Sta facendo discutere una proposta di legge – presentata al Senato, l’11 dicembre scorso, da una parlamentare di FdI, Lavinia Mennuni – che «vieta di vietare», nelle scuole pubbliche, l’allestimento del presepe, così come ogni altra esibizione di «simboli religiosi, storici e culturali, i quali sono espressione valoriale della tradizione identitaria del popolo italiano».
Per quei dirigenti o quei collegi di docenti che ostacolassero simili iniziative scatterà, qualora il DDL venisse approvato, «un procedimento disciplinare secondo le norme».
Fuori luogo
Va subito precisato che il testo non rende il presepe «obbligatorio», come impropriamente hanno denunciato alcuni quotidiani (lo stravolgimento dell’informazione evidentemente non è una prerogativa solo dei giornali di destra…), ma esclude solo che se ne vieti la realizzazione, là dove essa venga richiesta da genitori o studenti.
Resta l’inopportunità di un intervento che, oltre a violare palesemente il principio dell’autonomia dei singoli istituti, pretende di tutelare una identità culturale blindandola con sanzioni giuridiche. «Bisogna certamente tener presenti le tradizioni del Paese, ma imporle per legge è fuori luogo» ha commentato sobriamente Antonello Giannelli, presidente nazionale dell’Associazione presidi (ANP).
Altri hanno discusso la proposta della senatrice di FdI entrando nel merito, con una presa di posizione che sembra riguardare non solo la proposta della senatrice, ma anche la legittimità della presenza del presepe nelle scuole pubbliche. Come Gianna Fracassi, segretaria CGIL scuola: «Tutti si devono ricordare che viviamo in un Paese laico, la scuola è laica».
Perché, al di là della goffaggine del rimedio proposto, il problema esiste davvero e anche quest’anno, in qualche istituto si ripropone. Motivazione ricorrente: rispetto nei confronti degli studenti non cristiani. Ma il problema riguarda, a monte, il Natale.
È dello scorso ottobre la proposta dell’Istituto universitario europeo di Fiesole di sostituire la denominazione tradizionale di questa ricorrenza con quella di «Festa d’Inverno», sempre con l’obiettivo di evitare ogni esclusione e discriminazione. E già nell’ottobre 2021, in un documento interno – poi ritirato – della Commissione europea, intitolato «Linee guida per la comunicazione inclusiva», si consigliava di evitare la parola «Natale», sostituendola con quella, più neutra, «vacanze».
Il problema della laicità (e del modo di intendere la fede)
Qualche considerazione. La prima riguarda il rapporto tra segni religiosi e laicità della scuola. Principio di per sé inoppugnabile, ma che può essere interpretato in diversi modi.
La logica a cui sembra ispirarsi la segretaria della CGIL scuola è quella della cosiddetta «laicità alla francese», che nega l’uso del velo – anche là il problema è nato nelle scuole – e che per legge confina la sfera religiosa nell’intimo delle coscienze, escludendone le manifestazioni esteriori. Nella convinzione di realizzare, così, una perfetta imparzialità dello Stato e di garantire a tutti la stessa partecipazione alla cittadinanza.
Ma veramente rispettare le persone significa costringerle a rinunziare alla piena esplicazione della propria fede? Le religioni non sono solo esperienze intime di fede, ma pretendono di plasmare integralmente la vita di coloro che le professano. E dietro la «neutralità» di questa laicità c’è una precisa ideologia, che nega loro questo diritto in nome della pretesa dello Stato di essere l’unico protagonista della vita pubblica.
Ma gli esseri umani vanno rispettati e riconosciuti non solo nella loro vita interiore, bensì in tutta la ricchezza della loro esperienza, per cui appartengono a concrete comunità e ne condividono le pratiche, le tradizioni, i costumi. Considerare lo spazio pubblico come un territorio neutro, da cui escludere le identità culturali e religiose presenti in una società, significa in realtà destinarlo ad essere non «di tutti», ma di nessuno
Tradizione cristiana e musulmani
Questo vale a maggior ragione quando è in gioco la tradizione culturale e religiosa di un popolo. Un paese non può e non deve, per un malinteso rispetto nei confronti degli altri, abdicare alla propria identità culturale e spirituale.
L’Italia non può diventare un contenitore vuoto, tanto più che la maggior parte di coloro chiedono di essere accolti hanno invece una forte identità religiosa. Sarebbe un suicidio che non gioverebbe neppure al dialogo, perché per dialogare bisogna essere innanzi tutto se stessi.
In realtà appare fondato il sospetto che la sempre più diffusa rinunzia alla nostra tradizione non derivi tanto dal rispetto verso gli altri, quanto da uno svuotamento interiore della nostra società, la cui sola religione, ormai, è il consumismo con i suoi onnipresenti simboli pubblicitari (la cui pervasività nessuno contesta).
