La spiritualità dei baci…

Baciarlo, lasciarsi baciare, baciarsi, lasciando che le “tastiere” dei sensi lascino risuonare «nitide melodie d’altrove»

Tu non mi hai dato neanche un bacio» (Lc 7,45). Nel racconto di Luca Gesù non solo difende la donna, ma sembra non aver atteso altro che quel gesto per manifestare al padrone di casa la sua delusione per non aver ricevuto da lui neanche un bacio, da quando è entrato in casa.

Ci sono altre pagine del Vangelo dove emerge con una certa chiarezza l’importanza che Gesù attribuisce ai baci e, in qualche modo, il suo desiderio di baci. Anzitutto, nella nota parabola, il Padre misericordioso «gli si gettò al collo e lo baciò» (Lc 15, 20). E che per Gesù il bacio fosse qualcosa di importante lo testimonia anche lo stupore amaro e triste con cui si rivolge a Giuda, quando arriva a tradirlo col segnale concordato con i soldati (Mt 26, 49; Mc 14, 45): «Con un bacio tradisci il figlio dell’uomo?» (Lc 22, 48).

Pur senza voler arrischiarci in indagini o ricostruzioni psicologiche sempre audaci, si può forse almeno immaginare che una persona che mostra la sua tristezza per non aver ricevuto neanche un bacio, che difende il gesto scandaloso di una donna che non stacca le labbra da lui, che quando pensa all’affetto di un padre lo immagina mentre si getta al collo del figlio e lo bacia, che è ferito quando lo si tradisce proprio con un bacio, è una persona che è cresciuta in un contesto familiare in cui i baci non sono mancati.

Esiste una spiritualità dei baci che, direttamente dal Vangelo, si innerva nella liturgia, nella pietà popolare, e nella mistica cristiana, che solo il freddo razionalismo dei tempi più recenti ha liquidato con superficialità. Un cantore recente di questa spiritualità dei baci è stato, tra gli altri, David Maria Turoldo:  «Tu stai lontano al di là della luce mentre io ho bisogno di toccarti e baciarti sulle labbra» (O sensi miei…, ed. 2017, 230); «E furono anzi le nostri mani, le nostre labbra, che ne hanno consumato il cadavere, a ridarGli la vita» (51); «È con il bacio che Egli il suo respiro di nuovo si prende […] E tu hai solo una scelta: aspirare il suo alito con la stessa passione…» (La sublime allegoria, in Canti ultimi).

Il bacio è quanto più esprime un’intimità che tiene in sé sia la parte sensuale ed erotica del desiderio che quella limpidamente affettuosa di un amore. È significativa l’esperienza comune una certa resistenza a lasciarsi andare a baci nel contesto di un incontro occasionale. Forse anche perché è proprio l’impiego della lingua a permettere simbolicamente l’accesso ad un alfabeto nuovo, condiviso: permette l’accesso alla lingua dell’altro – intesa non solo come dato anatomico ma come canone espressivo da decifrare. (Si legga, ad esempio: M. Recalcati, Mantieni il bacio. Lezioni brevi sull’amore).

È possibile quest’esperienza nella relazione con il Signore Gesù? L’importanza che Egli dà ai baci nella trama del Vangelo sembra anzitutto rassicurarci di questo, e liberarci dalla paura opposta: sì, è possibile. Sarebbe piuttosto riduttivo, infatti, credere che «i baci della sua bocca» che i mistici desiderano e sperimentano siano semplicemente delle allegorie o dei simbolismi. La mistica è tutt’altro che allegoria: è esperienza viva. Di baci veri, dunque, si tratta, anche se, almeno il più delle volte, impressi nella dimensione dell’anima, e non in quella fisica – il che non ne diminuisce la realtà, di cui il dato fisico è soltanto la parte visibile.

Una spiritualità dei baci può avere tre momenti: baciarlo; lasciarsi baciare; baciarsi. Baciarlo, anzitutto; partendo dal dato certo evangelico per cui Egli desidera il nostro bacio, tanto da far pesare a Simone il fariseo di non avergliene dato neanche uno, da quanto è entrato in casa sua. Se Ignazio di Loyola, nell’applicazione dei sensi dei suoi Esercizi Spirituali, suggerisce di «toccare con il tatto, per esempio abbracciare e baciare i luoghi» (Esercizi, 125), a maggior ragione si potrà abbracciare e baciare direttamente l’Amato del nostro cuore (Ct 3,2).

