Nel racconto cristiano la nascita di Gesù realizza il miracolo dell’incarnazione: Dio si rende pienamente umano assumendo la figura di un bambino inerme. Ma qualcosa di miracoloso avviene, in realtà, in ogni nascita. Dovremmo infatti imparare a vedere in ogni nascita una promessa di salvazione del mondo dalla brutalità e dalla violenza della morte. Nella nascita non si tratta solo di un evento naturale che risponde alle leggi universali della vita.
Il miracolo della nascita è quell’evento singolarissimo che rende la vita unica sin dal momento del suo primo respiro. La sua festa è la festa che consacra l’inizio: nella nascita di un figlio rinasce ogni volta il mondo. Agli occhi dei suoi genitori le stesse cose di prima non saranno più le stesse, il mondo come lo conoscevamo prima cambia necessariamente il suo senso.
Tutto resta, in realtà, come prima ma nulla è più come prima. Ogni nascita (anche quella di un amore, di un’amicizia o di una passione) rinnova così il miracolo della creazione del mondo, prolunga la sua genesi.
Accade anche nella creazione dell’opera d’arte. L’artista, facendo nascere un’opera, non si limita a rappresentare un mondo che già esiste, ma mette al mondo un nuovo mondo. In questo senso in ogni nascita si rinnova il miracolo – splendido e atroce – della vita. La luce della nascita non può infatti essere mai separata dal destino mortale che essa impone.
La vita emerge dal buio, dal sangue, dalle viscere, dall’ombra, dal fango. Viene al mondo solo attraverso il grido della sua assoluta inermità iniziando a morire con il primo respiro. Non per caso gli esseri umani possono sentirsi profondamente attratti dalle rovine, dai resti che non vogliono morire e che continuano a vivere contro l’inesorabilità del tempo.
La poetica ormai classica di Giorgio Morandi come quella contemporanea di Anselm Kiefer celebrano in modo straordinario la dimensione luminosa di ciò che resta, di ciò che non vuole morire, di ciò che vuole continuare a nascere.
È anche un grande tema biblico: la salvezza si trova sempre in ciò che resta, in un “resto che ritornerà”, come dichiara Isaia. Nel “giusto” Noè o nel piccolo Mosè salvati dalle acque, in Gesù risorto dal buio del sepolcro. Sono delle profonde immagini della nascita che si ripete attraverso la morte. Non a caso nella lingua ebraica la parola sheerìt, che significa resto, è composta dalle stesse lettere (reshìt) che significano “inizio”. Perché, come ricordava Hannah Arendt, gli esseri umani non sono fatti per morire ma per nascere innumerevoli volte.
Gli urti traumatici della pandemia e della guerra hanno mostrato il carattere tetro del potere della morte. La vita è sembrata cadere soccombendo di fronte alla violenza ingovernabile del male. Ma festeggiare oggi il miracolo della natività significa riconoscere che la vita non si arrende a quel potere. Siamo responsabili anche della nostra nascita, diceva paradossalmente Sartre.
Ma come è possibile esserlo? È necessario un “Sì!” anche per nascere. È necessario dire di “Sì!” alla vita per vivere. Questo significa che ogni volta che la vita dice “Sì!” alla vita, la vita può fare esperienza della nascita. È quello che il cardinale Martini ripeteva sottolineando che la resurrezione non è un evento straordinario che accade alla fine della vita, ma può accadere ogni giorno.
È quello che Nietzsche vede apparire nel mistero dell’eterno ritorno dell’eguale: è necessario dire un grande “Sì!” alla vita perché questo ritorno – la ripetizione inesorabile del tempo che ci divora – non appaia come un peso oppressivo, ma come l’esito di una nostra decisione, di una nostra volontà: “Sì! Voglio ancora nascere! Voglio ancora la vita nel suo splendore e nella sua atrocità! Voglio che si ripeta ancora, ancora come oggi e come tutto il tempo che è già avvenuto!”.
Il miracolo della nascita è, dunque, il miracolo del nuovo che accade nello stesso. Nella ripetizione uniforme della vita che ci consuma, la nascita è quel taglio che riapre la vita alla vita. È il “Sì!” che vince sul “No!”. È l’affermazione che vince sulla tentazione, sempre in agguato, della negazione nichilista: “tutto è vano, tutto è inutile”, diceva rassegnato l’indovino-Schopenhauer allo Zarathustra di Nietzsche.
Il “Sì!” della nascita che si rinnova insiste nel mostrare che non tutto è morte, che la morte non è l’ultima parola sulla vita, che non tutto è vano, che non tutto è inutile. Lo sanno bene coloro che hanno ridato respiro ai malati di Covid, lo sanno bene i protagonisti eroici della resistenza ucraina che difendono la dignità della loro vita e la libertà della loro terra di fronte all’invasore, lo sanno bene le donne e il popolo iraniano che rivendicano il diritto di nascere di nuovo, finalmente liberi dall’oppressione di una Legge folle che agisce non in nome della vita ma in quello tetro della morte.
Massimo Recalcati