A parte alcune meritorie iniziative locali, ‘il cammino sinodale’ stenta a giungere nel quotidiano delle comunità cristiane italiane: bisogna pensare altro, per non perdere l’occasione.
In queste settimane si moltiplicano gli interventi di vescovi, teologi, laici sul tema del Sinodo che deve arrivare nelle ‘periferie’, che deve farsi ‘cammino condiviso’. Così, ad esempio, recita il comunicato finale dell’ultimo consiglio permanente della CEI: «È emersa con forza l’esigenza di abbandonare ogni autoreferenzialità, favorendo il coinvolgimento dei laici e l’ascolto attento di tutti battezzati, specialmente di coloro che non frequentano o hanno sopito il fuoco del Battesimo». Gli esempi a riguardo sono davvero molti. Rimane però forte una preoccupazione, e cioè che ‘sinodalità’ sia diventata ormai una parola d’ordine che non scalfisce, se non superficialmente, la prassi della vita ecclesia ordinaria, anche quando essa si sia orientata verso il Sinodo (italiano e universale).
È un pensiero che ho da tempo, e su cui sono ritornato in seguito ad alcuni episodi. Il primo: pochi giorni fa, a cena con due trentenni fortemente impegnati in un movimento ecclesiale, di cui seguono le varie proposte, mi chiedono: «Ma questo Sinodo di cui leggiamo in Internet, cosa sarebbe? Ci dici qualcosa?». Ora, si trattava di una ‘minoranza’ rispetto alla società giovanile attuale, una minoranza peraltro competente, formata, integrata nelle attività ecclesiali. Eppure la notizia del Sinodo era arrivata a loro, molto vagamente, solo attraverso la rete.
Secondo episodio, un paio di giorni dopo: a pranzo con due sessantenni, che frequentano regolarmente la Messa domenicale, esce un discorso ecclesiale riguardo all’organizzazione della vita delle parrocchie in relazione al calo di vocazioni sacerdotali. Ebbene, nulla sapevano del Sinodo. Anche in questo caso una coppia-minoranza rispetto alla società, sicuramente analoga a tanti che frequentano ancora le parrocchie, non aveva ancora toccato, nemmeno alla lontana, la questione sinodale.
Terzo episodio: una Messa domenicale in zona milanese, nel giorno in cui anche nella diocesi ambrosiana (che festeggiava la dedicazione della Chiesa cattedrale) prendeva avvio il cammino sinodale. Al termine di una ‘normale’ celebrazione, un lettore legge ad alta voce la Preghiera del Sinodo. E la cosa finisce lì: senza spiegazione, senza informazione, senza che si comunicasse un ‘cammino sinodale’ in avvio nella chiesa particolare.
Quarto episodio: un’amica che partecipa al consiglio pastorale della sua comunità pastorale in Lombardia mi dice che non si è ancora parlato del Sinodo nei due incontri avvenuti a settembre e ottobre. Nessun cenno, se non un generico ‘lavorare insieme’ pronunciato dal parroco.
Credo che potrebbero essere fatti numerosi altri esempi su come il cammino sinodale fatichi molto ad arrivare alle parrocchie, non riesca a giungere al ‘fedele medio’, non sia all’ordine del giorno quotidiano. I motivi sono forse sempre gli stessi: disinteresse o paura del clero, scarsa partecipazione dei laici, difficoltà a gestire l’ordinario, bassa formazione culturale, limitata coscienza ecclesiale, dirigismo a vari livelli, confusione organizzativa. Indubbiamente ci sono cammini avviati; ma possiamo affermare, navigando in rete, osservando e leggendo le comunicazioni dal basso, che tali iniziative sono la minoranza?
Non possiamo non porci il problema: se non riusciamo a interessare, informare e coinvolgere i fedeli che frequentano le comunità cristiane, quando mai riusciremo a metterci in loro ascolto? E ancora (e soprattutto): come e quando riusciremo a porci in ascolto di chi non frequenta gli ambienti ecclesiali e che il Papa, giustamente, indica pure come evangelizzatori? Domande che dovrebbero togliere il sonno, tra uno slogan e l’altro, a quanti stanno guidando la macchina ecclesiale. Domande che dovrebbero inquietare, smuovere, far mordere la coscienza. Domande che dovrebbero soffocare sul nascere sterili polemiche di alcuni vescovi indispettiti dal ‘magistero dei blog’, per mettersi invece a ragionare con chi già sta sulla frontiera su come e quando muovere cammini sinodali in ogni comunità.
Perché, davvero, il rischio che il Sinodo sia l’ennesima occasione persa e ridotta a ‘parole d’ordine’ è altissimo. E non possiamo permetterci di ‘perdere’, ancora una volta, il kairos.
Sergio Di Benedetto