Docenti e formazione emozionale, a che punto siamo? Ne abbiamo parlato con la Professoressa Giusi Toto, Docente ordinaria di Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università di Foggia, coordinatrice del Learning Science hub.
Professoressa Toto, voi avete avviato un’indagine esplorativa sullo sviluppo delle abilità emozionali nei docenti in formazione nel contesto del TFA sostegno. Quali sono stati i primi risultati?
Diciamo innanzitutto che è una ricerca che ti vede coinvolto in prima persona come ricercatore, all’interno di una comunità scientifica e di pratiche che ha un’organizzazione democratica, e insieme a noi c’è Martina Rossi che sta raccogliendo i dati sul campo. Siamo partiti dalle ricerche degli ultimi decenni dove l’attenzione si è sempre più focalizzata sul ruolo delle emozioni e sull’effetto che hanno anche sulla cognizione, perché a scuola è importante concentrarsi sula dimensione cognitiva, ma spesso è stata messa erroneamente in opposizione a quella emotiva, quindi domini come la memoria, il linguaggio e l’attenzione risultavano prioritari rispetto all’ambito emotivo, come se queste due sfere fossero divise da un muro.
In realtà non è così perché le emozioni influenzano questi tipi di ambiti e dinamiche e all’interno del contesto educativo generale, quindi non soltanto la scuola, è importante conoscerle. Oggi l’educazione emozionale, che poi è il fulcro di questo filone di ricerca, ha un ruolo centrale, perché da un ambito più ristretto e marginale si vede come le emozioni abbiano un ruolo fondamentale proprio nei processi educativi e negli ultimi anni sono state elaborate una serie di teorie pedagogiche che mirano alla gestione delle emozioni non solo come benessere individuale del soggetto, ma anche dell’intera comunità, sia nella classe che al di fuori, anche per la costruzione di ambienti di apprendimento significativi. Tutto questo ha permesso di sviluppare una serie di contenuti legati alla pedagogia che ci permettono di costruire ambienti di apprendimento e relazioni educative efficaci.
Perdonatemi solo una piccola digressione, ma ci tengo ad aggiungere un altro elemento, ovvero che anche l’inclusione risente positivamente degli effetti dell’educazione emozionale, perché ci permette di costruire relazioni efficaci tra gli studenti e gli ambienti di apprendimento inclusivi da tutti i punti di vista, ovvero sia dal lato insegnante che della classe e anche dal lato dello studente con disabilità o con bisogni educativi speciali. Infine questo effetto, che si legge anche all’esterno, ha ricadute pure sul ruolo delle famiglie, ci sono studi, a partire dal 2021, che ci attestano che quando in una scuola è possibile svolgere corsi, percorsi e attività di educazione emozionale, anche le famiglie degli studenti con disabilità hanno dei risultati positivi, come si legge in un articolo scritto dalle Professoresse Caldin e Giaconi.
Lei ci ha appena detto di quanto sia importante la gestione delle emozioni all’interno della classe, ma per fare tutto ciò gli insegnanti devono essere formati, allora le chiedo perché è importante che i docenti siano formati sulla valorizzazione delle emozioni in ambito educativo?
È importante, però dobbiamo chiarirci su cosa significa formare i docenti, dove anche la vostra testata giornalistica svolgete un ruolo importante, perché è vero che abbiamo delle attività formalizzate come quelle all’interno dei percorsi di formazione dei 30 e 60 CFU e nei TFA, però è anche vero che la formazione dei docenti passa molto per l’informale, quindi percorsi che i docenti scelgono in maniera autonoma o per il passaparola che avviene all’interno dei collegi d’istituto o del consiglio di classe.
La formazione dei docenti si sviluppa su vari canali, non è soltanto il ruolo dell’università o dei formatori che permettono lo sviluppo di un determinato tema o di una determinata competenza, ma ci sono vari percorsi. Per quanto riguarda il lato università, del quale faccio parte anche con il laboratorio che gestisco su questa tematica, l’educazione emozionale è diventata una componente imprescindibile della formazione docenti. Ad ogni inizio corso, per tutti i gradi di scuola e di formazione, comincio sempre con una o due lezioni sull’educazione emozionale ed ho ricevuto feedback positivi dagli studenti che si tramutano in una forte partecipazione, soprattutto dai docenti in formazione del TFA, ma anche da chi frequenta i corsi di studio universitari, come gli studenti di psicologia o di scienze dell’educazione. A volte, come successo qualche giorno fa, mi hanno raccontato la difficoltà addirittura a discernere, comprendere e descrivere emozioni come la tristezza e la rabbia, a volte per loro sono sovrapposte.
