Il testo della ‘Lectio’ di Annapaola e Mauro per introdurci nella Settimana santa

Giovedì 22 marzo, abbiamo concluso il nostro percorso di meditazione sui testi domenicali di questo tempo quaresimale.
Siamo oramai pronti per entrare nella Grande Settimana per lasciarci coinvolgere nei racconti e nelle celebrazioni della Passione del Signore. Ringraziamo Dio che, seppur con fatica, ci ha sostenuto nella nostra ‘salita’ verso Gerusalemme.
Forse arriviamo stanchi e forse anche delusi di noi stessi ma la voce dello Spirito sussurra interiormente che Dio è più grande del nostro cuore che ci accusa eventuali infedeltà e inadempienze.

Grazie a Mauro e Annapaola per la loro riflessione che pubblichiamo di seguito. Grazie per la loro testimonianza di Chiesa come casa domestica, il vero Tempio dove la fede può rigenerarsi ed estendersi.

Commento a Mc 11, 1-10

Il brano precede il racconto della passione, centro della celebrazione di domenica e apice del Vangelo di Marco.

L’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme non è il trionfo di Cristo. Appare più come un enorme equivoco!
Il popolo attende da tempo il messia della tradizione, un condottiero violento e vendicativo, che con la spada e il suo potente esercito farà strage di nemici, libererà Israele dal dominio straniero e gli sottometterà tutti i popoli. Ma Gesù è decisamente lontano da questo modello. È un messia fuori dalle righe, che predica di amare i propri nemici e perdonare fino a “settanta volte sette”, non ha armi né esercito, anzi, cavalca un umile asinello che non è neppure in suo possesso, lo ha preso in prestito: ”il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”. Eppure la folla non riesce a cogliere queste differenze. Come mai?
Quando per tutta la vita ascolti i racconti e gli insegnamenti della tradizione, ti si scolpiscono dentro immagini indelebili e sviluppi delle credenze che si radicano nel profondo. Il pensiero dominante, quando vivi nel villaggio, da forma alle tue aspettative e
al modo con cui guardi il mondo. Queste credenze e aspettative, talvolta diventano più forti dell’evidenza stessa e rendono incapaci di riconoscere la realtà, di accogliere la novità.

La stessa cosa non potrebbe succedere oggi anche a noi?
Il contesto culturale in cui siamo immersi, l’istruzione ricevuta, il catechismo, l’educazione appresa in famiglia… tutte queste cose hanno dato forma a ciò che siamo, al nostro modo di guardare il mondo e anche alla nostra conoscenza di Gesù.

Siamo sicuri di conoscere Gesù? Di riconoscerlo nell’altro?
La folla non riconosce Gesù e infatti non acclama lui, acclama il proprio messia, quello che risponde alle proprie aspettative e ai propri bisogni. È facile esaltarsi con chi dispensa pani e pesci, guarisce i malati, scaccia i demoni. Gesù viene portato in trionfo, non è lui ad aprire il cammino e ad essere seguito, non è lui a condurre, ma è la folla, che lo precede e lo segue a condurlo. Gesù viene “messo in mezzo”, e si trova come incastrato, imprigionato nella concezione del messia della tradizione. La folla non grida all’avvento del Regno di Dio annunciato da Gesù, ma grida “Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide!

E noi quale regno attendiamo? Quale aspettativa ci entusiasma? La venuta del Regno di Dio o la venuta del regno mio?
Non è che anche noi attendiamo un altro regno? Il regno di Davide, o forse di Mauro, di Anna Paola, di Sandro…un regno ad
immagine e somiglianza delle nostre credenze, o addirittura del nostro ego!

Abbiamo visto che la folla non segue Gesù. In effetti quella della folla sembra più un’infatuazione, qualcosa destinato a passare velocemente. Quante volte anche noi ci invaghiamo di qualcuno o ci esaltiamo per qualcosa che accende il nostro interesse, che risponde ai nostri bisogni del momento: “Quel prete è proprio bravo, non come il nostro parroco…”. “Quello sì che è un uomo interessante, intelligente, bello, non come mio marito…” e lo stesso esempio si potrebbe fare con la moglie. “Quel movimento, quel gruppo di preghiera sì che trasmette entusiasmo, non come il gruppo di cui faccio parte, non come la gente che incontro in parrocchia…”.
Spesso però, dopo una frequentazione o una conoscenza più approfondita, ci rendiamo conto di esserci illusi, di aver lavorato di immaginazione, di aver proiettato su qualcuno o qualcosa le nostre aspettative. L’esperienza ci insegna che un matrimonio non può basarsi su un innamoramento. È necessario decidere di amare il nostro compagno ogni giorno, sceglierlo per tutta la vita.
A volte si dice per qualcuno che si è innamorato che “ha preso una sbandata”… ecco, anche la nostra storia con Gesù rischia di essere una sbandata, se non lo riconosciamo per ciò che è e scegliamo di amarlo.

