III domenica di Quaresima: convertitevi!

In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Che colpa avevano i diciotto morti sotto il crollo della torre di Siloe? E quelli colpiti da un terremoto, da un atto di terrorismo, da una malattia sono forse castigati da Dio? La risposta di Gesù è netta: non è Dio che fa cadere torri o aerei, non è la mano di Dio che architetta sventure. Ricordiamo l’episodio del “cieco nato”: chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché nascesse così? Gesù allontana subito, immediatamente, questa visione: né lui, né i suoi genitori. Non è il peccato il perno della storia, l’asse attorno al quale ruota il mondo. Dio non spreca la sua eternità e potenza in castighi, lotta con noi contro ogni male, lui è mano viva che fa ripartire la vita. Infatti aggiunge: se non vi convertirete, perirete tutti.

Conversione è l’inversione di rotta della nave che, se continua così, va diritta sugli scogli. Non serve fare la conta dei buoni e dei cattivi, bisogna riconoscere che è tutto un mondo che deve cambiare direzione: nelle relazioni, nella politica, nella economia, nella ecologia. Mai come oggi sentiamo attuale questo appello accorato di Gesù. Mai come oggi capiamo che tutto nel Creato è in stretta connessione: se ci sono milioni di poveri senza dignità né istruzione, sarà tutto il mondo ad essere deprivato del loro contributo; se la natura è avvelenata, muore anche l’umanità; l’estinzione di una specie equivale a una mutilazione di tutti. Convertitevi alla parola compimento della legge: ” tu amerai”. Amatevi, altrimenti vi distruggerete. Il Vangelo è tutto qui.

Alla gravità di queste parole fa da contrappunto la fiducia della piccola parabola del fico sterile: il padrone si è stancato, pretende frutti, farà tagliare l’albero. Invece il contadino sapiente, con il cuore nel futuro, dice: “ancora un anno di cure e gusteremo il frutto”. Ancora un anno, ancora sole, pioggia e cure perché quest’albero, che sono io, è buono e darà frutto. Dio contadino, chino su di me, ortolano fiducioso di questo piccolo orto in cui ha seminato così tanto per tirar su così poco. Eppure continua a inviare germi vitali, sole, pioggia, fiducia. Lui crede in me prima ancora che io dica sì. Il suo scopo è lavorare per far fiorire la vita: il frutto dell’estate prossima vale più di tre anni di sterilità. E allora avvia processi, inizia percorsi, ci consegna un anticipo di fiducia. E non puoi sapere di quanta esposizione al sole di Dio avrà bisogno una creatura per giungere all’armonia e alla fioritura della sua vita. Perciò abbi fiducia, sii indulgente verso tutti, e anche verso te stesso. La primavera non si lascia sgomentare, né la Pasqua si arrende. La fiducia è una vela che sospinge la storia. E, vedrai, ciò che tarda verrà.

Letture: Esodo 3,1-8a.13-15; Salmo 102; 1Corinzi 10,1-6. 10-12; Luca 13,1-9

Ermes Ronchi

Nella terza settimana del tempo di Quaresima, dopo che la liturgia propone nelle prime due domeniche uno stesso percorso tutti gli anni, incentrato sulle tentazioni e la trasfigurazione di Gesù, presentando alla nostra riflessione quasi una sintesi del suo cammino terreno in vista della Resurrezione, la liturgia dell’anno C ci invita a meditare sulla relazione tra Dio e l’uomo nei termini dell’immagine del volto più o meno misericordioso che l’uomo ha di Dio e del conseguente “cambiamento di mentalità” che siamo chiamati ad attuare sempre e soprattutto in preparazione alla Pasqua. Il contesto immediatamente precedente al nostro brano è quello di Lc 12, 54-57 in cui l’uomo è invitato a saper a leggere i segni dei tempi. Gesù, infatti, si lamenta con le folle: “Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?” (Lc 12,56), invitando l’uomo a fare un discernimento che non si basi soltanto su una lettura superficiale e deterministica degli eventi, in un rapporto di causa ed effetto come può essere quello tra le nuvole e la pioggia o lo scirocco e il caldo, richiamati nei vv. 54-55. Al credente, proprio nella consapevolezza del disegno di amore e di salvezza che Dio ha per tutti, è richiesto lo sforzo di non fermarsi al fenomenico ma di leggere oltre gli eventi.