Questo in un ragazzo di vent’anni mi si descrive come una cartina tornasole di quella che è l’educazione a scuola, se a vent’anni a volte confondo situazioni o il mio vivere, il mio vissuto emotivo, con due emozioni diverse, significa che forse dobbiamo attardarci un po’ di più nella formazione e nella scelta dei programmi scolastici di questo tipo di educazione. Mi raccomando, parliamo di educazione emozionale e non sentimentale perché noi non possiamo insegnare i sentimenti, ma possiamo insegnare l’alfabetizzazione emozionale o quella che oggi in un certo senso viene anche chiamata educazione relazionale, è il focus sul quale dobbiamo porre l’attenzione. A tal proposito il tuo contributo ha dato molti spunti per arricchire la ricerca perché anche in passato ti sei occupato di educazione emozionale e spesso mi dai dei feedback anche nella costruzione di testistica e di questionari.
Noi abbiamo fatto un’indagine esplorativa con i docenti della primaria, 201 docenti, e dell’infanzia, 35 docenti, proprio per dimostrare che fin dall’infanzia è necessario alfabetizzare alle emozioni e poi insegnare la gestione nella fascia di età della preadolescenza e dell’adolescenza. Perché purtroppo gli adulti di oggi, e gli stessi insegnanti, a volte non sanno riconoscere le emozioni o non sanno gestirle, quindi, a mio avviso, è importante insegnarlo anche a scuola.
Volevo sottolineare un passaggio che ci ha appena fornito, l’educare alle emozioni fin dall’infanzia, perché è importante avere ben chiaro che ci sono delle finestre evolutive che una volta superate è molto difficile recuperare, per questo un approccio precoce permette di formare i ragazzi a sviluppare le proprie mappe cognitive ed emotive, per di più in una società ibrida tra reale e virtuale dove le relazioni sono sempre meno. Per questo motivo le chiedo quali sono i benefici per il gruppo classe di un’educazione emozionale.
Vorrei estendo la tua domanda, anche se la mia risposta può sembrare utopica, perché i benefici non sono solo per il gruppo classe, perché l’insegnante può gestire la classe e concentrarsi più su lezioni di contenuto o sull’organizzazione didattica e il successo formativo passa attraverso una regolazione dei comportamenti all’interno della classe. Questo è il presupposto, se non facciamo educazione emozionale e non sappiamo gestire la classe difficilmente faremo lezioni di contenuto efficaci.
Questo è un effetto del tipo di educazione che abbiamo a scuola, un effetto ancora macroscopico ma su cui dovremmo puntare, che può rendere il ruolo dell’insegnate fondamentale nella società e credo che da questo debba passare il nuovo riconoscimento sociale che gli insegnanti devono avere. È proprio il benessere il vantaggio di cui tutta la società circostante può beneficiare, che va dalla città alla regione e fino alla nazione intera, perché se noi formiamo cittadini che sanno gestire le proprie emozioni, sanno comunicare con gli altri, gestiscono relazioni efficaci, questo non è un vantaggio solo per l’insegnante in classe, ma è un vantaggio dal quale tutta la società ne trae beneficio.
Ciò che è incoraggiante da questa prima fase di ricerca e dall’analisi dei questionari su queste tematiche, è che i primi risultati ci dicono che gli insegnanti hanno la consapevolezza che non c’è scissione tra emozione e intelligenza, tra contenuto ed emotività, in un certo senso tra natura e scienza, ma che le emozioni e la regolazione emotiva sono una competenza essenziale per il benessere degli studenti ma anche per poter svolgere un’attività didattica efficace a scuola e per sostenere anche il ruolo delle famiglie, perché ricordiamoci che il ruolo genitoriale, che passa sull’educazione dei figli sull’ambito educativo, è in crisi perché non sa gestire il patrimonio emotivo dei figli, quindi il vero supporto che la scuola oggi può dare alle famiglie non è quello di sostituirsi nel ruolo educativo, perché poi come sappiamo da docenti ci sono conflitti con l’agenzia delle famiglie, ma il supporto che possiamo dare alle famiglie è un’alfabetizzazione emotiva che diventa abilità per gli studenti sulle quali le famiglie possono strutturare un discorso per l’insegnamento di regole, di un’educazione che veramente può essere efficace.
Un’ultima domanda e parto da quello che lei ha detto prima, ovvero che la scuola deve educare la persona e non solo istruirla e nell’educare rientra anche l’alfabetizzazione emotiva, a maggior ragione oggi che i fatti di cronaca ci raccontano di episodi più o meno gravi nati da banali litigi dovuta anche ad una scarsa gestione delle proprie emozioni. A questo punto le chiedo qual è il percorso per diventare consapevoli delle proprie e altrui emozioni e di come sfruttare queste conoscenze per creare un ambiente più equilibrato?