Ma chi è Gesù?
Tutto il vangelo di Marco è attraversato da questo interrogativo. La folla l’ha scambiato per il liberatore di Israele e molti gli stendevano davanti il mantello, un gesto che significa sottomissione al proprio sovrano. Un gesto comprensibile nella
relazione tra dominato e dominatore. Ma quella di Gesù non è una signoria di dominio, è una signoria di servizio. Cristo non è venuto per farci sudditi, ma fratelli! Come avviene con l’asinello, l’incontro autentico con Cristo scioglie i lacci e laccioli che ci
tengono legati ai muri della tradizione e delle certezze consolidate. Ma non tutti siamo pronti a rispondere a questa chiamata alla libertà che ci fa Gesù. La libertà costa fatica, richiede responsabilità, ha bisogno di tanto lavoro, innanzitutto su se stessi. Tanti, anche tra noi cristiani, sembrano avere bisogno di un padrone da cui dipendere, si sentono smarriti senza qualcuno a cui stendere il mantello.

Allora domandiamoci: io a chi stendo il mantello? A quale signore tendo a sottomettermi? Cosa domina il mio tempo, le mie relazioni, la mia vita? E quelli dei nostri figli? Dei nostri nipoti? Sono tanti gli idoli a cui ci sottomettiamo: pensiamo al potere che diamo al cellulare. Ci sta rubando il tempo. C’è il serio rischio di non essere i protagonisti della nostra vita, ma spettatori passivi. Pensiamo al lavoro: lavorare per vivere, non vivere per lavorare! Anche il lavoro può trasformarsi in un idolo che ci ruba la vita e la toglie alle relazioni, agli affetti, alla cura di noi stessi e degli altri.

La dinamica del dominio è una dinamica violenta e l’oppresso ci mette poco a diventare oppressore. Così dopo pochi giorni la folla passa dal gridare “Osanna!” a gridare “Crocifiggilo!”.

Ma perché la folla gli si rivolta contro? Quando Gesù viene arrestato la folla realizza di non trovarsi davanti al potente re-messia
tanto atteso, rifiuta la nuova via aperta dal vero Salvatore e ritorna sulla strada della violenza. Per questo sceglie Barabba, un terrorista, si direbbe oggi. La folla diventa rabbiosa contro Gesù, perché delusa nelle proprie aspettative.

Rabbia e delusione… forse sono le stesse emozioni che proviamo anche noi quando il cammino si fa arduo, davanti alle difficoltà, quando le cose non vanno “per il verso giusto”, ma giusto per chi?

Come è successo a Pietro, nella nostra relazione con Gesù si alternano momenti di luce e di oscurità.

Pensiamo a quante volte anche noi lo abbiamo rinnegato. In quali circostanze? Con quale atteggiamento o comportamento?
Nella fatica di Pietro a seguire Gesù, noi riconosciamo anche la fatica della vita di coppia. “Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò” promette Pietro a Gesù. “Prometto di esserti fedele sempre” ci diciamo nel giorno del matrimonio. Però, nel succedersi degli eventi della passione, Pietro si dimostra incapace di restare con Gesù, di vegliare e pregare con lui. E si smarrisce, inciampa, si scandalizza e infine prende le distanze sino a rinnegarlo ripetutamente “Non conosco quell’uomo che voi dite”. Ma cos’è che separa Pietro da Gesù? Forse è proprio la delusione davanti al tradimento delle aspettative, la paura di non aver scelto la strada giusta, la persona giusta, lo sconforto del grande fallimento, di aver sbagliato tutto! Anche gli apostoli hanno una grande aspettativa, si attendono un Messia vittorioso, quello acclamato dalla folla al suo ingresso trionfale a Gerusalemme, invece Gesù dice loro “Tutti rimarrete scandalizzati…” e nel Getsemani li mette in guardia: “Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. È la stessa tentazione che allontana il marito dalla moglie o la moglie dal marito: “non conosco quell’uomo, non ri-conosco quella donna che ho sposato!”.
Quante volte abbiamo sentito questa frase, da amici, da conoscenti, quanti matrimoni abbiamo visto finire proprio da qui!

Non dobbiamo però cadere nella tentazione dello scoraggiamento. Dobbiamo saper accogliere anche la nostra fragilità.

San Paolo, nella seconda lettera a Timoteo, ci ricorda che se anche noi siamo infedeli, “lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso.”

E infatti, mentre Pietro lo rinnega, Gesù, interpellato dal sommo sacerdote, non ha paura di attestare la verità della sua missione, della sua vera identità, anche se questo gli costerà la vita! “Sei tu il Cristo, il figlio di Dio benedetto?”

“Io lo sono” risponde Gesù, e così salirà sulla croce e ci morirà. Gesù non scende dalla croce con potenza, per annientare i suoi nemici, perché anche loro sono figli del Padre. Il Figlio resta fedele al Padre e il padre rimane fedele all’amore
incondizionato per i suoi figli, per ognuno di noi. Davanti a questa fedeltà, davanti a questo corpo, offerto per noi, invochiamo la luce per arrivare a riconoscere, con la nostra vita, che: “Davvero quest’uomo era figlio di Dio!”

Domande per la riflessione:

  • Siamo sicuri di conoscere Gesù? Di riconoscerlo nell’altro?
  • Chi è Gesù per me?
  • Quale regno attendiamo? Quale aspettativa ci entusiasma?
  • A chi stendo il mantello? A quale signore tendo a sottomettermi?
  • Cosa domina il mio tempo, le mie relazioni, la mia vita?
  • In quali circostanze, con quali atteggiamenti o comportamenti rinneghiamo Gesù?