Luigi Bettazzi: il vescovo del Concilio Vaticano II

Questa mattina alle 4.20 è morto Luigi Bettazzi (Treviso, 26 novembre 1923-Albiano d’Ivrea, 16 luglio 2023), l’ultimo vescovo italiano ed europeo ad aver partecipato al concilio Vaticano II (1962-65).

Testimone fino alla fine dei suoi giorni dell’importanza che il Concilio ha rappresentato per la Chiesa cattolica (ma non solo), il vescovo Luigi era noto per le sue posizioni coraggiose e controcorrente, sempre pronto ad impegnarsi in prima persona per tutto ciò che riguarda la pace e i diritti dell’uomo.

Famoso per le sue «lettere aperte» «Ai politici» e a chi aveva delle responsabilità (una delle ultime quella “Agli evasori fiscali” – Avvenire, 8 luglio 2020), è stato un testimone del vangelo, spesso scomodo a tanti, anche nella sua Chiesa, che però ha sempre servito con obbedienza e trasparenza.

Citava sovente il brano evangelico di Matteo in cui si parla del giudizio: «Avevo fame e mi hai dato da mangiare…» (25,35-44). E a chi gli rimproverava di essere un vescovo di sinistra, rispondeva spiritosamente di essere solo «mancino».[1] Nel 2015, con l’elezione di papa Francesco, Bettazzi ha visto in parte la realizzazione del suo sogno ecclesiale.    

Ho conosciuto il vescovo Bettazzi ad Ivrea, nel lontano 1982, in un momento importante, ma tutt’altro che facile della mia vita. Di lui avevo sentito parlare molto: conoscevo i suoi interventi fatti al concilio Vaticano II (1962-65) da giovane vescovo ausiliare del card. Lercaro a Bologna. Sapevo delle sue prese di posizione profetiche a favore della pace e dei poveri, delle sue innovative attività pastorali nella diocesi di Ivrea e anche delle sue «lettere», aperte e controcorrente, in particolare quella del luglio 1976 “A Enrico Berlinguer”, segretario generale del PCI (Partito comunista italiano), ma non l’avevo mai incontrato di persona.

Mi sono trovato davanti un vescovo ancora più alla mano e simpatico di quel che immaginavo: non solo non utilizzava mai quel “noi” maiestatico che all’epoca − salve rare eccezioni ‒ usavano la maggior parte dei suoi “colleghi” vescovi, mentre ti facevano calare dall’alto le loro parole cariche di verità. Ho incontrato invece un vero «uomo», che ti parlava guardandoti negli occhi, attento a non ferirti, ma – soprattutto – a non giudicarti.

Queste non erano – e purtroppo non lo sono ancora – delle qualità molto frequenti in certi ambienti ecclesiali, anche dopo quella sana ventata rinnovatrice che è stato il concilio Vaticano II per la Chiesa cattolica. Infatti, tra le file più tradizionaliste del cattolicesimo, erano in molti quelli che si erano affrettati a minimizzare l’evento conciliare, contando molto sull’applicazione della massima gattopardesca: “Cambiare tutto per non cambiare niente”.

Ma per Bettazzi il concilio Vaticano II aveva cambiato profondamente la Chiesa cattolica, segnandola per sempre. Quella che chiamava la «rivoluzione copernicana del Concilio», aveva riportato la comunità dei credenti allo spirito evangelico delle origini, da cui non era più possibile tornare indietro, nonostante i vari tentativi, più o meno palesi, di boicottaggio e di insabbiamento continui.

Il vescovo Luigi, il concilio ha continuato a viverlo sulla sua pelle, a testimoniarlo girando l’Italia e il mondo cattolico, in lungo e in largo fino a pochi mesi della sua morte, non rifiutando mai un invito a parlare del concilio Vaticano II.

«Vivo in treno», mi diceva scherzando, facendosi accompagnare alla stazione ferroviaria per andare in Puglia  a parlare del Concilio. «Sono l’ultimo testimone vivente di tutti i vescovi italiani ed europei che hanno partecipato al Concilio («però dalla seconda sezione, soltanto», precisava). Non mi rifiuto mai di parlare del Concilio, pur trascinandomi con un po’ di fatica quest’anca che non obbedisce più».

E, con il suo proverbiale umorismo che non l’ha mai abbandonato, mi raccontava di quando entrò in un orologeria di Bologna per farsela aggiustare: «Buon giorno ho visto sull’insegna del suo negozio che lei aggiusta “anche”…Può aggiustare la mia…? ».  E sorridendo ironico, mi chiarisce che si era fermato a chiedere perché sull’insegna del negozio c’era scritto: “Si aggiustano orologi di ogni tipo, anche vecchi”.