Se dovesse sorgere il timore che si possa inclinare verso forme non opportune di erotismo, questo va ordinariamente letto come uno scrupolo, interiorizzato dall’ambiente radicalmente sessuofobo in cui ancora siamo immersi, e sintomo di una incompleta integrazione tra le diverse parti dell’ “io”, di cui il Nemico si serve per creare ancora un diaframma tra noi e il Signore Gesù. Se altri avessero dato ascolto a questo scrupolo, oggi non avremmo il Cantico dei Cantici, né i testi di Giovanni della Croce, né tanti altri vertici della spiritualità mistica.

Vale la pena di notare che la liturgia – molto più esperta di umanità di quanto non si possa credere –, prescrivendo nelle sue rubriche il bacio all’altare e all’Evangeliario, ci suggerisce che, in alcuni tornanti della vita spirituale, può avere senso e può essere di aiuto anche un’esperienza fisica, materiale, di bacio. La vita affettiva di fede può essere educata da piccoli gesti per così dire pedagogici.

Oltre a baciarlo, lasciarsi baciare da Lui, partendo anche qui dal Suo desiderio cui arrendersi. È suggestivo, da questo punto di vista, la descrizione del crocifisso che fa uno pseudo-Agostino in realtà del XIII secolo: «Guarda le ferite del suo corpo appeso: ha la testa china, per baciare – caput inclinatum ad osculandum; ha il cuore aperto, per amare; ha la braccia allargate, per abbracciare».

Lasciarsi baciare da Lui significa ricevere in noi il Suo alito, il Suo spirito. Quando il Risorto appare nel cenacolo e comunica lo Spirito Santo, nel racconto di Giovanni, ἐνεφύσησεν (enefùsesen), nella Vulgata latina «insufflavit»: è importante il suffisso originario, ἐν – in (Gv 20, 22). Non è un soffiare nel vuoto, non è un alitare indistinto: è un soffiare in. Come in un bacio, in cui i due amanti si scambiano l’alito a vicenda, pur tuttavia restando due persone distinte.

Il dono del Suo Spirito, come in un bacio, ci riempie di Sé, del Suo alito vitale, del Suo respiro, ma non ci distrugge: ci lascia individui nella nostra libertà di figli. Così, il Suo Spirito, primo bacio del Risorto, realizza in noi quello che Pedro Salinas racconta dei baci con la donna di cui è innamorato: «I baci che tu mi dai sono sempre redenzioni: tu baci verso l’alto e qualcosa di me porti a luce, costretto prima nel fondo oscuro» (P. Salinas, La voce a te dovuta, XLV).

Dopo averlo baciato ed essersi lasciati baciare, baciarsi, nell’unione che Egli per primo desidera. Di molti baci ricordiamo il sapore dell’altro, o il calore delle labbra. Di Francesco d’Assisi ci raccontano che «ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e deglutire tutta la dolcezza di quella parola» (Tommaso da Celano, Vita prima, 86). Nessuno ci autorizza a credere che quello fosse un gesto teatrale, poco più che una messa in scena: la semplicità dell’esperienza di Francesco ci porta piuttosto a ritenere che egli davvero – in quella dimensione mistica in cui anche i sensi servono alla vita dell’anima – trovasse sulle sue labbra la dolcezza lasciatagli dal nome dell’Amato. Quanto più il Suo sapore sarà sulle nostre labbra, dopo averlo baciato ed esserci lasciati baciare da Lui.

Davide Maria Montagna, poeta e frate servita del secolo scorso, scriveva nel 1997 nella premessa ad una sua raccolta: «Quella dell’eros è la parabola più universale che svela il Sogno di Dio, di cui è intrisa tutta la creazione. Le “tastiere” dei sensi lascino finalmente risuonare, pur quando sono appena sfiorate, nitide melodie d’altrove. Sono le carezze nascoste e lievi, che rendono luminose le stelle ed anche il cuore segreto di ogni orante. Nella complicità del silenzio» (oggi in D.M. Montagna, Stupore).

In questa complicità, ognuno può sfiorare le tastiere dei sensi, tessendo la sua persona spiritualità dei baci. Perché un giorno non arrivi anche a noi il rimprovero del Maestro: «Non mi hai dato neanche un bacio…».

Luigi Testa