Gmg. I giovani imperfetti di Lisbona e l’assenza degli adulti credibili

“Ansiosi, disorientati e carichi di domande, sono così i 65.000 ragazzi arrivati in Portogallo e a cui parlo alla Festa degli italiani. Desiderano la nostra attenzione e soprattutto di accogliere le loro fragilità”.

Don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera, accolto da un coro da stadio al suo ingresso a Casa Italia, parla conoscendo bene chi ha davanti. Ogni anno il sacerdote si reca nelle scuole e in giro per il mondo dove si sono sviluppati progetti e aperte strutture, incontrando migliaia di ragazzi che hanno tutti una richiesta comune: “Chiedono agli adulti che siano credibili e veri, chiedono il diritto di poter essere imperfetti e sono disponibili a giocare la partita della vita, insieme a noi”, prosegue Ciotti.

Ragazzi che vogliono essere ascoltati e intercettati e anche riconosciuti. Nutrono i dubbi e sono in un cammino di ricerca: questo è l’identikit che don Ciotti traccia e che accomuna sia i giovani che partecipano alla Gmg che chi è lontano dalla fede.

“Dico sempre ai ragazzi che è fondamentale prendere coscienza delle proprie fragilità. Confesso che mai in 78 anni di vita ho visto manifestazioni come negli ultimi tempi. Ragazzi che ammettono di avere l’ansia come compagna di strada. Il loro smarrimento è un grido. Perché denunciano un sistema che non ti valorizza, che ti conta solo nella tua prestazione. Invece hanno il diritto di essere imperfetti”.

Per don Ciotti i giovani sono “portatori di diversità di vita e accogliendoli accogliamo la vita”. Una generazione che è immersa in una cultura digitale, delusi dalle istituzioni “vivono una sfida affettiva e con tanti interrogativi anche sulla dimensione sessuale che restano inevasi”.

Fanno una domanda, quella di essere ascoltati da un mondo adulto. Ma non solo ascoltati, riconosciuti. “Chi è qui sta facendo un cammino di fede, allora sono importanti due dimensioni: la testimonianza cristiana e la responsabilità civile che devono fortemente saldarsi insieme”. E nell’incontro con loro “io dico sempre che il futuro inizia nel presente. Nel presente – ripete il sacerdote – e dal presente si gioca la partita della vita e che questa partita della vita dobbiamo giocarla insieme, giovani e adulti. Dovremmo creare una nuova forza generatrice”. A Lisbona è venuto a dire che “nessuno può accontentarsi di conservare l’esistente, c’è bisogno di nuove idee, di nuove rotte, anche di percorsi inediti da costruire insieme”.

Sbagliato arrivare dai ragazzi per impartire lezioni. “Quando li incontro – racconta – dico loro di aiutarci a essere più coraggiosi per affrontare le sfide del cambiamento. Di ascoltare di più i poveri, gli ultimi, chi fa più fatica. Ascoltare i loro desideri, le loro paure e le loro necessità”. C’è un metodo antico, per farlo. E Papa Francesco ne è l’esempio: “Dico sempre che Gesù parla soltanto dopo aver servito. Prima serviva, faceva, e poi parlava. Questo diventa importante anche per noi. Altrimenti la gente non crederà alle nostre parole. Perché oggi c’è bisogno di tanta concretezza, c’è bisogno di gesti significativi”.

Proprio come il Pontefiche, “che compie gesti che parlano da soli, che graffiano la coscienza, che pongono stupore e domande”. Non è una passeggiata, il cammino come lo intende don Luigi Ciotti. “Racconto sempre quattro parole di Don Lorenzo Milani che diceva “fino a che c’è fatica c’è speranza”.

E stamani sarà il giorno della preghiere. “Noi dobbiamo trasformare la preghiera in vita e la vita in preghiera. Perché se la preghiera non parte dalla vita delle persone – né convinto don Luigi – non serve”. E parla della “strada del Vangelo”, quella che dice “di cercare di viverlo dentro i segni dei tempi. Il Vangelo deve vivere nel contesto di oggi”. Senza timore di parlare alla politica, “perché i ragazzi chiedono speranza, che significa avere dignità, diritti, ascolto. Credo profondamente in questo. Questa è una società del consumismo e del profitto che ad esempio sta un po’ espropriando la realtà dell’adolescenza”.

A cominciare dal tentativo di omologare, quando invece “la diversità dei giovani va preservata perché vive e si nutre di relazioni, non di semplici contatti e di connessione. Perciò ai giovani augurerò la solitudine. Da non confondersi con l’isolamento. Perché è nella solitudine che tu vivi le tue emozioni. Questo tuo guardarti dentro, il tuo prendere coscienza”. Parole controcorrente. Come sempre: “C’è bisogno di solitudine perché noi siamo schiavi dei social e della tecnologia. Non sono da demonizzare, ma abbiamo di fermarci per guardarci dentro”, ripete.

E con Papa Francesco questa Gmg “è l’occasione ideale: qua si prega, si suda, si canta, si sta insieme”.