I domenica di Quaresima: il giardino, il deserto e la tentazione

Letture:
Genesi 2,7-9; Salmo 50;
Romani 5,12-19; Marco 4, 1-11

In quel tempo. In questo tempo. Come in una parabola dei nostri giorni, provo a immaginare il vangelo delle tentazioni nella città che conosco meglio: Milano. Il diavolo portò Gesù nella metropoli, capitale della finanza e della moda. Lo pose in alto, sopra la guglia centrale del Duomo e gli mostrò la città ai suoi piedi: il Castello, la Borsa, la cintura delle banche, lo stadio, le vie della moda. E c’era folla sul corso, turisti e polizia. Qualcuno dei mendicanti stringeva un cagnolino in grembo, forse per un po’ di calore, forse per attivare un briciolo di pietà. Sull’asfalto grigio, coriandoli e stelle filanti di carnevale, e la pioggia leggera di fine inverno. Qualcuno, occhi tristi e pelle scura, vendeva le ultime rose ai passanti. Guardando bene si vedevano anche quelli che si lasciavano andare: alla solitudine, alla vecchiaia, alla depressione, che si lasciavano morire di droga o di dolore.

Allora il diavolo disse a Gesù: “Tutto questo è mio! Tutto sarà tuo se ti inginocchi davanti a me!”. Signore, perché non gli hai dato del bugiardo? Dicendogli, e dicendo a noi, che non è vero, che non tutto è suo, che la città non è il suo regno, che ci sono giusti e bambini e innamorati e poeti. Lascia che ti mostri una cosa, Signore, proprio a Te che non hai reagito. Nella città, che il Nemico dice sua, ci sono luoghi dove per tutto il giorno si asciugano lacrime, dove donne e uomini intercedono per la città, la collegano al cielo, e altri che provano a fare del loro poco qualcosa che serva a qualcuno. Ci sono madri che danno la vita per i figli e gente onesta perfino nelle piccole cose; ci sono padri che trasmettono rettitudine ai figli e occhi diritti. C’è il grido del male, lo sento forte, e mi stordisce a giorni, ma più ancora c’è il silenzioso lievitare del bene.

Signore, se guardi bene nella città che il diavolo dice sua, non c’è solo competizione, puoi incontrare la passione per la giustizia, il sottovoce dell’onestà, gente limpida senza secondi fini. E se vieni ancora un po’ più vicino, puoi incontrare anche me, perché ci sono anch’io e sono tra quelli che credono ancora nell’amore e non si consultano con le loro paure ma con i sogni. Buttati, ti ha detto, verranno gli angeli a portarti sulle mani! Io lo so che verranno, quando con l’ultimo, con il più grande atto di fede, mi butterò in Te nel giorno della mia morte, fidandomi. Se c’è un angelo nel cielo sopra Milano, chiedo che mi accompagni nell’ultimo viaggio, tenendomi per mano, perché ho un po’ paura, e mi dica in quell’ultimo tratto di cielo solo questo: “Vieni, hai tentato di amare, il tuo desiderio di amore era già amore”! Non chiedo altro, ma che lo dica con un sorriso.

P. Ermes Ronchi
Avvenire

In questa prima domenica di Quaresima la liturgia della Parola ci ha fatto leggere il racconto delle tentazioni di Gesù. Sì! Gesù viene tentato. La tentazione è una prova e fa parte della vita; è conseguenza della nostra libertà. Vivere, infatti, significa prendere decisioni: è così per tutti, anche per Gesù. In questa esigenza di prendere decisioni si inserisce la tentazione del demonio. Prima tentazione: il demonio propone di cambiare le pietre in pani: «Se tu sei il Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Perché questa richiesta? Perché il demonio parte dal presupposto che una volta assicurato il pane, tutto è assicurato. Esattamente come pensa tanta gente! È la mentalità materialista secondo la quale, se ci si riempie lo stomaco, “tutto l’uomo” è sazio. Questa mentalità, purtroppo diffusa, è la visione di vita attorno alla quale si muove la nostra moderna società.

