Gli inizi di questo 2023 sono stati caratterizzati, per un gruppo di ragazzi della Parrocchia, da un forte esperienza di servizio all’Arsenale della Pace, il Sermig di Torino.
L’Arsenale della Pace, un tempo arsenale di guerra, ora arsenale di relazioni freterne di educazione alla mondialità, al rispetto di ogni diversità e dell’ambiente. Il Sermig punto di riferimento nel panorama ecclesiale nazionale, si pone a servizio di quanti vogliono contribuire a diventare ‘Artigiani di pace’.
Sappiamo che la proposta di essere “operatori di pace” viene direttamente dal mistero del Natale, da Gesù, Principe della pace. Il Sermig, come più avanti i ragazzi stessi testimonieranno da questo sito web, è crocevia di storie, di ricchezze e povertà umane, continuamente trasfigurate dall’arte di vivere le relazioni, come antidoto contro la guerra e ogni forma di povertà.
Negli stessi giorni, un gruppo di ragazze ha condiviso una simile esperienza presso la Fraternadomus di Roma. Una Comunità che vive il carisma dell’accoglienza e della fraternità e che si pone in ascolto e al servizio di chi bussa alle porte della Comunità.
Ma qual è «quella pace che il Signore ci ha dato e che ci fa sentire tutti fratelli (Gv 14,27)»? «Qual è la pace che Gesù ci dona, e in che cosa si differenza da quella che dà il mondo? In questi tempi, ascoltando la parola “pace” pensiamo soprattutto a una situazione di non-guerra o di fine-guerra, uno stato di tranquillità e di benessere. Questo – lo sappiamo – non corrisponde pienamente al senso della parola ebraica shalom, che, nel contesto biblico, ha un significato più ricco… Pace è anche l’esperienza della misericordia, del perdono e della benevolenza di Dio, della prosperità che ci rende capaci a nostra volta di esercitare misericordia, perdono, respingendo ogni forma di violenza e di oppressione e di povertà. Ecco perché la pace di Dio come dono è inseparabile dall’essere costruttori e testimoni di pace; come dice l’enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti, “artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia” (n.225).
Nell’incontro di verfica con il Gruppo Catechistico, abbiamo condiviso la necessità di sostenere i ragazzi in questi tempi di difficili di guerra, di aggressività, di una violenza nche si sta scatenando in diversi contesti: dalla famiglia alla scuola e sul web, verso tutti e verso tutto. Come educatori vorremmo aiutare i nostri ragazzi a curare il proprio cuore, dove la pace può essere accolta come dono e riofferta attraverso gesti di accoglienza, misericordia e perdono.
Dobbiamo riconoscere come la pace di Gesù sia molto diversa da quella che immaginiamo. Tutti desideriamo la pace, ma spesso quello che noi vogliamo non è proprio la pace, è stare in pace, essere lasciati in pace, non avere problemi ma tranquillità. Gesù, invece, non chiama beati i tranquilli, quelli che stanno in pace, ma quelli che fanno la pace e lottano per fare la pace.
Questo mese di gennaio, e tutto il tempo della nostra vita, sia vissuto con questo desiderio profondo e una maggiore attenzione e cura per il nostro cuore: in esso si accoglie la pace come come dono, come seme, un seme che deve trovare in noi non solo accoglienza ma disponibilità alla morte di tutto ciò che ostacola la pace nelle nostre relazioni fraterne. La pace non si raggiunge conquistando o sconfiggendo qualcuno, non è mai violenta, non è mai armata…
Le parole di Papa Francesco ci raggiungono: «Come si fa allora a diventare operatori di pace? Prima di tutto occorre disarmare il cuore. Sì, perché siamo tutti equipaggiati con pensieri aggressivi, uno contro l’altro, con parole taglienti, (…) ma questo non è pace, questo è guerra. Il seme della pace chiede di smilitarizzare il campo del cuore. Come va il tuo cuore? È smilitarizzato o è così (…) con l’aggressione? E come si smilitarizza il cuore? Aprendoci a Gesù, che è «la nostra pace» (Ef 2,14); stando davanti alla sua Croce, che è la cattedra della pace; ricevendo da Lui, nella Confessione, «il perdono e la pace»… Fratelli e sorelle, guardiamoci dentro e chiediamoci: siamo costruttori di pace? Lì dove viviamo, studiamo e lavoriamo, portiamo tensione, parole che feriscono, chiacchiere che avvelenano, polemiche che dividono? Oppure apriamo la via della pace: perdoniamo chi ci ha offeso, ci prendiamo cura di chi si trova ai margini, risaniamo qualche ingiustizia aiutando chi ha di meno?» (Angelus, 1° novembre 2022).
In altri termini, «la cultura della pace non la si costruisce solo tra i popoli e tra le nazioni. Essa comincia nel cuore di ciascuno di noi. Mentre soffriamo per l’imperversare di guerre e violenze, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo alla pace cercando di estirpare dal nostro cuore ogni radice di odio e risentimento nei confronti dei fratelli e delle sorelle che vivono accanto a noi: «Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo» (Ef, 4,31-32). Possiamo domandarci: quanta asprezza c’è nel nostro cuore? Che cos’è che la alimenta? Da cosa nasce lo sdegno che molto spesso crea distanze tra di noi e alimenta rabbia e risentimento? Perché la maldicenza in tutte le sue declinazioni diventa l’unico modo che abbiamo per parlare della realtà? Se è vero che vogliamo che il clamore della guerra cessi lasciando posto alla pace, allora ognuno inizi da sé stesso…
San Paolo ci dice chiaramente che la benevolenza, la misericordia e il perdono sono la medicina che abbiamo per costruire la pace. La misericordia è accettare che l’altro possa avere anche i suoi limiti… Il perdono è concedere sempre un’altra possibilità… Dio fa così con ciascuno di noi, ci perdona sempre, ci rimette sempre in piedi e ci dona ancora un’altra possibilità. Tra di noi deve essere così… Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi a stancarci di chiedere perdono. Ogni guerra per essere estinta ha bisogno di perdono, altrimenti la giustizia diventa vendetta» (Discorso alla Curia romana, 22 dicembre 2022)
«Può sorgere però un’ultima domanda, (…) conviene vivere così? Non è perdente? È Gesù a darci la risposta: gli operatori di pace «saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9): nel mondo sembrano fuori posto, perché non cedono alla logica del potere e del prevalere, in Cielo saranno i più vicini a Dio, i più simili a Lui. Ma, in realtà, anche qui chi prevarica resta a mani vuote, mentre chi ama tutti e non ferisce nessuno vince: come dice il Salmo, “l’uomo di pace avrà una discendenza” (Sal 37,37)» (Angelus, 1° novembre 2022).
Queste parole di Papa Francesco non possono lasciarci indifferenti ma stimolarci ogni giorno a percorrere strade che davvero portano alla pace vera: dal cuore dell’uomo al cuore del mondo.
don Alessandro