Gesù mentre è in viaggio verso Gerusalemme parla alla folla e fa riferimento ad un tema molto forte: quello della morte incomprensibile e violenta, ponendolo in relazione con la necessità di conversione. Nei versetti iniziali, infatti, vengono narrati due episodi di cronaca di cui gli ascoltatori di Gesù dovevano essere informati: l’uccisione da parte di Pilato di alcuni pellegrini, provenienti dalla Galilea che in tempo di Pasqua erano al tempio per compiere sacrifici e che erano stati trucidati in quanto considerati dei rivoltosi e il crollo accidentale della torre di Siloe su un gruppo di diciotto persone che si erano riparate ai piedi della stessa, durante un temporale. In entrambi i casi narrati si tratta di morti tragiche, assurde e premature come quelle che anche ai giorni nostri affollano fin troppo le nostre cronache e di cui potremmo riportare tanti altri esempi più vicini a noi. Da sempre, infatti, lo scandalo della morte, specialmente se inferta dalla violenza degli uomini o dall’arbitrio della natura o del caso è sempre incomprensibile per l’uomo, per cui tradizionalmente la spiegazione è stata trovata in una immagine giustizialista di un Dio che garantisce la vita a chi gli obbedisce (Dt 30,19-20).

In particolare, in questa prospettiva il caso dell’eccidio dei pellegrini per la mentalità del tempo- e non solo – doveva apparire come un assurdo nonsenso, dal momento che se le disgrazie venivano lette come una punizione divina, come giustificare la morte di questi pellegrini proprio nell’istante in cui stavano mostrando la loro devozione a Dio? Obiettivo di Gesù è smontare questa mentalità assolutamente priva di fondamento per cui esiste una qualche sorta di legame tra il male commesso dall’uomo e la punizione divina che si abbatte sotto forma di disgrazie, quasi che Dio stia in attesa di potersi vendicare contro la durezza del cuore dell’uomo. Tuttavia, anche se non c’è nessun nesso tra il peccato e la caducità della vita che può essere colpita dalla violenza e dal male, l’uomo che non si converte e non accetta di destrutturare la sua immagine di un Dio-giudice severo si sta già autocondannando ad una morte eterna e ad un rifiuto della salvezza.

Gesù non avanza nessuna spiegazione del male, a garanzia dello spazio di libertà dell’uomo, ma con forza richiama l’uomo a cambiare direzione, ad uscire da una mentalità di tipo retributivo che porta “i giusti incalliti” a non lasciare margini all’intervento salvifico della grazia di Dio e a temere, al pari dei peccatori, la collera di Dio. Riprendendo le parole di Louf: “Se temiamo ancora gli interventi di Dio, se li interpretiamo spontaneamente come un’espressione della sua collera, significa che, in un modo o nell’altro, […] non abbiamo ancora sperimentato l’amore di Dio, la sua sconvolgente tenerezza” (A- Louf, Sotto la guida dello Spirito, Edizioni Qiqaion, 1990, p. 13). Ecco quindi che ad essere bisognosi di conversione non sono soltanto coloro che si considerano peccatori ma anche soprattutto coloro che si ritengono giusti e pertanto puntano a “meritare” la salvezza con una mentalità meritocratica che ingabbia la misericordia di Dio.

Proprio per questo è necessario che ogni uomo si dia un tempo di conversione dal momento che, come ci ricorda ancora Louf: “La conversione […] è sempre una questione di tempo: l’uomo ha bisogno di tempo e anche Dio vuole avere bisogno di tempo con noi” (A- Louf, Sotto la guida dello Spirito, Edizioni Qiqaion, 1990, p. 12). In questa prospettiva si inserisce e si comprende la parabola del fico contenuta nella seconda parte del brano. L’immagine del fico, e più in genere dell’albero, è usuale nella Bibbia e spesso indica Israele. Lo ritroviamo nell’episodio del fico maledetto (Mc 11,12-14.20-25). L’albero che non dà frutto si trova anche nella predicazione di Giovanni Battista (Lc 3,9): il popolo è come un fico che non dà frutti e su di esso si abbatte la scure alla radice.

Ma nella narrazione dell’immagine di Dio che ci presenta Gesù, Dio concede all’uomo tutto il tempo di cui ha bisogno per convertirsi: il compito del vignaiolo – Gesù è proprio questo aprire per l’uomo lo spazio della salvezza. La pazienza con cui Dio aspetta che l’uomo si converta è segno del suo essere longanime e misericordioso, ben diverso da un Dio che pesa con il bilancino attribuendo disgrazie in relazione ai nostri peccati. Questa giustizia fondata sulla misericordia e non retributiva per la mentalità dell’uomo che si ritiene giusto può essere scandalosa da accettare ancora più del male. Proprio per questo dobbiamo lavorare per scalfire la durezza del nostro cuore. Il tempo che nell’arco più o meno lungo della nostra vita ci è concesso è “per conoscere meglio Dio” ed è sempre “un tempo di conversione e di grazia, dono della sua misericordia” (A- Louf, Sotto la guida dello Spirito, Edizioni Qiqaion, 1990, p. 13). È un kairòs che intercetta lo svolgersi del nostro krònos nella gratuità del dono che ci fa scoprire la sua misericordia.

Luisa
Comunità Kairòs