Prendiamo spunto da un’indagine dell’Ufficio Catechistico della diocesi di Bergamo, presentato all’ultimo convegno diocesano dei catechisti (22 settembre).I numeri sono importanti. All’indagine hanno risposto 209 parrocchie su 389, 25.000 gli iscritti ai percorsi di Iniziazione Cristiana, 2.818 i catechisti.
Negli ultimi vent’anni la Chiesa italiana si è impegnata sul fronte del rinnovamento della catechesi, distinguendosi nell’ambito europeo per aver promosso un lungo cammino di ricerca e di sperimentazione, che ha interessato diocesi e parrocchie, coinvolgendo le conferenze episcopali regionali. Il lavoro è confluito in “Incontriamo Gesù”, approvato dall’Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana nel maggio del 2014.
La spinta di Incontriamo Gesù
“Incontriamo Gesù” ha offerto un quadro di sintesi utile, lasciando però aperte alcune questioni, con la volontà di promuovere un ulteriore approfondimento. Questo ha preso il via mediante un confronto promosso dall’Ufficio Catechistico Nazionale il 12 ottobre 2022 con i direttori degli Uffici catechistici diocesani e le loro équipes. Oltre 200 i partecipanti on line. Nei prossimi mesi si raccoglieranno gli sviluppi che la proposta ha favorito.
Possiamo però dire che, dai lavori intrapresi dalle diverse diocesi, emergono con chiarezza dei punti di forza: catechesi esperienziale, catechesi come itinerario, “processo globale”, linguaggio comune. Vengono segnalati anche qualche positivo impegno per il coinvolgimento dei genitori. Risultano nodi problematici come la partecipazione alla messa domenicale, la partecipazione con riserva agli incontri di catechesi, la catechesi scolastica.
Il dato della partecipazione tuttavia continua ad essere molto alto e può portare, per un verso, a soprassedere al compito del rinnovamento. Diverse situazioni pastorali risultano onerose per i preti, con l’effetto di un’eccessiva delega della progettazione della catechesi in mano a catechisti non sempre adeguatamente formati.
Per alcuni vi è poi l’idea che non sia più tempo per una proposta rivolta ai bambini e ai ragazzi e sia più opportuno orientare le poche energie a disposizione su altri soggetti e altre forme di evangelizzazione.
Sempre si parla di formazione ma…
L’indagine della diocesi di Bergamo riesce a dirci qualcosa in merito al tipo di formazione messa in campo per i catechisti dell’IC. Il 66,7% si affida alla formazione parrocchiale, ma una buona percentuale, 28,1%, dice che viene lasciata all’iniziativa di ciascuno. Lo stesso si verifica a livello di strumenti per la preparazione dove ognuno cerca da sé (56,9%).
Una rinnovata catechesi necessita di rinnovati catechisti. Ben inteso, si tratta di trovare e fare proprio un possibile punto di equilibrio tra la necessità di cambiamento e la realtà oggettiva delle comunità chiamate a servire e ad accompagnare le persone in questo tempo.
È il momento di promuovere una nuova generazione di catechisti, che non siano solo “maestri di dottrina”, ma capaci di far interagire le voci dei diversi soggetti interessati: ragazzi, famiglie, comunità.
La nostra indagine di riferimento non fa cenno alla formazione del clero, ma mi spingo a sostenere che rimane un punto dolente. Si intuisce, senza fatica, che la mancanza di questo tassello ha comportato diverse problematiche anche dentro le sperimentazioni in atto, trascurando adeguate programmazioni e una reale conversione pastorale legata alla comunità in chiave missionaria.
A differenza dei catechisti, i preti non sempre intravvedono i vantaggi di un rinnovamento generato anche dalla catechesi in atto, perché sempre meno risultano coinvolti nella catechesi dell’IC, al di là della programmazione legata soprattutto alle tappe sacramentali e agli incontri per genitori.
Frequenza, criteri di divisione e sacramenti
Circa la frequenza, si rimane per il 72% dei rispondenti all’ora settimanale, un 23% scivola sull’ora e mezza ogni due settimane. I tempi ristretti di incontro dicono che non si è completamente passati da una lezione frontale a un incontro che tiene maggiormente conto dei destinatari e delle loro capacità di accoglienza e di elaborazione di quanto proposto.
