Il Giubileo e le indulgenze: qualcosa va cambiato!

Indulgenza: la parola più centrale di tutte, sul senso che, storicamente, ha avuto il giubileo.

Composta dalla particella “in” con significato di andare verso e “dulgenza” che potrebbe venire dal latino “dulcis” (dolce) o dalla radice indoeuropea “dhalgh”, che indicherebbe il “dover dare” di chi è indulgente. In entrambi i casi, su cosa la Chiesa si mostrerebbe “dolce” o cosa “dovrebbe dare” al fedele? Sarebbe dolce nell’ottemperare al proprio dovere di aprire ai fedeli il “tesoro della Chiesa”, cioè l’insieme di tutta la fede in Dio e l’amore per lui, vissuti da Cristo, e secondariamente, da Maria e dai santi che ci hanno preceduto.

Fin dall’antichità la Chiesa ha creduto che questo “tesoro” accomuni tutti i credenti in un solo “corpo mistico” (la “comunione dei santi”), all’interno del quale finirebbe per sostenere anche la vita cristiana di tutti coloro che credono e amano Dio, ma non vivono il grado della perfezione (non sono ancora santi).

Nel medioevo si inizia a pensare che tale “tesoro” possa essere considerato come una risorsa spirituale a disposizione di tutti i fedeli per la remissione parziale o totale delle pene temporali dovute ai peccati, a condizione che essi compiano delle azioni e abbiano delle disposizioni interiori, stabilite dalla Chiesa, necessarie a “sfruttare” questo tesoro. Ciò permetterebbe, appunto di “lucrare” l’indulgenza, per sé o per altri.

Fino al quinto secolo, per i padri della Chiesa il termine “indulgenza” era intercambiabile con quello di “misericordia”. Perciò, nell’antichità l’accento era posto sulla relazione di fede e di amore a Dio, come risposta alla misericordia divina, che “costituiva” questo “tesoro”.

Ma nel medioevo l’accento si sposta sullo “sfruttamento” di esso, inclinando verso una concezione giuridico economica del rapporto con Dio. Si rischia di lasciar intendere che Cristo (e con lui Maria e tutti i santi) ha accumulato “punti” salvezza, che poi possono essere distribuiti a chi se li “guadagna”, per sé o per altri.

A dominare questa visione c’è l’idea di una giustizia divina di tipo “distributiva”, cioè che Dio da a ciascuno secondo quanto ha fatto. Ma dato che Cristo ha guadagnato tutti i punti salvezza possibili, allora noi possiamo sperare di migliorare la nostra “classifica”, o quella dei nostri cari defunti, sfruttando i suoi punti.

Per quanto questa idea alberghi ancora in molti fedeli, non corrisponde all’idea di giustizia divina che Cristo ci ha rivelato, che non è distributiva, ma gratuita. Basterebbe leggere la parabola del padre buono (Lc 15, 11-32), i lavoratori nella vigna (Mt 20, 1-16), il fariseo e il pubblicano (Lc 18, 9-14), la peccatrice perdonata (Lc 7, 36-50), il buon ladrone (Lc 23, 39-43), più tutti i testi di area paolina (Rm 3, 21-24; 4, 4-5; Ef 2, 8-9; Tt 3, 5-7; Fil 3,9).

Sia questo linguaggio (economicista), sia questo modo di pensare l’indulgenza (giustizialista) vanno perciò modificati.

Se l’indulgenza permette la cancellazione parziale o totale delle pene del peccato, essa consiste, semplicemente nel lasciare che lo Spirito Santo converta il nostro cuore, affinché quei “residui del peccato” (la pena) vengano meno. Nella logica della giustizia divina gratuita già la crescita nell’amore e nella fede è capace di cancellare la pena del peccato, senza bisogno di ulteriori “pagamenti”, perchè quella crescita è proprio data dall’azzeramento o restrizione di quei “residui di peccato”.

Il giubileo è una occasione in cui la Chiesa ci ricorda e ci richiama a lasciarci innamorare maggiormente di Dio, a togliere da noi l’idea di una giustizia divina distributiva e a sostituirla con l’esperienza dell’essere giustificati gratuitamente per la fede.

A quel punto le nostre opere diventano capaci di tradurre davvero la fede e l’amore, perché sono conseguenza della nostra adesione a Cristo. Compiere gli “atti” previsti dal giubileo (pellegrinaggi, recita di preghiere, attenzione ai poveri, visite ai luoghi sacri, ecc), diventa allora non la causa, ma l’effetto concreto dell’aumento di fede e amore che realizza l’indulgenza, consentendoci la certezza del suo conseguimento, cioè dell’aumento della nostra conversione a Cristo.

Gilberto Borghi