SOLENNITA’ DI GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO. Ultima domenica dell’anno liturgico; commento al vangelo

In questa domenica conclusiva dell’anno liturgico, la nostra Comunità ringrazia Dio per dono di Andrea, Ilenia, Valeria, Ania e Anna Rita, che offrono anche quest’anno il loro servizio per l’annuncio del Vangelo nella catechesi. Un servizio che si innerva nelle trame della quotidianietà per i piccoli e grandi, ricevendo per questo il mandato e la benedizione particolare del Signore.
Siamo sempre più consapevoli dell’urgenza di un cambio pastorale che ponga come primi destinatari dell’annuncio evangelico non i piccoli ma gli adulti. Siamo inoltre consapevoli che il servizio nella catechesi non potrà essere efficace perché si è delegati a questo compito. Il cammino e la crescita nella fede segue le stesse dinamiche della vita: si cammina insieme non solo nella conoscenza ma nell’esperienza concreta, quell’esperienza che, riconoscendo e accogliendo in mezzo a noi la forza misteriosa dello Spirito, tocca e cambia la nostra vita in profondità.

Ringraziamo Dio anche il dono di Marcello Tessari che, sempre in questa domenica, proferirà il suo “eccomi” con la professione perpetua nella Confraternita della Madonna del Rosario.

Catechisti, Confratelli, e tutto il Popolo credente, in questa domenica, solleviamo lo sguardo verso Gesù crocifisso per accogliere da Lui il mandato per il ‘tempo presente’ e vivere la propria fede nel segno di un servizio che equivale a regnare contro ogni logica disumana che disgrega e impoverisce la nostra umanità.

Letture:
Daniele 7,13-14; Salmo 92;
Apocalisse 1,5-8; Giovanni 18,33-37

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me? […] Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».

Ma come? Non avevi detto che il tuo regno era vicino, piccolo quanto un granellino di senape però già qua sulla terra, che poi sarebbe diventato un albero alto e maestoso dove avrebbero risuonato i cinguettii degli uccelli? Non ci avevi detto che era nascosto in tre libbre di farina e che quei pochi grammi di lievito avrebbero gonfiato tutta la pasta, fermentandola e trasformandola in pane caldo e croccante? E non ci avevi insegnato a chiederlo quel regno nella preghiera al Padre, non avevi mandato i tuoi discepoli a due a due a proclamare che non bisognava più aspettarlo, che ormai era finita l’attesa e si doveva guardare non più in alto, ma intorno a noi per scorgerlo? Ci sono mondi e mondi: c’è il mondo del potere politico e religioso, dove chi governa ed è re schiaccia la massa, imponendo le sue verità; si fa dio sulla terra perché, per un re, Dio è colui che sottomette e spadroneggia, che usa la violenza dei suoi eserciti per vincere. «Se il mio regno fosse di questo mondo i miei servitori avrebbero combattuto…». Ma c’è anche un mondo, quello che porta Gesù, dove re è colui che si inginocchia davanti ai piedi sporchi dei suoi amici, un re che dà il pane invece di impossessarsene, che dà la vita invece di ordinare di toglierla, che libera dalla legge invece di comandarla. Un re che porta amore, non sottomissione, non violenza, non autorità; un re che non è un padrone, ma un servitore. «Chi tra di voi vuole essere il più grande…» lo abbiamo letto qualche settimana fa, quando i discepoli discutevano sui posti di prestigio, quando anche loro, perfino loro che stavano con Lui da un bel po’, litigavano su chi dovesse sedere alla sua destra e chi alla sua sinistra. In che mondo vivevano? Nel mondo del potere o in quello dell’amore? Ancora una volta Gesù capovolge le nostre certezze, inverte le rotte e ci spedisce dritti dritti a fare inversione di marcia: sono re, ma non voglio dominare nessuno, voglio liberare; sono un re e non sto sopra di voi a giudicare, ma in mezzo a voi, con voi, a costruire insieme a voi il mio regno, l’albero da cui si spiccherà il volo, il pane da spezzare per tutti. La perla preziosa da stringere commossi tra le mani. Aveva detto di sé, e forse preferiva questa definizione, che Lui era il buon pastore, il pastore bello, quello che dà la vita; non come i mercenari che quando vedono arrivare il lupo scappano perché non gliene importa niente delle loro pecore. Ma quello che ci rimette la vita perché le ama. La sola verità che Gesù ci ha portato, sulla quale è vano scrivere innumerevoli trattati filosofici, è la verità dell’amore, capace di morire per risorgere, più forte delle spade e delle lance, più sconvolgente di qualsiasi
potenza. Disarmata come il più piccolo granellino di senape,
fragile come
un Dio sulla croce. E allora non è più parola astratta, verità, ma si fa voce e carne: come potrebbe infatti l’amore non farsi carne, non farsi carezza, prossimità, bacio sui piedi, giustizia per gli ultimi, perdono per chi sbaglia? Ci sono regni e regni, come ci sono mondi e mondi, tutti possibili, anche quello del nostro Dio umile e sognatore: un innamorato pazzo.

Luigi Verdi