Si tratta non solo di apprendere degli insegnamenti, ma di fare esperienze. La proposta di fede deve diventare qualcosa di attraente, capace di stabilire un approdo nella terra del proprio interlocutore, senza presumere il suo interesse e la sua attenzione. Il messaggio per essere accolto deve suscitare una certa sorpresa, esercitare un fascino che incuriosisca l’interlocutore e susciti interesse. Il racconto biblico, il gioco, l’immagine, un oggetto aprono alla risposta e alla sorpresa.
Di fronte ad una informazione che oggi è basata su micro messaggi, questo passaggio metodologico risulta importante per educare al gusto della ricerca, premiando e valorizzando lo sforzo dell’apprendimento.
I gruppi sono strutturati secondo l’età anagrafica per l’85,5% e stessa percentuale si riscontra per la celebrazione dei sacramenti, che avviene durante una classe scolastica: ad esempio, 4ª elementare per la comunione e 2ª media per la cresima.
La scansione della catechesi dice della fatica di immaginare il tempo della gente non più ritmato a partire da una dinamica religiosa univoca. Nella maggior parte dei casi è un errore partire dal presupposto che i ragazzi maturino tutti nello stesso tempo e abbiano gli stessi ritmi di crescita e di comprensione.
L’IC deve tener conto della graduale maturazione del ragazzo più che del calendario e dell’età. L’età anagrafica dice la tipicità di un’impostazione di cristianità condivisa che non è più così, se è vero che anche in diocesi di Bergamo un bambino su tre non viene battezzato. Anche questo dato deve spingere verso un’impostazione missionaria dell’evangelizzazione.
L’apporto della comunità
Questo valore della missionarietà è bene evidenziato dalla domanda sulle motivazioni che spingono a chiedere il battesimo tra i 6 e i 14 anni. Rispetto al 27,6% che dice di recuperare per motivi contingenti, è interessante notare come il 12,4% lo faccia per un incontro piacevole con la comunità o grazie alla riscoperta della fede da parte della famiglia (7,8%), oppure l’incontro con un testimone di fede (5,9%).
Di fatto, sempre da un adeguato coinvolgimento della comunità dipendono anche le scelte più audaci che riguardano, per esempio, la collocazione dei sacramenti, i quali rimangono nell’ordine più tradizionale. Sull’ordine dei sacramenti rimangono valide le riflessioni teologiche e le opportunità pastorali, per questo non è il caso di parteggiare per nessuna delle soluzioni.
Sta di fatto che, in alcuni casi, si sono avvicinate tra loro le scadenze sacramentali nella volontà di rispettare meglio l’unità. È però rimasta viva l’incoerenza tra la teoria – che indica l’eucaristia e l’inserimento nella comunità come punto di arrivo dell’IC – e la pratica che invece continua a proporre la cresima come ultimo dei sacramenti dell’IC, facendolo sembrare il punto di arrivo del cammino.
L’accompagnamento del clero richiederebbe un differente investimento, per evitare cortocircuiti che limitano le potenzialità della proposta e soprattutto per favorire il riconoscimento del valore generativo dell’IC per la comunità stessa, e quindi anche per il ministero del presbitero.
Al tempo del catecumenato sociologico, la parrocchia non aveva per sé il compito di generare alla fede, ma solo di nutrirla, curarla, renderla coerente. Quello che mancava era solo la dottrina per poter ricevere con coerenza i sacramenti, e l’ora settimanale di catechismo rispondeva a questo impianto.
Oggi si suppone, in una certa misura, che ogni parrocchia sia una comunità viva, capace di attenzione e di integrazione nei confronti dei ragazzi e delle famiglie. Ma forse non sono poche le realtà nelle quali si accusa una stanchezza pastorale, il ripiegamento nella sterile ripetizione di programmi e nell’offerta di servizi, con conseguente perdita della propria capacità generativa.
La stanca ripetitività
Qui ci viene a sostegno la nostra inchiesta, quando leggiamo che le attività principali che si fanno immediatamente prima o dopo gli incontri sono la preghiera in chiesa tutti insieme (44,4%) e la celebrazione della messa (43,1%). Si dà il caso che, in alcune situazioni, si celebrino due messe in contemporanea perché tutti possano partecipare.
Fa nascere qualche interrogativo il fatto che la partecipazione all’eucaristia, da punto di arrivo della maturazione del cammino si trasformi in un ostinato punto di partenza. Si perpetua la tanto discussa situazione nella quale si fa compiere ai bambini quello che gli adulti non fanno più: la partecipazione all’eucaristia domenicale, le confessioni, i momenti di ritiro.
