Ogni anno, il 25 gennaio 2024, i cattolici festeggiano la cosiddetta conversione di San Paolo. Nello stesso giorno si conclude la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, cominciata il 18 gennaio. Il 17 gennaio si è svolta la Giornata del dialogo tra cattolici e ebrei; il 21 gennaio si è celebrata la Domenica della Parola di Dio.
Cosa unisce tutte queste ricorrenze? Proprio il fatto che sarebbe l’ora, il kairòs, di dichiarare «impropria» – per poi sostituire – la categoria di conversione utilizzata per definire quanto avvenuto nella vita di Saulo di Tarso.
Le ragioni sono ben spiegate in una Petizione risalente ormai a quasi due anni fa, approvata dall’Assemblea ordinaria del Segretariato Attività Ecumeniche (SAE) in data 24 aprile 2022, sottoscritta da cattolici, protestanti ed ebrei, ed indirizzata al Prefetto (e per conoscenza al segretario) del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
A tal proposito, sarebbe interessante sapere se c’è stata una risposta definitiva o, almeno, una presa in carico della questione. Essa è troppo importante per gli equivoci che ingenera nel popolo di Dio.
Contribuisce, infatti, a far pensare in modo diffuso e quasi scontato che vi sia stato un passaggio di Saulo (poi Paolo) dalla religione ebraica alla (già costituita) religione cristiana. Quando, in realtà, si trattò di una vicenda tutta ancora interna all’ebraismo, alla prese con la discussione sulla messianicità (o meno) di quello che allora poteva essere visto – mi si passi l’immagine provocatoria – come l’ennesimo “pretendente al titolo”.
Già Benedetto XVI, nell’Angelus del 25 gennaio 2009, riportava il fatto che «alcuni preferiscono non usare il termine conversione, perché – dicono – egli era già credente, anzi ebreo fervente, e perciò non passò dalla non-fede alla fede, dagli idoli a Dio, né dovette abbandonare la fede ebraica per aderire a Cristo». Ma, poi, il suo tentativo di salvare la categoria di “conversione” come chiave di lettura dell’evento vissuto da Paolo finiva per isolare totalmente Gesù il Cristo dalla sua genealogia ebraica.
Addirittura, poi, se ascoltassimo coloro che evidenziano negli Atti degli Apostoli la cosiddetta persecuzione dei cristiani da parte di Paolo, potremmo pensare veramente che alle origini del cristianesimo vi sia stato un momento in cui una religione forte e di maggioranza – quella ebraica – si sia dedicata alla persecuzione della piccola e indifesa comunità cristiana nascente. Se a ciò aggiungessimo l’errore – più che l’equivoco – o l’orrore dell’accusa rivolta al popolo ebraico di deicidio, la tragedia sarebbe completa e allungherebbe le sue ombre sino al nostro recente passato. Non è un caso, credo, o è un caso divino, il fatto che la Giornata della memoria cada a chiusura di questi giorni (27 gennaio).
D’altra parte, invece, se finalmente perseguissimo la strada di una migliore traduzione e tradizione dell’evento vissuto da Saulo/Paolo, riusciremmo anche a leggere meglio la complessità dialettica e il pluralismo del testo biblico, (ri)scoprendo l’irrevocabilità dell’Alleanza di Dio con gli ebrei (Rm 9-11) e facendo emergere le vere responsabilità – del Potere (religioso e politico) – nella morte di Gesù (Mt 27,20). In fondo, non abbiamo proceduto in modo simile con la nuova traduzione del Padre Nostro?
In ogni caso, spero che non ci sia nessuno che ritenga tali preoccupazioni secondarie o addirittura sorpassate. Basterebbe fare un giro nelle nostre classi – e non per forza in quelle delle scuole di periferia, anzi – per rendersi conto che questo è il senso comune delle persone e, quindi, che c’è ancora molto da lavorare nella direzione auspicata.
Sergio Ventura