Lo Spirito Santo rinnova la faccia della terra: la proposta del sal 102

Per interiorizzare la Parola

1Benedici il Signore, o mio essere,
Signore mio Dio, sei molto grande!
Sei vestito di maestà e di splendore.
2 Sei avvolto di luce come di un manto,
distendi i cieli come una tenda,
3 costruisci sulle acque le tue alte dimore,
fai delle nubi il tuo carro,
cammini sulle ali del vento,
4 fai dei venti i tuoi messaggeri,
delle fiamme dei lampi i tuoi ministri.
5 Hai fondato la terra sulle sue basi,
non vacillerà mai, in eterno.
6 L’hai coperta dell’abisso come di un manto,
fin sopra i monti si levavano le acque,
7 ma alla tua minaccia sono fuggite,
alla voce del tuo tuono si sono dileguate.
8 Sono salite sui monti, sono discese nelle valli
verso il luogo che avevi stabilito per loro:
9 hai posto loro un limite invalicabile,
perché non tornino a coprire la terra.
10 Da sorgenti fai scaturire torrenti
che scorrono tra i monti,
11 ne bevono tutte le bestie della campagna:
gli asini selvatici estinguono la loro sete,
12 sopra di essi dimorano gli uccelli del cielo,
tra le fronde emettono la loro voce.
13 Dalle tue alte dimore irrighi i monti,
con il frutto delle tue opere si sazia la terra.
14 Fai germogliare l’erba per il bestiame,
le piante verdi che l’uomo coltiva,
per fare uscire il pane dalla terra,
15 il vino che rallegra il cuore dell’uomo,
l’olio che fa brillare il suo volto,
il pane che sostiene il cuore dell’uomo.
16 Si saziano gli alberi del Signore.
i cedri del Libano che egli ha piantato.
17 Là gli uccelli fanno il nido,
la cicogna sui cipressi ha la sua casa,
18 gli alti monti sono per i camosci,
le rocce un rifugio per gli iraci.
19 Hai fatto la luna per segnare i tempi,
il sole che conosce il suo tramonto:
20 stendi la tenebra ed è notte,
in essa brulicano tutte le bestie della foresta.
21 I leoncelli ruggiscono verso la preda,
reclamando da Dio il loro cibo.
22 Quando sorge il sole si ritirano
e si accovacciano nelle loro tane.
23 Allora esce l’uomo per il suo lavoro,
per la sua fatica fino a sera.
24 Quanto numerose le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con sapienza,
la terra è piena delle tue creature.
25 Ecco il mare vasto e dalle grandi mani:
là un brulichio senza numero
di animali piccoli e grandi;
26 là passano le navi e il Leviatan,
che hai plasmato per giocare con lui.
27 Tutti, rivolti a te, attendono
che tu dia loro da mangiare a suo tempo:
28 tu glielo doni, lo raccolgono,
apri la tua mano, si saziano di beni.
29 Se nascondi il tuo volto, si spaventano,
se riprendi il loro soffio, periscono
e ritornano alla loro polvere.
30 Se mandi il tuo Soffio, sono creati
e rinnovi la faccia della terra.
31 Sia gloria al Signore per sempre,
gioisca il Signore nelle sue opere:
32 guarda la terra ed essa trasale,
tocca i monti ed essi avvampano.
33 Voglio cantare al Signore nella mia vita,
inneggiare al mio Dio nella mia esistenza.
Benedici il Signore, o mio essere.

Alleluja!

Nel salmo 104 l’autore contempla il creato con grande potenza poetica. Egli sa guardare le realtà visibili con uno sguardo sapiente, partecipando così della stessa sapienza con cui Dio ha creato ogni cosa (cf. v. 24). È consapevole che dietro al creato come egli lo ammira sta la potenza del Soffio, cioè dello Spirito di Dio: “Se mandi il tuo Soffio, sono creati e rinnovi la faccia della terra” (v. 30). Il Targum, la parafrasi aramaica, parla esplicitamente di Soffio, di Spirito santo. Del resto, non dice qualcosa di molto diverso l’inizio delle sante Scritture quando fa precedere la descrizione dell’atto creazionale di Dio da un’importante affermazione: “lo Spirito di Dio aleggiava sulla faccia delle acque” (Gen 1,2).

