III domenica del Tempo Ordinario; domenica della Parola di Dio

Letture: Isaia 8,23b-9,3; Salmo 26;
Prima Lettera ai Corinzi 1,10-13.17; Matteo 4,12-23

Tace la voce potente del deserto, ma si alza una voce libera sul lago di Galilea. Esce allo scoperto, senza paura, un imprudente giovane rabbi, e va ad affrontare, solo, problemi di frontiera, di vita e di morte, nella meticcia Galilea, crogiolo delle genti. A Cafarnao, sulla via del mare: una delle strade più battute da mercanti ed eserciti, zona di contagio, di contaminazioni culturali e religiose, e Gesù la sceglie. Non è il monte Sion degli eletti, ma Cafarnao che accoglie tutti. C’è confusione sulla Via Maris, e insieme ombra, dice il profeta, come la nostra esistenza spesso confusa, come il cuore che ha spesso un’ombra, e Gesù li sceglie. Cominciò a predicare e a dire: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino. Sono le parole sorgive, il messaggio generativo del vangelo: Dio è venuto, è all’opera, qui tra le colline e il lago, per le strade di Cafarnao, di Magdala, di Betsaida. E fa fiorire la vita in tutte le sue forme. Lo guardi, e ti sorprendi a credere che la felicità è possibile, è vicina.

Gesù non darà una definizione del Regno, dirà invece che questo mondo porta un altro mondo nel grembo; questa vita ha Dio dentro, una luce dentro, una forza che penetra la trama segreta della storia, che circola nelle cose, che le spinge verso l’alto, come seme, come lievito. Allora: convertitevi! Cioè: celebriamo il bello che ci muove, che ci muove dal di dentro. Giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. Non una ingiunzione, ma una offerta: sulla via che vi mostro il cielo è più azzurro, il sole più bello, la strada più leggera e più libera, e cammineremo insieme di volto in volto. La conversione è appunto l’effetto della mia «notte toccata dall’allegria della luce» (Maria Zambrano).

Gesù cammina, ma non da solo. Ama le strade e il gruppo, e subito chiama ad andare con lui. Che cosa mancava ai quattro pescatori per convincerli a mollare barche e reti e a rischiare di perdere il cuore dietro a quel giovane rabbi? Avevano il lavoro, anzi una piccola azienda di pesca, una casa, la famiglia, la sinagoga, la salute, la fede, tutto il necessario per vivere, eppure mancava qualcosa. E non era un codice morale migliore, dottrine più profonde o pensieri più acuti. A loro mancava un sogno. Gesù è venuto per la manutenzione dei sogni dell’umanità, per sintonizzarli con la salute del vivere. I pescatori sapevano a memoria le migrazioni dei pesci, le rotte del lago. Gesù offre la mappa del mondo e del cuore, cento fratelli, il cromosoma divino nel nostro Dna, una vita indistruttibile e felice. Gli ribalta il mondo: “sapete che c’è? non c’è più da pescare pesci, c’è da toccare il cuore della gente”. C’è da aggiungere vita.

P. Ermes Ronchi

Con il Vangelo di questa domenica iniziamo un nuovo cammino di sequela, avendo come guida l’evangelista Matteo. Siamo nel quarto capitolo del suo Vangelo; il racconto che precede il brano che abbiamo ascoltato, ci narra l’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto. Giovanni Battista è per eccellenza la “voce di uno che grida nel deserto” (Mt 3,3) e, dallo stesso deserto, Gesù sembra udire l’eco di quella voce proprio nell’istante in cui viene fatta tacere, ossia quando “Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato” (Mt 4,12). Questo versetto nel testo originale è fortissimo perché fa riferimento all’ascolto di Gesù: “Avendo udito che Giovanni era stato consegnato”. L’ascolto di questa notizia mette in moto Gesù e lo spinge a ritirarsi.

Questa volta, però, egli non si ritira nel deserto, ma presso il mare, nei confini di Zabulon e di Neftali e qui vi dimora. Gesù compie una scelta molto particolare. Alla nostra sensibilità moderna una casa in riva al mare sembra il luogo ideale per ritirarsi, ma in realtà, nel contesto in cui vive Gesù, la prospettiva non è poi così allettante. Per prima cosa, l’Evangelista chiama il lago “mare” di Galilea. Il mare nella Scrittura ha quasi sempre una connotazione negativa, ha a che fare con il caos, è pericoloso e imprevedibile. Inoltre, non è un luogo poi così tranquillo per ritirarsi: di notte luogo di pesca, di giorno luogo di commercio. La citazione di Isaia definisce bene il luogo scelto come dimora da Gesù: Galilea delle genti. Eppure Gesù sceglie di abitare proprio lì, in luoghi di confine che non sono solo geografici, ma che ben raccontano anche i confini dell’esperienza umana.

