Zanotelli, abbiamo imparato che i nostri volti sono i volti delle persone che abbiamo incontrato nella nostra vita.

La parola incontro può avere almeno tre significati diversi: incontro è trovare qualcuno per caso sulla propria strada, ma anche andare incontro a qualcuno per scelta, o ancora trovarsi davanti ad un avversario per un confronto.

L’esperienza ci ha insegnato che ogni tipo di incontro può essere provvidenziale, perché può riservare sempre qualcosa di inaspettato. Vorremmo comunicare questa speranza anche a chi oggi è scettico o disilluso rispetto a questo grande incontro delle Chiese della Sardegna.
È con questa speranza che abbiamo accettato l’invito a condividere con voi, qualche pezzetto della nostra storia.

È una storia come tante, ma come tutte le storie, è anche unica e noi abbiamo imparato a leggerla con la lente della Provvidenza degli Incontri.

Il nostro cammino di coppia è cominciato trent’anni fa, nei campi scuola dell’Azione Cattolica. Dopo dieci anni di fidanzamento, in cui ci siamo, sempre di più, “riconosciuti” abbiamo deciso di sposarci, scegliendo di non aspettare la sicurezza di un lavoro a tempo indeterminato o di una casa di proprietà. Viaggiavamo in macchina, tutt’e due freschi di laurea e ci siamo detti “appena uno di noi ha il contratto, si parte!” e così abbiamo fatto, arrivato il primo contratto di dieci mesi, con un unica certezza: Dio ci avrebbe sostenuti nel nostro cammino. Dopo quasi tre anni, in cui abbiamo cambiato lavori e residenze, abbiamo avuto la gioia di accogliere il nostro primo figlio Samuele. Poi sono arrivati Emmanuele, Chiara Luce e Mariam.

Proprio in quegli anni siamo entrati nell’Istituto Santa Famiglia, fondato dal Beato Giacomo Alberione. Da quest’anno facciamo parte dell’Ufficio per la Pastorale della Famiglia della Diocesi di Oristano.
In questi venti anni di matrimonio, la nostra casa è sempre stata aperta all’incontro e ci è capitato di accogliere tanti volti diversi. Questo ci ha fatto sentire di essere una chiesa domestica. Ci siamo resi conto di quanto questa apertura sia vitale per la nostra famiglia quando, una volta, ritrovandoci tutti e sei a tavola, una delle bambine si lamentava chiedendoci “Ma oggi siamo solo noi?”.
La tavola, intesa come mensa, è in qualche modo, naturalmente “sinodale”.
A tavola riveliamo molto di noi stessi, molte maschere cadono, la rigidità dei ruoli viene meno, le distanze si accorciano, predisponendoci a condividere, oltre al pasto, gioie e dolori delle nostre esistenze. Ci succede con amici, conoscenti e parenti, ma anche col nostro parroco don Enrico e i suoi amici, con qualche religiosa o missionaria di passaggio e questo ha aiutato sia noi che loro a comprendere meglio le difficoltà che ognuno vive nel portare avanti la propria vocazione.

Siamo più che mai convinti che condividere con altre famiglie dubbi e paure, fatiche ed errori, le aspettative deluse e i desideri profondi, sia un bisogno fondamentale di ogni famiglia, perché aiuta a leggere meglio le dinamiche interne specifiche di ogni nucleo e non ci fa sentire delle isole solitarie. Oggi più che mai abbiamo bisogno di questa rete di protezione… perché la famiglia, ogni famiglia, è esposta a numerosi pericoli.

Noi non ci sentiamo una famiglia tranquilla o fuori pericolo, tutt’altro!
Siamo una famiglia inquieta, anche perché oggi provare a stare al mondo senza essere “del mondo” è davvero complicato.

Dobbiamo ammetterlo: custodire la relazione di coppia, allevare ed educare i figli, vivere in una dignitosa sobrietà, nutrire il proprio Spirito… sono cose che si sono rivelate decisamente più faticose di quanto ci eravamo prefigurati in gioventù.
Abbiamo imparato – o meglio, stiamo ancora imparando – a coltivare la tenerezza per proteggerci dalla violenza del nostro ego e proviamo a salvaguardare i nostri spazi di intimità, evitando la continua esposizione delle nostre vite sui social. E abbiamo visto che la coppia deve, in un certo senso, “resistere” ai figli, che la mettono a dura prova: ci vuole poco per trasformarsi in mamme e papà a tempo pieno, dimenticandosi di essere, innanzitutto, sposi.

Se guardiamo alla nostra società ci sentiamo ingabbiati in una grande struttura di peccato. Non riusciamo ad accettare un sistema che aumenta le disuguaglianze, non ha più riguardo né per l’uomo, né per il creato, prospetta guerre per i nostri figli e ha generato una nuova, paradossale e scandalosa categoria: quella dei lavoratori poveri.

Accogliere i figli per molti di noi oggi significa sfidare uno dei maggiori tabù della nostra società occidentale: quello di essere poveri! Il lavoro non basta più a sostenere le esigenze familiari e i figli, specialmente quando arrivano all’adolescenza, ne soffrono particolarmente: passarsi qualche vestito, uscire in pizzeria tutti insieme molto raramente, permettersi un breve viaggio ancora più raramente… sono cose troppo lontane dai modelli dominanti.
E così, si corre e si rincorre il tempo. Chi per sopravvivere, chi per inseguire insostenibili modelli di consumo. E si perde di vista il senso del vivere, non si ha più tempo per stare insieme, esserci per gli altri, curare le relazioni.

Le famiglie, specialmente nei primi anni, hanno bisogno di essere incontrate, accompagnate e supportate. Ecco, noi sogniamo una Chiesa capace di questo.
Che non aspetta la famiglia sulla soglia della porta del tempio, ma che sappia incontrarla nella dimensione domestica. Anche lì si possono portare la preghiera, la Parola e l’Eucaristia, perché è lì che si gioca il futuro delle nostre comunità.

Mauro Panico e Annapaola Lasiu,
Orosei, 27 settembre 2024