Hai toccato una nota dolente, che è anche una nota dolente del mio pensiero. Spesso quando sono invitata a convegni sull’educazione emozionale e sulla formazione a scuola, sottolineo l’importanza di questa educazione, perché di facciata è vero che tutti ne riconosciamo l’importanza però poi quando accadono situazioni di bullismo, violenza tra minorenni o gestioni delle emozioni errate fuori dal contesto della scuola, sembra che scopriamo per la prima volta il problema.
L’educazione emozionale non riguarda solo quelle che in maniera e con pregiudizi definiamo emozioni negative, perché fughiamo un dubbio, non esistono emozioni positive e negative, ma tutte le emozioni hanno una funzione e servono a qualcosa e questo dobbiamo insegnarlo. La rabbia non si può cancellare, il bambino non si può non arrabbiare, così come l’adulto, la rabbia però ha una funzione e una serie di gradazioni e una gestione che è legata ai trenta secondi di emersione di questa emozione.
Quindi se noi comprendiamo che la rabbia è un’emozione temporanea che ci nasce in relazione ad un input e dobbiamo saperla gestire, insegnare anche la gestione della rabbia, così come la gioia, sono dei canali fondamentali per risolvere questo tipo di problematiche. Anche la gioia non è funzionale quando è indirizzata alla ricerca di comportamenti a rischio o di elementi che sono deleteri per la salute o il benessere dell’adolescente, quindi tutte le emozioni vanno insegnate, riconosciute e comprese, ma dobbiamo gestirle. La formazione passa per questi quattro elementi: riconoscimento, comprensione, gestione e il saper comunicare agli altri quello che è il nostro vissuto emotivo.
Sarebbe importante riuscire a lavorare a scuola in percorsi di formazione che dividono i compiti fra i vari gradi di scuola, l’infanzia e la primaria possono lavorare sul riconoscimento e sulla comprensione dell’emozione, mentre la secondaria di primo e secondo grado possono iniziare a strutturare un lavoro partendo da bambini e ragazzi che hanno già un’alfabetizzazione anche emotiva e quindi insegnare la gestione delle emozioni e di come poter lavorare anche sulla comunicazione, un po’ come avviene già per i percorsi scolastici. Per fare questo ci vuole un patto educativo nuovo tra tutti i gradi di scuola e una collaborazione che non deve essere solo all’interno della classe ma tra tutti i docenti.
Questo ci aiuta a valorizzarci tutti e a capire che il docente dell’infanzia per chi insegna alla scuola secondaria o all’università è fondamentale, senza il lavora che sta facendo sui numeri e sulle lettere è fondamentale, così come è fondamentale il lavoro del docente della primaria sulla lettura, sulla scrittura e sul calcolo. Questo lavoro è la base per chi poi dovrà insegnare direttamente la spiegazione di contenuti più strutturati, lo stesso discorso vale per le emozioni.
Le rubo una battuta finale perché ha toccato un tasto importante ed è quello della collaborazione tra docenti, perché quando si lavora sull’educazione, ed in particolare per quella emotiva, avere un gruppo docenti che lavora insieme verso la stessa direzione permette di ottimizzare il proprio lavoro e non di vanificarlo, come spesso avviene tra colleghi, dove diversi approcci mandano in confusione l’alunno. Allora le chiedo, quanto è importante la collaborazione tra docenti, sia del gruppo classe che dei vari gradi d’istruzione.
Tu sai che ho molto rispetto del lavoro dei docenti dell’infanzia e della primaria, perché a volte mi chiedo, ed è la stessa domanda che mi facevo quando insegnavo alla secondaria sia di primo che di secondo grado, come fanno ad insegnare a bambini così piccoli a contare, a leggere e a scrivere, perché non vi è dubbio che hanno veramente delle competenze straordinarie. Questo per dire che il rispetto non dipende dal grado di scuola in cui si insegna, quindi anche la riconoscibilità sociale e professionale.
Va insegnato che tutti i gradi di scuola hanno la loro dignità e importanza, non è scendendo nel grado di scuola che si ha meno riconoscibilità, questo è un pregiudizio assurdo che non so quando è nato, ma che mi sono trovato a vivere da docente.
Oggi anche nei corsi di formazione per docenti, i 30 e 60 CFU o il TFA, noi insegniamo ai futuri docenti a collaborare, attraverso attività di gruppo, per gestire il rapporto con l’altro, perché se è necessario collaborare per raggiungere il successo scolastico all’interno della propria classe e della propria scuola, questo dialogo è a maggior ragione necessario anche con gli altri gradi di scuola.
Questo a volte viene sottovalutato anche per la frequente mobilità dei docenti, invece il nostro ruolo è fondamentale nei percorsi di formazione e nello sviluppo cognitivo ed emotivo dell’alunno, quindi il dialogo tra i gradi di scuola si deve rafforzare e questo passa proprio attraverso il riconoscimento delle professionalità di tutti.
Fonte: Orizzontescuola.it