Si rinuncia ad azioni evangelizzatrici generative. Il risultato è una proposta di iniziazione che investe pressoché tutto nel momento catechistico, quindi in una sola parte di ciò che caratterizza un itinerario di iniziazione. Non si investe la stessa energia nell’introduzione alla vita liturgica, all’esperienza di fraternità e all’esercizio della carità.
In altre parole, il processo di rinnovamento, pur partendo dalla preziosa intuizione della comunità come soggetto dell’IC, non ha avuto la forza o la possibilità sufficienti per attrarre dentro il processo anche altri soggetti con una responsabilità diretta, allo scopo di generare una vera iniziazione.
Lo spazio della famiglia
Nei progetti e nelle sperimentazioni si è fatto affidamento al coinvolgimento delle famiglie, e anche la nostra indagine non si esime dal considerare quale impatto e attenzione abbia avuto questo ambito.
Occorre riconoscere che, nella diocesi di Bergamo, non si è dato il via in modo strutturato a un ripensamento dell’IC, per cui verso la famiglia rimangono stabili le percentuali di iniziative che da sempre si mettono in atto. Troviamo allora: messa domenicale con attenzione alla famiglia 71,9%, riunione all’inizio del cammino 74,5%, riunioni negli anni dei sacramenti 61,4%. Percentuali più basse si riscontrano in catechesi alle famiglie (30,7%), con le famiglie (29,4%) nelle famiglie (13,7%).
Non esiste nulla a livello di percorsi di pastorale post-battesimale (58,9%), una celebrazione all’anno (32,7%); appoggio alle scuole dell’infanzia parrocchiale (20%).
Non vogliamo generalizzare, perché la nostra attenzione è concentrata su un territorio ristretto rispetto all’Italia. Questi dati – e le conoscenze che abbiamo di diverse realtà diocesane – dicono che il rapporto fra la comunità e le famiglie è debole e chiede di essere ulteriormente chiarito. Diversamente, un parroco o un catechista può essere tentato di ritirarsi dalla fatica del coinvolgimento delle famiglie e limitarsi a fare catechesi con i ragazzi.
Le percentuali riportate indicano, inoltre, il permanere della prassi diffusa delle conferenze tenute dal sacerdote a cui pochi genitori partecipano. È importante considerare il dato che il concetto di famiglia non è più univoco e chiede di tenere conto di un intreccio complesso di situazioni eterogenee.
Da quando il venire alla vita non coincide più con il venire alla fede, anche l’identificazione dei soggetti implicati nell’IC è meno scontata. Rimane indiscutibile il fatto che nessuno si dà la fede da sé stesso, ma che l’atto credente prende corpo solo dentro una rete feconda di relazioni. Si tratta di riconoscere se e in quale modo, oggi, sussista quel rapporto tra generazioni entro il quale normalmente si iscrive la trasmissione della fede.
L’epoca contemporanea presenta una progressiva disaffezione dalle istituzioni e da tutto ciò che viene presentato in forme istituzionalizzate. In tale contesto la fede pubblica conosce un processo di elaborazione personale che la rende tutt’altro che inutile o assente, ma così personale e intima da sembrare invisibile.
Rapporti non strutturati
Nelle principali esperienze rinnovate di IC, è costante l’attenzione alla partecipazione attiva dei genitori, per porre rimedio ad una riconosciuta mancanza di dialogo tra la famiglia e la comunità cristiana. Comunità e genitori rimangono sostanzialmente estranei nella prima fase della vita del bambino, dal battesimo all’iscrizione al catechismo.
Solo se la comunità accompagna l’evoluzione della famiglia, si realizza un incontro di interessi e di preoccupazioni, che a volte consente di riannodare i fili di un percorso interrotto dopo il matrimonio. Incontriamo Gesù sollecita a pensare i genitori cristiani come primi educatori alla fede «qualunque situazione essi vivano» (IG 28).
L’obiettivo del coinvolgimento delle famiglie non può essere quello di trasferire a loro l’incapacità delle comunità, quanto di avviare una collaborazione per ridare un ruolo attivo alla famiglia, attraverso modalità differenti e consone alle possibilità di ognuno.
Queste note dicono che c’è spazio per pensare la ministerialità del catechista e dare concretezza alle intuizioni che, in questi anni, sono maturate e poi messe da parte per mancanza di operatori preparati e per mancanza di costanza nel provare e riprovare a creare una tradizione con gradualità. La gradualità significa rispetto delle situazioni in atto, ma anche coraggio operativo, un passo chiama l’altro. Solo se si fa un passo, si può capire come e dove fare quello successivo.
Il percorso rimane aperto e le prospettive ricche di promesse.
Rinaldo Paganelli