Per le barzellette era famoso, e le raccontava veramente bene. Tra le più belle ascoltate da lui quella di san Pietro che accompagna in visita un gruppo di persone di varie religioni e confessioni cristiane. Il paradiso – racconta Bettazzi – è composto da un numero enorme di case, di palazzi molto alti e di grandi giardini. Vi si trovano persone di tutte le età, culture e tradizioni religiose. Per tutti è la gioia perfetta. Ma ad un certo punto san Pietro e i suoi ospiti arrivano davanti a una cupa fortezza, con fossati, fortificazioni e ponti levatoi. San Pietro si rivolge al gruppo sottovoce: «Mi raccomando non fate rumore e siate discreti.  Qui ci sono i cattolici: credono di essere i soli in paradiso…».

Bettazzi era anche questo. Faceva passare messaggi teologici molto importanti, ma in modo lieve, con il suo sorriso, sempre fine e un po’ ironico sulle labbra. Mi ricordo con quanta precisione e dovizia di particolari mi ha raccontato dei suoi interventi al Concilio, quando era giovane vescovo ausiliare del card. Lercaro di Bologna.

I suoi detrattori, ogni volta che prendeva la parola nell’aula conciliare, ironicamente dicevano che era «la voce del padrone» (cioè di Lercaro). Furono ben tre i suoi interventi pronunciati nell’aula conciliare e cinque presentati per iscritto; tutti su temi particolarmente importanti. Famoso quello sulla collegialità dei vescovi in cui auspicava un potere meno centralizzato sul papa e più condiviso con i vescovi, in modo collegiale, appunto.

In occasione del libro-intervista citato in nota, ho avuto modo di passare lunghi periodi con lui e di conoscerlo ancora meglio. Il libro, infatti, è frutto di parecchi colloqui, tutti avvenuti ad Albiano, nei d’intorni di Ivrea, nella casa messa a sua disposizione dalla diocesi di Ivrea, e che  condivideva con il Cisv (Comunità impegno servizio volontariato) e una comunità di accoglienza di migranti.

Per la verità, non è stato facile strappargli il consenso al libro-intervista, perché lo viveva un po’ come un “coccodrillo”, che in gergo giornalistico è il pezzo già preparato in previsione della morte di un personaggio già avanti in età; ma soprattutto perché Bettazzi amava scrivere lui stesso i suoi libri, senza intermediari. Diceva che il segreto della sua longevità era “scrivere un libro all’anno”, e questo spiega perché la lista dei suoi libri è particolarmente lunga. Comunque, dopo un po’ di tiramolla, in cui gli avevo detto di sentirsi libero e di fare “quel che gli dettava il cuore”, ho ricevuto dopo qualche settimana una sua telefonata in cui si diceva d’accordo nel fare un libro-intervista, ma senza il suo nome come autore in copertina «perché quella non sarebbe stata la sua autobiografia ufficiale».

E così è stato, anche se conservo non solo tutte le registrazioni, ma anche le risposte scritte di suo pugno su un bel quadernetto nero per le domande che considerava più “impertinenti”.

Anche questo era un aspetto interessante del vescovo Bettazzi. Lui non era solo un autore “molto prolifico”, ma anche molto preciso e puntiglioso, attento ai minimi particolari. Per la parti che considerava più importanti o delicate del libro (il contesto dei suoi interventi al concilio, le sue posizioni sulla povertà nella chiesa (il “Patto delle catacombe”), i suoi giudizi su alcuni aspetti etici della Chiesa cattolica e altro ancora) non solo ha scritto di suo pugno le risposte, ma ha voluto rivedere anche le bozze finali. Non ha cambiato niente di quello che avevo scritto, solo corretto qualche virgola e refuso; ma ci teneva a rileggere tutto quanto, dimostrando in questo molta professionalità.

Grazie di tutto vescovo Luigi, del tuo grande cuore umano, molto poco clericale e aperto a tutto e a tutti; del tuo coraggio per aver creduto nella pace fino alla fine e anche per tutte le verità scomode che non hai taciuto, in nome di quella “parresia” o trasparenza evangelica tipica dei veri testimoni di Cristo. E grazie anche per quei deliziosi tortellini di Bologna, cucinati per me nella tua cucina di Albiano con amicizia e semplicità.

Riposa in pace, caro vescovo Luigi, e salutami tutti gli amici di Ivrea che ti hanno preceduto in questi anni e che spero avrei modo di incontrare.

Sergio Bocchini