Letture:
Isaia 62,1-5; Salmo 95;
1 Corinzi 12,4-11; Giovanni 2,1-11
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Dove ci siamo persi, dove e quando abbiamo cominciato a pensare che Dio ci vuole seri e compassati, meglio ancora, un po’ tristi e doloranti; quando ci siamo convinti che l’allegria non fa parte di questo mondo, ma è riservata all’aldilà; e se capita di essere allegri allora meglio sentirsi un po’ in colpa, perché non si addice ad un credente tutto compunto e mesto, intento solo ad abbracciare la sua croce con stoica rassegnazione.
Meno male che c’è scritto nero su bianco oggi nel Vangelo che all’inizio c’è la gioia e che, come primo segno, Gesù ha scelto la festa, il vino con cui brindare, l’allegria intatta e non sciupata da ciò che manca. Sarebbe bello svegliarci ogni mattino con una voce che ci sussurra «non hai più vino»: sentircelo ripetere ci aiuterebbe a comprendere che forse abbiamo perso la gioia, la freschezza dello sguardo leggero sulle cose, che ci manca l’emozione del vibrare con la vita.
È vero, abbiamo finito il vino della festa, quel pizzico di follia, quella danza che nasce spontanea quando senti che è l’amore che ti muove e ti conduce. Un amore senza un perché. E Gesù oggi ci mette la sua firma, autentica il fatto che la vita, quando c’è l’amore, è festa: non a caso lo hanno chiamato «il rabbi che amava i banchetti», il mangione e beone che non si perdeva una cena. Ce lo ha fatto capire fin dal principio del suo insegnamento: invece di scrivere un trattato di teologia sul mistero del Padre ci ha mostrato come pensa Dio, quali sono i suoi gesti e i suoi segni; Lui che «manifesta la sua gloria» riempiendo un vuoto di contentezza, che afferma la sua potenza tramutando l’insapore, lo scialbo, nel colore vivido e gustoso del vino e nella sua ebbrezza. È un po’ come se Gesù si fosse detto, così, tra sé e sé: «Facciamo una cosa bella fin dal principio e vediamo se capiscono.
Facciamogli vedere che senza la passione del cuore e dei sensi tutto diventa triste e spento, e che Dio non è il motore immobile che si sono raffigurato, ma è l’artista del gusto della vita, il creatore della gioia, Colui che ama sempre e sempre senza un perché». L’opposto dell’amore non è l’odio, ma la freddezza, un cuore indifferente e gelido, distaccato dalla vita e dalla sua energia: Dante infatti rappresenta il cerchio più profondo dell’inferno come un cerchio di ghiaccio.
Oggi Gesù viene a sciogliere il freddo, a mettere nelle nostre vene la felicità di Dio, a invitarci a fare festa col Creatore che danza e si esalta di gioia, quella gioia che nasce da una amore esagerato.
Luigi Verdi