Quanto sono amabili
le tue dimore,
Signore degli eserciti!
L’anima mia languisce
e brama gli atri
del Signore.
Il mio cuore
e la mia carne
esultano nel
Dio vivente.
Sal 83, 2-3
In questi ultimi mesi, la Chiesa diocesana ha celebrato l’ultima Pasqua di alcuni confratelli presbiteri: don Graziano Orro, don Carlo Pisu, don Antioco Ledda e, infine don Salvatore Brai, mio ex parroco.
Questi presbiteri, sono state significative figure di riferimento, servendo la Chiesa diocesana con i carismi ricevuti in dono dallo Spirito. Hanno esercitato il loro ministero negli anni del post Concilio e, la loro sensibilità pastorale, spiccatamente liturgica, ha arricchito la Chiesa diocesana. Il loro ministero è stato caratterizzato da grande coraggio, passione e intraprendenza.
Ho avuto modo di conoscerli tutti da vicino, prima da seminarista e poi da giovane prete. Erano anni in cui la vivacità ecclesiale veniva espressa anche attraverso quelle sane tensioni che, oltre a manifestare un autentico e costruttivo spirito critico, rivelavano il desiderio appassionato di una Chiesa viva, capace di rendere ragione della fede, in un contesto culturale che già manifestava gli scenari problematici che stiamo vivendo. Con alcuni di loro ho avuto modo di condividere una relazione costruttiva e arricchente il mio essere prete.
Sono fiero e grato a Dio di averli conosciuti.
Ma è su don Salvatore Brai che voglio soffermarmi, nella grata memoria di ciò che mi ha trasmesso con la sua mitezza e passione pastorale, su diversi ambiti della vita parrocchiale.
Don salvatore è morto all’età di 85 a Oristano lo scorso 21 agosto, a seguito delle conseguenze di un incidente stradale e dopo qualche mese di ricovero presso una struttura di riposo.
Il tempo della sua degenza presso il centro di Santa Maria Bambina a Donigala, è stato vissuto da Lui con una sofferenza prima di tutto interiore.
Nel 1995 ha iniziato il suo ministero nelle Parrocchie di Tramatza e Bauladu, anno in cui esercitavo a San Vero Milis il ministero diaconale. Mi ha accompagnato all’ordinazione presbiterale (nel 1996) con discrezione e delicatezza, preparando la Comunità a vivere questo momento con un significato autenticamente ecclesiale. Don Salvatore era succeduto a don Gianfranco Murru, due personalità totalmente diverse ma animate da una passione pastorale che, grazie al buon senso di entrambi, hanno edificato le Comunità affidategli.
E’ stato bello vedere in don Salvatore come sia riuscito, con profondo rispetto per chi lo aveva preceduto, mantenere ciò che di bello aveva trovato in Parrocchia e integrare tutto ciò che di buono lui stesso riconosceva non avere.
E’ stata edificante la testimonianza della Comunità di Tramatza che nonostante qualche variazione nell’impostazione pastorale di don Salvatore, ha perseverato nella collaborazione pastorale. I collaboratori di don Gianfranco sono stati poi collaboratori di don Salvatore. Riconosceva a don Gianfranco il coraggio di una radicale impostazione pastorale più fedele alle istanze conciliari, in tutti i settori della vita parrocchiale: nella liturgia, nella catechesi, nella gestione economica, nella vita dei gruppi e nell’associazionismo parrocchiale, e nella cura degli immobili, come pure la doverosa attenzione e custodia dei Beni Culturali.
Don Salvatore, si è inserito con delicatezza nei solchi di una Comunità, nel pieno rispetto di chi lo aveva preceduto ma anche col coraggio di adottare decisioni che potessero giovare alla Comunità secondo una sua sensibilità.
La mitezza di don Salvatore non ha mai oscurato le sue profonde convinzioni, talora con una certa ostinazione e ruvidità caratteriale, che lo portava spesso, ripetutamente, a richiamare, in modo deciso anche noi preti in relazione ad alcuni importanti impegni che spesso venivano trascurati nella conduzione della vita parrocchiale.
Personalità semplice, che manifestava la felicità del suo essere prete in diversi modi.
Sono testimone di come don Salvatore abbia vissuto una povertà evangelica, nella condivisione di tutto sé stesso con le Comunità affidategli. Discretamente vicino a quelle situazioni di povertà, quelle vere, che si è tentati di nascondere, specialmente nei piccoli paesi.
Appassionato dello spirito della liturgia e poco incline invece alla teatralità liturgica, che rifuggiva con convinzione, più attento ai significati di ogni azione liturgica che all’esecuzione formale delle rubriche. Quando concelebravo con don Salvatore, nella mia parrocchia di origine, mi colpiva la grande attenzione di don Salvatore per l’attenzione che riservava ai momenti di silenzio, in particolare subito dopo il preghiamo, prima della colletta. Il suo invito alla preghiera, nel tono e nei gesti. era espressivo di una preghiera silenziosa che, dopo la significativa pausa di silenzio, raccoglieva nella preghiera liturgica, chiamata appunto colletta.