Di fronte a questo salmo non bisogna sprecare troppe parole, bensì dedicarsi a una sua stupita contemplazione. È sufficiente percorrerlo e ripercorrerlo, fino fare propria l’esclamazione entusiastica del salmista: “Quanto numerose le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con sapienza, la terra è piena delle tue creature” (v. 24). Questo “cantico delle creature” ante litteram, intercalato da esclamazioni di meraviglia (vv. 1, 24), sfocia in una parte più meditativa: il salmista riflette sulla dipendenza dal Signore, per il nutrimento e per la stessa vita, da parte di tutte le creature (vv. 27-30); poi dà gloria al Creatore, insistendo sulla tonalità della gioia (vv. 31-34). Come il Signore gioisce nelle sue opere (e la terra arrossisce per questo grande amore!), così l’essere umano si impegna a dargli gloria con la propria vita. Tutta la sua esistenza è un inno e un canto al suo Dio, è una meditazione piena di gioia sotto forma di un poema sì, ma ancor più di una vita sapiente: chi ha occhi per questa “sapienza” del creato, partecipa della sapienza grazie alla quale la vita si rinnova e ci stupisce ogni giorno. Davvero, secondo le celebri parole di Ireneo di Lione, “la gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è visione di Dio”, contemplato nella bellezza delle sue opere (cf. Sap 13,5).

L’essere umano è descritto nel salmo 104 come una co-creatura armonicamente parte di un tutto che lo eccede, al quale egli contribuisce serenamente con il suo lavoro: pane, vino e olio (cf. vv. 14-15) sono “frutto della terra e del lavoro dell’uomo” (Liturgia eucaristica, presentazione dei doni), un lavoro quotidiano, che asseconda i ritmi della notte e del giorno (cf. vv. 22-23).

Un’ultima annotazione meritano i vv. 27-30, che ci avvicinano all’interpretazione liturgica del salmo come canto della Pentecoste. Il Signore è visto dal poeta come colui che dona il cibo, grazie al quale le creature si sostentano. Nel contempo, però, l’uomo fa anche l’esperienza del limite: non si mangia per sempre, non si vive per sempre, perché la morte ci attende al varco. È il ciclo naturale della vita, così espresso dalla sapienza greca: si nasce e si muore, una generazione muore per lasciare il posto a quella seguente. L’uomo biblico non esprime una realtà molto diversa, ma lo fa sempre ponendosi in relazione a Dio: a un certo punto il soffio vitale se ne va, e così la creatura, che è “polvere, ritorna alla terra, com’era prima, e il soffio vitale (ruach) ritorna a Dio, che lo ha dato” (cf. Qo 12,7; cf. Sal 90,3) e ora lo toglie. Ma quando la ruach, il soffio di Dio è nuovamente inviato, ecco che egli rinnova il volto della terra, dando vita ad altre creature.

Da qui a vedere nel v. 30 la profezia dello Spirito santo il passo è breve: il Targum – come si vedeva – fornisce questa interpretazione, ampliata poi dalla tradizione ebraica e cristiana che vedono in tale Spirito la forza capace di resuscitare i morti. Proprio fondandosi sull’interpretazione patristica del v. 30, fin dalle origini cristiane il salmo 104 è stato utilizzato in numerose liturgie proprio nella solennità di Pentecoste, festa della “nuova creazione”: come nell’in-principio “lo Spirito aleggiava sulla faccia delle acque” (Gen 1,2), così trasfigura la chiesa e l’intera umanità, rinnovandole con le sue energie di vita. Commenta un autore moderno:

Mentre il salmo viene proclamato nella celebrazione liturgica, ciò che esso annuncia si attua, la creazione si trasfigura nella luce di Cristo, la nuova creazione si compie, il mondo si rinnova al di fuori e dentro di noi; Dio è all’opera, come nei giorni della prima creazione e, dal caos del peccato, prendono forma le nuove creature di quel mondo nuovo in cui Dio regnerà in eterno, tutto in tutti [1Cor 15,28].