Però Cristo, annota l’evangelista, risponde al Tentatore con queste parole: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Con questa risposta Gesù ci ha ricordato che lo scopo della vita non possono essere i soldi e non può essere il benessere; ci ha ricordato che i figli non si educano moltiplicando le soddisfazioni e i divertimenti. È stolto, allora, chi riempie i figli di cose e non di valori: a lungo andare questa strada produrrà ribellione e crudeltà. Gesù, inoltre, ci ha ricordato che saremo eternamente stanchi, eternamente scontenti e agitati fino a quando non avremo trovato Lui. Quando manca la gioia, dipende solo dal fatto che abbiamo scacciato Dio. Scrive sant’Agostino: «Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te» (Le Confessioni, I,1,1). Guardandoci attorno, però, non possiamo non riconoscere che il demonio ci ha condotto oggi in un materialismo che ci allontana sempre più da Dio. È urgente, dunque, domandarci: «chi siamo e dove stiamo andando?». Per rispondere a queste domande lasciamoci guidare dalla Parola di Dio che è «viva ed efficace» (cf Eb 4, 12): solo attraverso di essa vi è salvezza!

Seconda tentazione: «Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Questa è la tentazione della fretta, dell’impazienza che ama risultati immediati; è la tentazione di chi vorrebbe risolvere i problemi senza sacrifici e il mondo senza fatica. La fretta, certamente, non è la strada del bene. La fretta è una tentazione anche per noi: noi vorremmo che il mondo cambiasse in pochi giorni; che il nostro lavoro avesse risultati subito; che i nostri sacrifici producessero frutti immediati. Invece no: bisogna attendere! E l’attesa richiede pazienza, la pazienza richiede sacrificio, il sacrificio richiede fede. Questa è la strada di Dio: la strada del piccolo seme di cui parla Gesù: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape […] Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami» (cf Mt 13, 31-32)».

Terza tentazione. È la proposta del potere come primo valore della vita: un valore messo anche prima di Dio! È una tentazione assurda, ma l’orgoglio umano si muove spesso nell’assurdo. Questa tentazione è l’ultimo tentativo del demonio, è l’arma più sottile che egli possiede. Non meraviglia, dunque, la proposta che il demonio fa a Gesù: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». La risposta di Gesù non si fa attendere. Matteo, infatti, scrive che Gesù risponde dicendo: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». Per il potere, il successo, siamo disposti a sacrificare anche la gioia, gli affetti più cari. Quanti sacrifici si è disposti a fare pur di ottenere ciò che vogliamo! Però tutto ciò che riusciamo a conquistare in questo mondo, non deve farci allontanare da Dio, perché Lui solo è la nostra vera gioia e a Lui solo dobbiamo rendere culto e adorarlo. Nell’ultima cena Gesù si inginocchia davanti ai suoi dodici apostoli, per lavare loro i piedi. Con questo gesto Cristo Signore vuole ricordare a tutti noi che la vera grandezza, davanti a Dio, si misura soltanto in termini di amore e di servizio.

Adamo, tentato, è caduto (I Lettura); Cristo, invece, ha lottato e ha vinto perché si è sottomesso alla Parola di Dio, ha obbedito al Padre suo «facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (cf Fil 2, 8). Adamo ha steso il braccio per peccare; Cristo, invece, al termine della sua esistenza terrena, ha steso le sue braccia sulla croce per salvare tutti noi e «Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!, a gloria di Dio Padre”» (cf Fil 2, 9-11). Concludo con le parole del santo vescovo Agostino: «La nostra vita in questo pellegrinaggio non può essere esente da prove e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso, se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, né può vincere senza combattere». Che il Signore alimenti in noi la fede, accresca la speranza, e ci insegni ad aver fame di Cristo, pane vivo e vero, e a nutrirci di ogni parola che esce dalla sua bocca. Amen!

Don Lucio D’Abbraccio