il frutto della pentecoste è la comunità
La lettura del brano degli Atti degli Apostoli ci descrive la primitiva comunità cristiana, quella nata dalla Pentecoste e dall’annunzio degli Apostoli di Gesù Signore; è la conclusione logica della Pentecoste: “Erano assidui nella preghiera, nell’insegnamento degli Apostoli, nella frazione del pane, nell’amore fraterno, nella gioia…” e il brano evangelico ha come confermato con la parola stessa di Gesù l’importanza di questo essere uniti, di formare una comunità. Lui è venuto nel mondo, perché nel mondo nascesse un riflesso della Trinità: “… come io e te o Padre siamo una stessa cosa, che anche loro siano una cosa sola”. La Chiesa è Comunità perché deve essere il segno, il riflesso della Trinità; è una comunità d’amore.
Vogliamo parlare della comunità cristiana, non in astratto, ma come ci viene presentata negli Atti degli Apostoli: una comunità di persone convertite. Questa è la comunità di coloro che al sentire proclamare da Pietro l’annuncio di Gesù Signore si sentirono trafiggere il cuore dal pentimento; è nata dall’insieme di coloro che hanno avuto il cuore trafitto dal pentimento, dalla conversione. Oltre questo momento di cambiamento profondo, si spalanca una porta di grande gioia, perché pochi brani della Sacra Scrittura traspirano gioia, pace e speranza, novità di vita come queste poche righe che ci descrivono la primitiva comunità cristiana.
Movimento centripeto
Come si presenta la comunità che nasce dal sacrificio di Gesù ed è consacrata dalla Pentecoste? Si presenta come l’insieme di due movimenti, in un certo senso contrapposti, ma il cui equilibrio fa la comunità cristiana. Questa comunità è contraddistinta da un movimento centripeto, cioè di coesione tra i credenti e dunque anche di distacco dal mondo; è un gruppo di persone che sono tirate via dal mondo e messe insieme con una solidarietà nuova, che si chiama Amore, la condivisione fraterna, il mettere insieme, il gioire insieme. Sono uomini tratti dal mondo, e questo momento intimo della comunità cristiana è costituito da alcuni fattori precisi: sono insieme perché li tiene insieme una realtà fortissima, la più forte del mondo, che si chiama Spirito Santo, che agisce attraverso l’insegnamento degli Apostoli, perché quando gli Apostoli parlano è lo Spirito che fa eco nella loro parola, nel cuore di chi ascolta, e dunque questa parola è fortissima, è diversa da tutte le altre; sono uniti da un’unione fraterna, cioè dalla carità, che è anch’essa frutto dello Spirito; sono uniti nella frazione del pane, cioè intorno all’Eucarestia e nella preghiera.
Questa unione si manifesta anche all’esterno, con segni visibili, perché condividono anche i beni: quelli che hanno dei beni li vendono per poter fare comunità, condivisione, sicché non c’è nessuno povero tra di loro.
La comunità cristiana è fondamentalmente una comunità di preghiera, di vita interiore, di comunione fraterna che sprigiona gioia, letizia. Letizia: è la prima volta che questa parola compare nella storia della Chiesa; prima c’era tristezza: tristezza perché Gesù partiva, tristezza perché era asceso al cielo. Adesso, per la prima volta, si comincia a parlare di letizia: “…prendevano i pasti in letizia” e in questo brano ogni singola parola deve essere da noi presa per quello che vale, cioè la sintesi di tutto un atteggiamento di vita; c’è gioia, gioia, gioia profonda tra questi fratelli, e la loro gioia costituisce il motivo di maggiore attrazione per gli altri che li guardano “con simpatia”, e “ogni giorno si aggiungevano alla comunità numerosi altri che erano chiamati”, chiamati dal Signore, ma attraverso i segni che vedevano di questa gente nuova, di questi uomini nuovi.