Giudizio condivisibile, a condizione di non svuotare il salmo del suo positivo significato terreno, immanente. Certo che nella fede si può affermare che “tutte le cose sono state create per mezzo del Figlio e in vista di lui” (cf. Col 1,16); certo che “gli attributi invisibili di Dio … vengono contemplati e compresi dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute” (cf. Rm 1,20). Ma ciò è ben altra cosa da un dualismo che non è cristiano. Gesù, infatti, ci ha insegnato il comportamento opposto. Ha saputo osservare il reale, ha voluto aderire profondamente alle realtà create, a tal punto che il suo parlare più originale, quello in parabole, è nutrito proprio della sua contemplazione delle creature più terrestri. Basti un solo esempio, tratto dal discorso della montagna:

Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre … Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro (Mt 6,26.28-29).

Per parlare di Dio Gesù si serviva delle creature, non poteva fare altrimenti. Ma se è costretto a insistere sull’esortazione a guardare e a osservare, è perché già i suoi contemporanei pensavano di dover parlare di Dio servendosi di concetti complicati, di idee “teologiche”… A chi voleva ascoltarlo, Gesù ha dato un esempio ben diverso, attraverso il quale ha tradotto in vita quotidiana l’affermazione del salmo: “Gli sia gradito il mio meditare: io gioisco nel Signore” (v. 34), godo di lui su questa terra, sotto questo cielo! Un esempio ben migliore di molti suoi discepoli, uno dei quali ha scritto: “Le cose visibili sono certo belle, il cielo ci delizia, il sole ci rallegra, la terra fa spuntare semi e piante: ma più che di tutto questo io mi rallegro nel Creatore”. E perché non, una buona volta, “in tutto questo io mi rallegro nel Creatore”? Sì, perché anche “i cieli nuovi e la terra nuova che aspettiamo, secondo la promessa di Dio” (cf. 2Pt 3,13) dovranno avere un rapporto con questo cielo e questa terra: senza questa indicibile speranza, non si può capire né assumere lo stile di vita di Gesù.

Ci siamo “attardati” a contemplare la carica materiale e carnale del salmo 104, perché questo è uno dei significati più profondi della Pentecoste, pienezza dell’evento pasquale. Come si legge nel libro della Sapienza: “Lo Spirito del Signore riempie l’universo, dà unità a tutto e conosce ogni voce” (1,7; tra l’altro, antifona d’ingresso alla liturgia eucaristica di Pentecoste, messa del giorno). Non è forse anche in virtù dello stretto legame tra questa creazione e la nuova creazione sorta dall’evento pasquale che Gesù “esulta nello Spirito santo” (cf. Lc 10,21)? E noi siamo capaci di questa esultanza alla luce delle creature che ci circondano? Infatti, come affermava una grande donna spirituale del secolo scorso, sorella Maria di Campello: “Io cerco Cristo sotto il velo della natura madre. Il grano, la vite, gli olivi, il monte, il mare, i gigli, gli uccelli, l’agnello, la pietra, il legno, le spine: ogni creatura è come segnata dalla sua impronta sua, rivela quasi un raggio della sua invisibile bellezza”.

Spirito santo Creatore,
che all’inizio aleggiavi sulle acque,
tutte le creature hanno preso vita dal tuo Soffio,
senza di te ogni vivente torna alla polvere.
Insegnaci a contemplare la tua presenza e la tua azione
nelle creature terrene, animate e inanimate,
e giungeremo così al sentire di Cristo.

Ludwig Monti,

Monaco di Bose