La processione di ingresso alla celebrazione era espressione di un vero e proprio procedere orante verso l’altare, centro della preghiera liturgica. Non utilizzava mai la porta del presbiterio collegata alla sacrestia, ma anche nelle messe feriali, ripeteva questo gesto processionale con compostezza e raccoglimento, solennità e semplicità allo stesso tempo.
La prassi di consacrare sempre il pane fresco per la liturgia rispetto alla prassi, purtroppo frequente, di far ricorso al pane consacrato custodito nel tabernacolo. La sua attenzione alla cura delle suppellettili e ai vasi sacri.
Giustamente, nel suo necrologio funerario è stata messa in evidenza la sensibilità liturgia di don Salvatore per il canto liturgico, specialmente, nell’accompagnamento musicale del ritornello del salmo responsoriale. In assenza di un cantore lui stesso intonava il ritornello e, un secondo lettore, mai lo stesso che aveva proclamato la prima lettura, leggeva le strofe del salmo.
In questo modo don Salvatore, metteva giustamente in risalto la struttura dialogica della Liturgia della Parola che, nella preghiera (intesa come ascolto) l’iniziativa è sempre di Dio che parla al suo Popolo, il quale, attraverso il salmo responsoriale, risponde a Dio con la gioiosa esultanza del canto e della lode. Confrontandomi con don Paolo Ghiani, che ha conosciuto don Salvatore, prima di me, mi ha condiviso che, negli anni 1980, quando erano parroci in Barbagia, il dialogo, la collaborazione e l’aiuto reciproco era molto intenso fra tutti i preti della forania e don Salvatore era sempre in prima linea nella riflessione e nell’azione pastorale. A puro titolo di esempio mi diceva del grande lavoro fatto per dotare tutte le parrocchie della Barbagia di un Repertorio Foraniale di Canti. Da notare che, in quegli anni, di Repertorio Nazionale o Diocesano ancora nessuno ne parlava, ma grazie al suo impulso e al suo impegno e alla sua lungimiranza, con la collaborazione di tutti si riuscì nell’impresa, scegliendo per il canto liturgico il meglio che in quegli anni era a disposizione. Fare al ciclostile centinaia di libretti per tutte le parrocchie fu un’impresa memorabile.
Un altro campo di studio, ricerca e poi anche operativo di don Salvatore fu quello riguardante l’adeguamento delle chiese secondo le direttive della riforma conciliare. Non era mosso dal gusto personale del cambiamento, ma dalla necessità di essere fedele al magistero conciliare per favorire la piena partecipazione dell’assemblea liturgica alle sacre celebrazioni per riceverne maggior frutto. Altro aspetto che molti preti hanno notato in don Salvatore, la sua discrezione e buon senso nel non interferire nella linea pastorale dei parroci; conservò con le comunità in cui aveva svolto il suo ministero un rapporto di fraterno affetto e gratitudine.
Ricordo, da studente, che il mio insegnate di liturgia quando, mi chiese informazioni di don Salvatore e di altri preti della diocesi che, iscritti all’Associazione Professori di Liturgia (APL), partecipavano ogni anno alle settimane di aggiornamento liturgico. Don Salvatore, già in quegli anni seguiva costantemente le pubblicazioni a carattere liturgico e pastorale e dedicava parte del suo tempo all’aggiornamento e allo studio personale.
Senza dilungarmi oltre, concludo questa mia testimonianza, ponendo in risalto la ricchezza e autenticità umana di don Salvatore. L’esempio più alto di questa solidità umana e spirituale lo ha trasmesso a noi preti, prendendosi carico di don Ernesto Zireddu, un presbitero anziano e infermo, e condividendo con lui la fase conclusiva dell’esistenza. Tutto questo senza interesse alcuno, ma mosso solamente dal desiderio di una fraternità autentica e gioiosa.
Questa bella umanità, don Salvatore la esprimeva attraverso sane passioni come la fotografia, la musica e quell’insopprimibile bisogno di relazioni autentiche, quale presupposto fondamentale per una testimonianza evangelica a servizio dell’umanità. Rifuggiva da chiacchiere e pettegolezzi con una franchezza che lo caratterizzava in ogni contesto pastorale. Nei suoi primi anni di ministero, don Salvatore aveva escluso la possibilità di vivere da solo, ma aveva optato per una camera avuta in affitto, presso una famiglia della stessa parrocchia dove esercitava il suo ministero sacerdotale.
Grazie don Salvatore per tutto questo, grazie per l’eredità spirituale che ci hai lasciato. La Chiesa diocesana ti ricorda con gratitudine e con affetto. Siamo certi della tua opera di intercessione che sostiene il nostro pellegrinaggio nell’attesa del nostro rincontrarci in Dio. Questa è la certezza che sostiene la nostra fede e la nostra attesa.
don Alessandro Enna