Movimento centrifugo
Il secondo elemento che costituisce questa comunità nuova, la Chiesa, è un movimento, contrario al primo, centrifugo: dal cenacolo, dove stanno insieme, li porta fuori, verso le strade, ed è il primo movimento che abbiamo notato appena ricevuta la Pentecoste: gli Apostoli escono in strada a proclamare con forza inaudita che Gesù crocifisso è risorto. È dunque una comunità che è presa dal mondo ma costituita per il mondo, è una comunità sacerdotale, perché questo è stato detto nel Nuovo Testamento dal sacerdote: l’epistola agli Ebrei dice che “Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio…” (Eb 5,1). Così questa comunità cristiana nell’insieme è il nuovo popolo sacerdotale, il popolo dell’Alleanza che è tirato fuori dal mondo, è diviso, separato dal mondo, non per essere isolato, a sé stante come un’élite, ma per essere mandato allo sbaraglio per il mondo; infatti gli Apostoli non vanno per il mondo a sentire lusinghe: vanno per essere fustigati, giudicati subito dal Sinedrio. Ma in mezzo a queste difficoltà portano la fiamma, perché è una fiamma che si è accesa a Pentecoste: Gesù Cristo è il Signore; e con questa fiaccola hanno incendiato il mondo.
Non tutti devono fare contemporaneamente queste due cose; la Chiesa, nel suo insieme è formata da tanti carismi, ci sono gli Apostoli che vanno in piazza a gridare e ci sono i diaconi che dividono il pane per le vedove, cioè curano i bisogni concreti degli uomini. Non tutti dunque fanno le stesse cose, ma tutti insieme partecipano di tutto perché anche quelli che restano a casa partecipano di questa missione della Chiesa.
Maria è il prototipo di coloro che non scendono mai in piazza, che non fanno udire in piazza la loro voce, perché rimane nel cenacolo, rimane in preghiera, e senza la preghiera di Maria e delle donne nel cenacolo, noi non sappiamo se la voce di Pietro avrebbe avuto quel timbro irresistibile che fece crollare il cuore di tremila persone. Così è l’esperienza della Chiesa: ci dimostra che la forza dell’annuncio cristiano nasce dalla profondità della preghiera, della contemplazione.
Ecco il profilo di questa Chiesa meravigliosa uscita dalla Pentecoste. Quando Papa Giovanni XXIII ha profetizzato una nuova Pentecoste per la Chiesa, il Concilio ha fatta sua questa parola: ha osato lanciare questa parola arditissima di una nuova Pentecoste per la Chiesa. La Pentecoste ha questo frutto: creare la Comunità, queste Comunità. Se dunque nella Chiesa ci deve essere una nuova Pentecoste, nella Chiesa devono nascere Comunità come quella che leggiamo descritta negli Atti degli Apostoli. Questa è una logica ferrea. La nuova Pentecoste si disperderà in pochi anni come una fiammata se da essa non nascono in seno alla Chiesa queste comunità cristiane così fatte: assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli, nell’unione fraterna, nella frazione del pane, nella preghiera, nella gioia, nella condivisione fraterna. Questo è un annuncio per noi! Non è una rievocazione nostalgica di quella Chiesa meravigliosa di pochi anni di Gerusalemme; quella Chiesa di Gerusalemme resta il prototipo, lo stimolo, il modello per tutti i secoli: così devono essere le comunità cristiane. Difatti non è mai venuto meno, in tutti i secoli della Chiesa, il desiderio di tenere vive queste comunità come quella di Gerusalemme. Tutti gli ordini religiosi che sono nati nella Chiesa, all’inizio sono sempre esplicitamente nati con il proposito di ridare vita a questa Comunità di Gerusalemme in cui nella semplicità e nella povertà gli uomini sono pieni di gioia e annunciano il Regno di Dio. Tutte le comunità, prima quelle monacali, poi quelle mendicanti, poi gli ordini religiosi dei tempi moderni, si sono proposti di realizzare questo e lo hanno realizzato. In alcuni aspetti, per grazia dello Spirito, sono andati anche al di là, hanno fatto anche meglio: S. Francesco, ad esempio, ha realizzato una povertà, nella sua comunità, che forse era maggiore di quella descritta negli Atti; altri hanno realizzato una comunità di servizio per opere sociali caritatevoli non meno forti di quelle di Gerusalemme.
