Con la solennità di Cristo Re dell’universo si conclude l’anno liturgico, ossia quel tempo della Chiesa, nel quale i cristiani, attraverso le celebrazioni ispirate dai tesi sacri, si soffermano sul mistero della fine e del fine della storia umana.
Dobbiamo riconoscere che venti secoli dopo la nascita del Salvatore, il male continua e imporsi con arroganza e compiere ogni forma di devastazione: odio, guerre, perversioni di vario genere, malattie incurabili, e catastrofi naturali, legate, queste ultime, a una forma di abuso e di mancanza di amore e rispetto per la nostra terra. Tutto, in un modo o nell’altro, fa emergere, con estrema verità le responsabilità dell’uomo.
Non mancano quindi i motivi per dubitare se questa salvezza portata da Cristo può essere fondata e degna di fede. Tutti siamo attraversati dal dubbio sul non senso della vita e sull’inutilità del credere.
Tuttavia nel cuore stesso delle difficoltà della vita, il credente coltiviamo nel nostro cuore la speranza che alla fine la vittoria di Dio su ogni forma di male, si squilibrio e di ingiustizia, si manifesterà in tutta la sua potenza e verità! Questa certezza nella fede a proposito della conclusione finale della storia trova la sua espressione nella dottrina degli “ultimi tempi” o “escatologia”.
Sotto l’influenza dei profeti l’uomo del Primo Testamento ha vissuto l’attesa del Regno di Dio che si configura come attesa di un giudizio e nello stesso tempo di un intervento definitivo di salvezza. Nella Bibbia infatti la visione della storia si sviluppa secondo due movimenti contrari. Da un lato la storia viene presentata come un processo che a partire da una perfezione primitiva va sempre più degradandosi fino al “giorno” in cui scoppia la “collera” di Dio che sconvolge il mondo “giudica gli uomini secondo giustizia e verità”. Ma in un’altra prospettiva la storia appare anche come lo sviluppo di un germe di salvezza che cresce lentamente ma sicuramente col passare del tempo, fino alla ricomposizione finale di un’umanità riconciliata; è questo il significato profondo della storia di Noè, di Abramo e dell’Esodo e dell’annuncio del “piccolo resto” di coloro che dopo l’esilio saranno fedeli a Dio.
Dio solo può rispondere a questa duplice e viva attesa nel cuore dell’uomo, e lo fa nel suo figlio. Attraverso il mistero della sua Pasqua, Gesù riporta l’uomo all’armonia delle origini.
Questa presenza di Dio già all’opera, attraverso il dono dello Spirito, non è ancora realizzata in modo pieno. Gli ultimi tempi, tra la loro inaugurazione e il loro termine finale, si estendono per così dire e si prolungano in un periodo che ha la funzione di permettere a tutti gli uomini di aver parte alla salvezza.
E’ il tempo della Chiesa.
Solo quando Dio sarà “tutto in tutti” (1 Cor 15.28) si avrà il pieno compimento degli ultimi tempi segnato dalla venuta gloriosa del Cristo; la parusia (1Ts 1,10).
Per esprimere la vittoria finale di Dio la Bibbia ricorre spesso a differenti modi espressivi, un genere letterario particolare, il genere apocalittico, derivato dalle visioni profetiche. Non è l’unico mezzo attraverso cui a Bibbia esprime la realtà future), ma fermeremo su di esso la nostra attenzione in vista delle letture di questo scorcio dell’anno. Il genere letterario che caratterizza i testi che stiamo ascoltando appartengono al genere apocalittico.
Le “apocalissi” si presentano come rivelazione di segreti relativi alla fine dei tempi attraverso immagini fortemente simboliche ed evocative. In esse il trionfo sul male viene evocato attraverso la descrizione di cataclismi cosmici che vogliono significare la trasformazione profonda che deve avere luogo. Queste visioni sono predette con un linguaggio ermetico, accessibile ai soli iniziati, perché il più delle volte si tratta di testi che circolano in periodi di persecuzione, in cui è opportuno nasconder agli oppressi la fonte della speranza delle loro vittime. A questo genere letterario appartengono numerosi scritti biblici e apocrifi. Esso ha avuto una particolare fioritura durante la persecuzione dei Maccabei (le letture della XXXIII settimana degli anni dispari). In questi giorni stiamo ascoltando alcune pagine del libro dei Maccabei. Apriamoci a questi testi non con timore ma che il bene alla fine prevale sempre sul male.
Questo tipo di linguaggio ritorna nel Secondo Testamento e specialmente nell’ultimo libro della Bibbia, l’apocalisse. Il termine apocalisse, non designa tragedie o cataclismi ma il suo significato è appunto rivelazione.
Questo libro, che stiamo leggendo in questi giorni, scritto da San Giovanni e composto durante le prime persecuzioni subite dai cristiani, è il libro che intendeva e intende alimentare nei credenti la speranza cristiana. Attraverso una molteplicità di immagini, che solo i destinatari potevano comprendere, l’autore presenta il frutto della Pasqua nella vittoria di Cristo, agnello immolato e insieme la sconfitta definitiva del male e della morte.
Allo stesso genere letterario vanno riferiti alcuni importanti brani dei sinottici (Mc 13 e paralleli), che annunciano la catastrofe finale e il ritorno del Figlio dell’uomo. Questo evento è descritto anche nelle parabole del ritorno del padrone. Il linguaggio apocalittico sconcerta il lettore moderno poco abituato a muoversi in questo universo di simboli.
In effetti certi temi, come “collera di Dio”, il “giudizio”, la “fine del mondo”, esigono una spiegazione e un chiarimento.
Tuttavia, proprio la realtà imprecisa e cangiante di questi simboli ha il merito di dare spazio a una dimensione della fede di cui non si può fare a meno, e che scaturisce appunto dalla dottrina degli ultimi tempi; l’apertura al futuro.
Il cristianesimo non è soltanto tradizione e diligente custodia del passato, fosse pure il passato di Gesù Cristo. L’orientamento verso il futuro è altrettanto essenziale. Il nostro Dio non è solo il Dio delle meraviglie compiute nel passato, è anche il termine e il fine della storia. Non è unicamente al di sopra e dentro di noi, è davanti a noi. In questa tensione verso il futuro di Dio si trova il significato ultimo dell’esistenza del credente e il motivo per cui il cristiano è invitato a impegnarsi con decisione in una fedeltà alla storia, al servizio dell’umanità.
L’imminente inizio dell’avvento, almeno nelle prime due domeniche, riprende questo tema e, oggi come ieri vuole suscitare il desiderio e l’attesa del compimento della salvezza nella nostra vita.
Vieni Signore Gesù!
Si, vengo presto.
(Ap. 22,20)