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Padre David Maria Turoldo ha indicato Teresio Olivelli come «uno degli uomini più intelligenti che io abbia mai conosciuto, un giovane meraviglioso» e don Primo Mazzolari lo ha definito «lo spirito più cristiano del nostro secondo Risorgimento», per poi aggiungere: «Non voglio fare confronti, ma Gramsci, davanti al quale mi inchino riverente, non ha l’ardore e la trasparenza, né la bruciante devozione, né lo slancio di perduto, né l’avventurosa energia di questo nostro giovane che finisce in un campo di concentramento, non ancora trentenne, con l’aureola della santità prima di quella di martire».
L’attiva partecipazione all’attività dell’Azione Cattolica, della Fuci (Federazione degli universitari cattolici) e della S. Vincenzo, tra Mortara, Vigevano e Pavia, non aveva impedito al giovane Olivelli di immergersi convintamente fin nel cuore del fascismo, cui ha fatto seguito la scelta di arruolarsi volontario nelle truppe alpine per combattere sul fronte russo. Qui ha constatato di persona la devastazione materiale, morale ed umana causata dalla folle politica fascista.
Una volta ritornato in patria nella primavera del 1943, dopo l’8 settembre ha partecipato alla Resistenza contro il nazifascismo, diventando “ribelle per amore” nelle file delle Fiamme Verdi. Ciò è avvenuto grazie anche all’incontro con persone e ambienti, a Brescia, presso l’Oratorio della Pace, e a Milano, che gli hanno permesso di tagliare nettamente con le proprie precedenti posizioni e di impegnarsi a fondo nell’opposizione al nazifascismo, soprattutto nella redazione e nella diffusione della stampa clandestina, in particolare de “Il Ribelle”. La sua “ribellione per amore” non riguarda solo la partecipazione alla Resistenza, ma anche la ribellione ai soprusi, alle angherie e alle brutalità nelle carceri e nei lager in cui è stato detenuto dopo l’arresto avvenuto il 27 aprile 1944 a Milano: dal carcere di san Vittore al campo di concentramento di Fossoli, dal lager di Bolzano fino a quello di Flossenbürg.
Olivelli nel lager è stato pienamente un “uomo per gli altri”, per usare un’immagine cara al grande martire di Flossenbürg, Dietrich Bonhoeffer . Il Dio di Gesù Cristo è stato anche per Olivelli, come lo era per Bonhoeffer, il Dio dell’essere “per gli altri”, che cammina sulle strade degli uomini, che aiuta e serve, che condivide, che si schiera con i perseguitati e con gli oltraggiati. Il Dio, dunque, che di fronte alle aberrazioni della storia non può non schierarsi dalla parte delle vittime. Ed è quello che Olivelli ha compiuto quotidianamente nel lager.
Teresio Olivelli muore a soli 29 anni nel lager di Hersbruck, un sottocampo di Flossenbürg, il 17 gennaio 1945, a causa delle percosse subite dai suoi aguzzini perché intervenuto in difesa di un compagno di prigionia. Con il sacrificio della propria vita, con la sua ribellione per amore anche nell’inferno del lager, Teresio Olivelli è entrato a pieno titolo in quella moltitudine di martiri che senza tregua ci pone davanti, anche oggi, il Discorso della Montagna come unica strada per uscire dalla follia della guerra e dell’odio.
Il 3 febbraio 2018 a Vigevano Teresio Olivelli è stato beatificato. La Chiesa lo indica così come modello da imitare, come persona che nel sacrificio supremo in un lager nazista ha compiuto il senso della sua vita, immolandosi per gli altri. Proprio a Hersbruck, in questo luogo che ha visto materializzarsi il male assoluto, il 5 ottobre 2018 la Caritas della provincia di Norimberga gli ha dedicato, con una solenne cerimonia con presenti tutte le autorità civili e religiose, una casa per anziani e disabili, la “Olivelli Haus”, in considerazione delle azioni compiute da Olivelli anche in favore dei tedeschi detenuti nel lager.
In un articolo che aveva scritto sul n. 2 de “Il Ribelle”, firmandolo con lo pseudonimo di Cursor, Olivelli aveva esortato a contrastare il nazifascismo, poiché «non vi sono liberatori, ma uomini che si liberano», come a dire che di fronte al male ognuno deve fare la propria parte senza aspettare interventi salvifici. È quanto sosteneva anche don Mazzolari in “Impegno con Cristo”, quando scriveva che non ha senso avere le mani pulite se si tengono sempre in tasca.
Anselmo Palini