Ora che i giovani hanno parlato, forte e chiaro, servirebbe ascoltarli. Perché loro a Lisbona le cose le hanno fatte per bene, una settimana a tutta, prendendo sul serio ogni aspetto della Giornata mondiale appena conclusa: da quelli di festa e di massa ai momenti spirituali, tutt’altro che marginali o tirati via.
In chi li ha frequentati per una settimana nella Gmg finalmente riconquistata, questi giovani interiormente sopravvissuti a un’esperienza che ha piegato il mondo intero, e ora sferzati dalle inquietudini di giorni allarmanti, tra guerre ed echi di catastrofi ambientali, si è andata consolidando l’impressione che abbiano colto al volo un’opportunità globale per fare i conti con la loro vita. Abbiamo passato mesi a dirci che “nulla sarà più come prima” salvo ripartire da dove ci eravamo fermati, già dimentichi di aver creduto che saremmo stati diversi. Ma intanto loro, i nostri figli e nipoti, si erano convinti che avremmo imparato qualcosa dagli avvertimenti lanciati dalla storia a uno stile di vita indifferente e rapace, a rapporti di forza presi come modello, alla resistenza del mondo adulto nel dare ai giovani una buona volta la stima e lo spazio che ha sempre lesinato.
Così li abbiamo lasciati in mezzo ai lavori in corso, in attesa che qualcuno mostrasse di volerli ascoltare fino in fondo, facendo la proposta giusta. Non è davvero un caso che all’invito di prendere la via di Lisbona per la Gmg – di un amico, del don, del passaparola – ha aderito in molte diocesi il doppio dei ragazzi previsti, incluso chi a Messa dopo il Covid non va più, chi in parrocchia non s’è mai visto, chi dà una mano ma senza impegno.
Tutti motivati a riaprire il file incompiuto di un progetto di vita rimasto appeso a troppe domande senza nessuno che risponda, esistenze tirate avanti con molti sapori e nessun gusto, e gli adulti sempre a parlar d’altro. Questa determinazione forse persino inconsapevole ad andare in cerca di un motivo per sperare dovunque si trovi li ha resi disponibili ad attendere una parola o un evento che bucasse la barriera del suono che li ha assorda senza dirgli nulla.
Li abbiamo visti pregare, confessarsi, calarsi nel silenzio profondo dell’adorazione spesso senza aver pratica di fede. Discutere di ecologia integrale e vita affettiva, prendere dimestichezza con Fratelli tutti e Laudato si’. Fuoco di paglia? Solo se leggeranno nei nostri occhi il solito sguardo disilluso.
Adesso i giovani visti a Lisbona credono davvero di poter cambiare il mondo cambiando il loro cuore, bonificando le relazioni («il tuo metro quadro», come ha detto ad alcuni di loro l’arcivescovo di Milano Delpini), e anche chiedendo conto di quel che diciamo senza farlo. A forza di domande inesorabili, si sono arrampicati con slancio su una settimana irta di sfide. Non li abbiamo visti sbagliare un colpo, non un lamento, un tono eccessivo, uno sfaldamento negli infiniti rivoli della solita presunta autosufficienza. Questi giovani vogliono con tutte le forze prendere la loro vita in mano e dirci che non siamo fatti per le quattro sicurezze che anestetizzano i desideri. Hanno sognato in grande, non vanno delusi riponendoli dentro schemi che li scoraggiano, o relegandoli al gregariato esistenziale.
Attenzione, dunque, perché sulla porta di casa o della parrocchia ora ritroviamo non i reduci di una “bella esperienza”, folklore giovanile a sfondo religioso, come piacerebbe credere per non vedere o dimenticare in fretta, ma i cercatori del futuro di tutti. Le domande che hanno infilato nello zaino alla partenza ora sono diventate attese. Magari non dette con le parole che vorremmo, o espresse con le nostre stesse pratiche di fede, ma sincere, alimentate da una sete che non si soddisfa con quattro gocce. Non più, ora. Ascoltiamoli fino all’ultimo racconto, perché dentro ricordi di giorni indimenticabili c’è il loro desiderio che sia tutto vero, che non si sono illusi nell’intuire di poter essere felici aprendosi agli altri, con la vita diventata dono da peso che sembrava, non più un girare in tondo per ritrovarsi al punto di partenza ma un viaggio con sorprese serie e liete a ogni angolo. Tipico dello Spirito Santo.
Il Papa li ha chiamati tutti – il suo «todos!» esclamato più volte resterà il marchio di questa Gmg, come nota uno dei podcast firmati per “Avvenire” da Ilaria Solaini – a uscire dalla rassegnazione, ad alzarsi e mettersi in viaggio, senza scoraggiarsi per errori e fallimenti che il mondo gli fa pensare senza remissione. I reduci da Lisbona ci portano in casa un riverbero dell’abbagliante luce che hanno visto: la Messa domenicale della Trasfigurazione, con il Papa che gli ha raccomandato di «brillare», è stata il finale perfetto per tanta luminosità, e Lisbona è città di luce come poche.
Sì, questo viaggio dei giovani che si sta concludendo ci riguarda più di quanto pensiamo. Potremmo forse capire che adesso la loro Giornata può cominciare anche per noi.
Francesco Ognibene