Peraltro, che le resistenze nei confronti del presepe abbiano poco a che fare col rispetto verso i credenti di altre religioni lo dimostra il fatto che i musulmani – i quali ne rappresentano di gran lunga la percentuale maggioritaria – in realtà non possono minimamente sentirsi offesi dalla nostra celebrazione del Natale, perché condividono con i cristiani la fede nel mistero della nascita verginale di Gesù.
Nel Corano la sola Sura dedicata a una donna lo è a Maria e vi viene narrata la scena dell’annunciazione e del concepimento del Signore (sia pure come profeta e non come Figlio di Dio). Sono gli europei, non i musulmani, a non crederci più.
Il migrante è Gesù
Colpisce, poi, che a ergersi a difesa del presepe e del Natale sia, in Italia, un partito della destra al governo. Non è una novità, peraltro. Salvini si è più volte presentato ai comizi con il vangelo o il rosario in mano, per rivendicare la sua missione di tutore dei valori cristiani.
Il punto è che l’ispirazione evangelica di una linea politica va misurata non sulla ostentazione di simboli esteriori, bensì sui suoi contenuti. Ora, quella dei partiti al governo su un problema fondamentale – quello dell’accoglienza degli stranieri – non è compatibile con lo spirito del messaggio di fraternità universale di Gesù. Come in pochi altri casi, su questo punto non si tratta di interpretazioni, ma della lettera stessa dei vangeli.
In quello di Matteo, al capitolo25 (34-40 e 43-46), parlando del giudizio finale, Cristo dice ad alcuni: «“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato (…)”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato (…)”? Rispondendo, il re dirà loro: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”».
Agli altri, che chiama «maledetti», dice fra l’altro: «Ero forestiero e non mi avete ospitato». «Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero (…) e non ti abbiamo assistito?”. Ma egli risponderà: “In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me”».
L’attacco dei giornali di destra alla Chiesa
La recente campagna diffamatoria condotta dai giornali di destra nei confronti di quei vescovi che, nello spirito della loro missione, hanno dato dei contributi economici all’attività della ONG Mediterranea di Luca Casarini (cf. qui su SettimanaNews), non ha potuto mai esibire alcun minimo elemento di illegalità, al di fuori dell’accusa – da provare – di «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina».
In realtà questo furioso attacco alla Chiesa mira a screditarla agli occhi dei fedeli, gettando dei dubbi sulla destinazione delle loro offerte. L’obiettivo evidente è di costringerla a mutare la propria linea nei confronti dei migranti, che è in aperto contrasto con quella ostile e difensiva a cui il nostro governo ispira, da quando è in carica, la sua politica.
Da qui le leggi volte ad ostacolare l’attività di soccorso delle navi delle ONG e scoraggiare così le partenze, lasciando annegare i naufraghi. Da qui gli accordi con governi non democratici per trattenere i migranti in campi di concentramento sulle coste dell’Africa. Da qui il progetto di spedire quelli che arrivano in un campo di detenzione in Albania.
La Chiesa, però, non si è lasciata intimidire. La CEI ha risposto dando la sua incondizionata solidarietà ai vescovi attaccati e rivendicando la piena correttezza della loro scelta di sostenere economicamente l’attività di salvataggio dei naufraghi nel mediterraneo. Ha inoltre bollato come «strumentale e improprio» l’uso che gli organi di informazione della destra hanno fatto delle chat relative alla vicenda, con uno stile giornalistico che, hanno sottolineato, «merita sdegno e disappunto».
Ma soprattutto papa Francesco, qualche giorno fa, durante una udienza generale in Sala Nervi, ha voluto esprimere con chiarezza il suo punto di vista: «Saluto anche il gruppo di “Mediterranea Saving Humans”, che è qui presente, e che va in mare a salvare i poveretti che fuggono dalla schiavitù dell’Africa. Fanno un bel lavoro questi: salvano tanta gente, tanta gente».
La solitudine del bambino Gesù
Prese di posizione pubbliche fatte da rappresentanti autorevoli della comunità ecclesiale, certo non compatibili con il concetto di laicità che vorrebbe relegare la fede nella sfera interiore e privata, senza alcuna ricaduta nella vita sociale e politica. Ma questo – almeno secondo i vescovi italiani e Bergoglio – non è il cristianesimo.
Non meno radicale, anche se di segno opposto, l’equivoco di quanti invece pretendono di difendere i valori della tradizione cristiana. Forse la senatrice Mennuni, nel fare la sua proposta relativa al presepe, non aveva presente il passo di Matteo sull’accoglienza dei forestieri. Avrebbe scoperto che la linea del suo partito è in radicale contrasto con quella tradizione.
Così, stretto fra una secolarizzazione che lo vuole espellere dalla vita pubblica e una strumentalizzazione che lo riduce a un mero «simbolo identitario», svuotato del suo reale contenuto religioso, il presepe rischia davvero di perdere il suo significato. O forse può ancora averne uno, come estrema testimonianza che Dio viene percepito dagli uomini come uno straniero. E che, alla fine, il clandestino è Gesù.
Giuseppe Savagnone
- Dal sito della pastorale della cultura della diocesi di Palermo (www.tuttavia.eu), 22 dicembre 2023