Se si va a messa come se si andasse a uno spettacolo

I partecipanti delle assemblee si stanno trasformando in spettatori dell’Eucaristia, quasi come fossero a teatro?

Le assemblee liturgiche hanno cominciato a somigliare a platee, con i partecipanti che si stanno trasformando in spettatori dell’Eucaristia, quasi come fossero a teatro. Questi, anche quando le messe sono animate da una certa complicità partecipativa, sembrano aver assimilato gli schemi mentali tipici dello spettacolo. Il fatto che in diversi siano passati in tempo di coronavirus dalla celebrazione in presenza a quella in video senza percepire una vera differenza lo dimostrerebbe. Inoltre, il radicamento territoriale delle comunità cristiane si sta indebolendo sempre più e molta gente di fede non trova più le forme per poter essere anche gente di chiesa. La messa sta tornando a essere un’esperienza minoritaria.

Lo ha detto il teologo don Giuliano Zanchi alla XLVIII Settimana di studio dell’Associazione professori e cultori della liturgia dedicata al tema “L’assemblea eucaristica. Alla luce della nuova edizione del Messale”, che si è tenuta dal 30 agosto al 2 settembre 2021 presso Villa Cagnola a Gazzada, in provincia di Varese ma nell’arcidiocesi di Milano. Come riporta Avvenire, l’intervento del direttore de La rivista del clero italiano e responsabile scientifico della Fondazione Adriano Bernareggi della diocesi di Bergamo, intitolato “Dove sono le nostre assemblee? A 50 anni dal Messale di Paolo VI”, ha scosso l’appuntamento dei liturgisti.

Don Paolo Tomatis, presidente dell’associazione, ha aggiunto che bisogna prendere atto che la messa è specchio della società: la fede di chi vi partecipa non è più permanente, ma sperimentale e itinerante. L’assemblea organica e compatta di stampo tridentino, dove il precetto festivo si assolveva nella propria parrocchia, ormai non rispecchia quelle attuali, che sono maggiormente fluide e caratterizzate da diverse modalità di partecipazione, compreso il web. L’arcivescovo di Milano Mario Delpini, invita a non far prevalere il pessimismo, ma riconosce che il messaggio lanciato dalle liturgie non sembra raggiungere i destinatari e, quindi, il rito si sta facendo irrilevante.

Comunque mons. Delpini, approfondendo indirettamente le parole di don Zanchi, nella sua omelia della messa di conclusione della settimana di studio, dedicata al tema “Come si celebra la festa?”, afferma che una festa può essere celebrata anche come spettacolo: «Lo splendore del luogo, la ricchezza dei vestiti, la novità dell’altare, il fascino dei segni, “bastoni ornati, rami verdi e palme”, la solennità del canto, “innalzavano inni a colui che li aveva felicemente condotti alla purificazione del proprio tempio” (2Mac 10,7) tutto crea uno spettacolo memorabile. La festa accumula segni per manifestare i sentimenti, per rendere partecipi tutti i fedeli dell’entusiasmo, del sollievo, dello stupore». Ma «la preparazione dello spettacolo impegna e interessa coloro che sono coinvolti al punto che lo spettacolo non interessa più. Una volta che tutto è pronto, gli altri potranno goderselo». Invece, la festa va sempre celebrata come salvezza: «L’opera di Dio si compie nella festa del popolo che si raduna e si riconosce condotto attraverso le vicende drammatiche all’esperienza della liberazione e della salvezza. […] L’essere popolo radunato è opera di Dio che salva perché la perdizione è solitudine e la salvezza è comunità radunata che condivide gli stessi sentimenti».