Il deserto, luogo in disparte dove Gesù incontra il Padre, è in realtà affollato dagli uomini. La stessa cosa avviene per il racconto che ascolteremo domenica prossima: proprio sul monte (luogo per eccellenza della manifestazione di Dio) Gesù pronuncia uno dei suoi discorsi più importanti davanti ad una folla numerosa (Mt 5,1-12). Per Gesù la relazione con Dio passa dalla relazione con l’uomo. I primi cristiani descrivano la loro forma di vita come un essere nel mondo, senza essere del mondo: questo è l’approccio di Gesù, che è vero Dio e vero uomo. Abitare i confini è essere di Dio nel mondo. Possiamo credere che “il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17) perché il Signore viene ad abitare i nostri confini, i nostri limiti scegliendo di dimorare come luce in mezzo a chi abita nelle tenebre (Mt 4,16). Gesù però non si ferma qui. Non solo sceglie di abitare tra noi, ma cammina anche in mezzo a noi. “Mentre camminava lungo il mare di Galilea” (Mt 4,18): Gesù mette in atto un movimento sia esteriore che interiore, innescando in chi lo vede un ulteriore movimento: la sequela dei primi discepoli. Abbiamo visto come Gesù, per vivere la sua relazione col Padre, abbia bisogno di relazioni umane. È bello che per i discepoli avvenga la stessa cosa: è significativo che i primi chiamati siano due coppie di fratelli (Andrea e Pietro; Giacomo e Giovanni).

Il Vangelo che abbiamo ascoltato oggi sembra dirci in tutti i modi che seguire il Signore implica la presenza dell’altro. Seguire Gesù è vivere come Lui ha vissuto, quindi è vivere costantemente e tenacemente in relazione, con tutta la bellezza e le fatiche che questo comporta. Il racconto della chiamata dei primi discepoli mi ricorda sempre un proverbio africano molto noto che dice più o meno così: “Se si cammina da soli si va più veloci. Ma se si cammina in due si va più lontano”. Questo annuncio è molto forte. I Vangeli non ci nascondono che in realtà i discepoli chiamati da Gesù sono dei solisti nati, dei battitori liberi: pensiamo alle affermazioni plateali di Pietro (“questo non ti accadrà mai” (Mt 16,22); “se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai” (Mt 26,33); anche Giacomo e Giovanni amano i ruoli di rilievo, basti pensare alla richiesta di sedere alla a destra e a sinistra di Gesù nel suo regno. Ebbene, Gesù chiama proprio loro a seguirlo come fratelli, proponendo loro la sfida di passare dall’io al noi.

L’evangelista ci dice molto di questi fratelli; sappiamo i loro nomi, la loro professione, ma non ci dice le parole con cui rispondono alla chiamata di Gesù, la loro risposta è un’azione: lo seguono. Così una giornata ordinaria diventa l’inizio di una storia nuova. Ma cosa significa davvero seguire qualcuno? Nel Vangelo non si parla mai di imitazione, ma di sequela. La differenza è sostanziale: imitare è ripetere nella forma e nei contenuti tutto quello che fa e dice l’altro, copiarlo in tutto. L’imitazione implica un annullamento di ciò che si è per assumere fino in fondo la forma dell’altro. La sequela è tutt’altro. Seguire implica prima di tutto un movimento (posso imitare uno che dorme, ma non posso seguirlo, perché è fermo!) un movimento che coinvolge entrambe le parti: chi segue e chi è seguito. Seguire mette in gioco due alterità: ciò che si è non viene annullato, anzi è necessario. La sequela è un atto libero; è, ancora una volta, espressione di relazione.

Il racconto che abbiamo ascoltato si conclude con il v. 23, dove si dice che “Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il Vangelo del Regno, e guarendo ogni sorta di malattia e di infermità nel popolo”. Tutti i verbi di questo versetto ci dicono qualcosa di Gesù: egli è un maestro che fa crescere chi si mette alla sua scuola, è un predicatore che annuncia la bella notizia che è il Regno ed è un medico che si prende cura di ogni tipo di malattia o infermità del suo popolo. E tutto ciò che fa Gesù lo fa in modo dinamico perché lo fa percorrendo tutta la Galilea. Gesù è in cammino dentro ciò che insegna, dentro ciò che annuncia ed è in cammino verso un’umanità ferita. Anche Lui cresce, impara, si lascia toccare dalle esperienze che vive. Egli, che ha ricevuto da noi uomini il senso pieno del suo essere Figlio di Dio, ci doni oggi la grazia di riconoscerci fratelli in ciò che viviamo, figli di un unico Padre.

Monastero di Sant’Agata Feltria