È adesso che si deve realizzare
Eppure mi sembra di potervi dire che questa comunità di Gerusalemme ancora non si è vista realmente, integralmente nella storia della Chiesa: deve ancora nascere! O, almeno, deve nascere di nuovo, perché la “parrocchia”, che è fatta per realizzare tutto questo, raramente lo realizza. Cosa mancava in quelle comunità che erano intorno a S. Francesco, o intorno a S. Chiara, o intorno a S. Ignazio? Erano fervorose, erano piene di santità, ma mancava l’insieme dei carismi: erano un membro della Chiesa, non il corpo. La Chiesa è un corpo e il corpo esiste se c’è l’occhio, la testa, la mano che lavora, il piede che cammina, il cuore che ama, la mente che pensa. Perché ci sia realmente la Chiesa corpo di Cristo, non basta che ci sia una mano, non basta che ci sia una comunità di uomini attivi missionari; non basta che ci sia una comunità, come i domenicani, di pensatori, che sviluppano la dottrina della Chiesa; non basta che ci sia una comunità di persone contemplative che vivono solo in preghiera, perché questo è un membro, un carisma. Questa comunità degli Atti degli Apostoli risorgerà in mezzo al popolo, anzi sta risorgendo! Quando ci sono comunità cristiane che vivono così insieme, assidui nell’ascoltare la parola di Dio, a celebrare l’Eucarestia, a condividere i bisogni, a portare i pesi gli uni degli altri, e quando questa Comunità non è fatta da soli uomini o da sole donne, un pezzo del corpo di Cristo, ma da donne, da uomini, da sacerdoti, da suore, da bambini, da sani, da malati… allora sì che c’è la Chiesa. Questa frase ha un significato teologico profondo che forse va al di là di ciò che si può pensare, perché si pensa, a volte, che in un’assemblea di preghiera ci sia un “pezzo” di Chiesa, e invece no! C’è la Chiesa intera. Leggiamo cosa ha scritto il Vaticano II nella Lumen Gentium, la Costituzione dedicata alla Chiesa: “Questa Chiesa di Cristo, che è la Chiesa universale diffusa in tutto il mondo, questa Chiesa di Cristo è veramente presente in tutte le legittime comunità locali di fedeli le quali, in quanto aderenti ai loro pastori, sono anch’esse chiamate Chiese nel Nuovo Testamento. Esse infatti sono nella loro sede il popolo nuovo chiamato da Dio con la potenza dello Spirito Santo e con grande abbondanza di carismi. In esse, con la predicazione del Vangelo di Cristo, vengono radunati i fedeli e si celebra il mistero della Cena del Signore; in queste comunità, sebbene spesso piccole, povere, disperse, è presente Cristo intero per virtù del quale quella che si raccoglie è la Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica”.
Oggi la fede, il cristianesimo, ha bisogno vitale di queste Comunità, perché il cristianesimo è fatto per essere vissuto in comunità, non da soli; è fatto per essere un corpo! Gesù è venuto sulla terra per costruirsi un corpo, una sposa, un popolo, non tanti individui. Non ha fatto delle alleanze separate, ma una comunità che deve riflettere la comunità sorgente, fonte di tutto, che è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che stanno sempre insieme nello stesso luogo, cioè in ogni luogo, e si amano e sono nella gioia e sono una cosa sola. Questo deve essere la Chiesa, un riflesso della Trinità, della gioia della Trinità sulla terra.
I cristiani fanno l’esperienza che è impossibile vivere cristianamente nel mondo d’oggi se non c’è qualcosa di più: non basta andare a messa la domenica senza conoscere nessuno e poi tornare a casa… La fede sembra non reggere il ritmo della vita moderna, viene da chiedersi che cosa sia la fede in questo mondo. Quando i cristiani si trovano assieme attraverso i carismi, attraverso la Parola di Dio, l’Eucarestia, fanno l’esperienza che ciò che è dentro di noi, lo Spirito Santo, è più forte dello spirito del mondo, del maligno, che è spirito di tristezza, di avarizia, e questo spirito che sembra gigantesco e che stritola tutto è più debole dello Spirito di Dio che è in noi.
È necessario che ognuno di noi sia “profezia” affinché all’interno delle parrocchie fioriscano queste Comunità che sono “mine” inserite nel mondo di ghiaccio di oggi, e che lo faranno saltare in aria, perché tutto si può contestare, ma non la comunità. È stato scritto che solo l’amore è credibile, ma non è vero neppure questo: solo la comunità è credibile. Quando una comunità vive insieme come i primi cristiani, gli uomini pagani devono dire: “guardate come si amano”, e sono messi in crisi.
Raniero Cantalamessa